Alla fine il ministro si è dimesso: “Mi devo difendere. E per difendermi non posso continuare a fare il ministro”. Ma io vi chiedo scusa. Solo allora, alla fine della conferenza stampa di Scajola mi sono accorto che stavo urlando: “Ministro, risponda alle domande! Un ministro non può andarsene senza rispondere! Ministrooo!!!”. Niente da fare: Scajola è scappato via con la bocca cucita, si è volatilizzato nei corridoi, circondato, protetto e inseguito da un codazzo di commessi e di collaboratori, ufficiostampisti. Vi chiedo scusa perché ripensandoci ho avuto un senso di rimpianto e di impotenza: avrei potuto essere più greve, beffardo, ironico. Forse avrei ottenuto una reazione dall'uomo di Imperia, quello di “Ho dato io l'ordine di sparare a Genova”, quello del volo “ad personam” Albenga-Roma (a spese dell'Alitalia), quello di Marco Biagi “il rompicoglioni” che voleva la scorta e si è fatto persino ammazzare dalle Brigate Rosse. Vi chiedo scusa perché noi giornalisti italiani siamo ancora abituati ai codici della buona educazione: di solito ascoltiamo cosa dicono i politici, e poi facciamo le domande. Non immaginiamo che esista l'ipotesi della fuga immediata dell'interessato.
Invece, di fronte al cipiglietto corrucciato di Scajola, alla sua patetica lamentela sulla “campagna mediatica senza precedenti che mi ha colpito” (evidentemente si è scordato del caso Marrazzo), di fronte al ridicolo fervorino per il “lavoro indefesso” svolto al ministero, non sono riuscito a produrre in diretta l'unica verosimile risposta che Scajola meritava: una pernacchia. Oppure un sonoro “Mi faccia il piacere!”, alla Totò. Non mi è venuto. Non siamo tarati per questo. Non ci spetta la parte dei pubblici accusatori e io credo che sia giusto non farlo. Il nostro lavoro è fare delle domande, cercare delle notizie, provare ad ottenere delle risposte. Eppure, quando si abbassa la soglia di decenza pubblica, quando sono i politici a far venire meno la soglia del rispetto, forse dovremmo prendere delle contromisure, fare delle eccezioni. Quando il ministro Scajola, con aria indignata dice: “Un ministro non può sopportare di abitare in una casa pagata da altri”, è difficile prenderlo sul serio (cosa si immagina di fronte a tanta sofferenza? Commossa solidarietà?). Quando il ministro aggiunge che “Se dovessi acclarare di abitare in una casa che è stata in parte pagata da altri senza saperne il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali avvierebbero immediatamente le operazioni necessarie per l'annullamento del contratto!”. Insomma, la linea è questa: Scajola si sente una povera vittima, perseguitata dai perfidi giornalisti, e ora, forse, ha scoperto un terribile raggiro. Lui pensava di comprare una piccola casetta da seicentomila euro, e un terrificante complotto, per impedire la sua solare carriera da statista, ha portato una scaltra cricca a regalargli novecentomila euro a sua insaputa (che insopportabile violenza). Un collega giornalista, Mattia Feltri, alla fine della conferenza stampa ha commentato: “Correva un grande rischio. E ha preferito passare per imbecille piuttosto che per ladro. Dopotutto è peggio”. Battuta meravigliosa, che però non sottoscrivo. Ho l'impressione che il rischio non sia stato sventato.
Luca Telese
Rispondi