Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

I nostri figli non meritano la propaganda

di LUCA TELESE

Come molti genitori pensavo alla scuola di Adro ogni mattina, quando accompagnavo mio figlio all’asilo. Come molti genitori italiani, oggi festeggeremo questo meraviglioso giro di valzer che si chiude al grado zero, dal nulla al nulla, dalla Gelmini alla Gelmini. Con la Mariastella-uno che senza rendersi conto di essere una ministra ci raccontava comprensiva: “Il sindaco di Adro ha specificato che il simbolo del Sole delle Alpi è stato scelto non perché simbolo della Lega ma perché appartenente all’iconografia del Comune”. E la Mariastella due, folgorata sulla via di Damasco, che ricordandosi di essere una ministra emanava una dura circolare contro se stessa, spiegando: “Bisogna rimuovere i simboli politici dalle scuole”. Meraviglioso.
Come molti genitori, vedendo la felice e innocente solarità con cui i bambini aderiscono alle cose e si legano ai loro luoghi preferiti, ogni volta che attraversavo il bel portone e i corridoi coloratissimi della scuola di Esquilino che le maestre hanno ridipinto da sole e a spese proprie (il bricolage di guerra dell’era tremontiana) mi appariva davanti agli occhi la visione dell’orribile cubo del polo “Gianfranco Miglio”, sormontato dai suoi settecento simboli leghisti, impecettato e trasformato in un pannello di affissioni a scapito della collettività. Ogni volta che appendevo la giacchetta di Enrico nell’ingresso della mia scuola, in quel corridoio del pluralismo onomastico – Ridgeon, Carlotta, Denise – in cui le maestre regalano un gancetto e un disegnino ad ogni bimbo corredandolo con il loro nome (Enrico aveva la banana) ho pensato che ad Adro, dove tutti i bimbi fino a ieri, erano costretti ad affezionarsi a un’unico simbolo politico, violentati in quel rito privato che è l’iniziazione del mondo. Da un lato c’era la mia scuola, con i nomi di tutte le razze, dall’altro il cubo di Adro con il suo monocolore autoritario, le sue simbologie pataccare finto-celtiche.
Sta cambiando la scuola italiana. Porti tuo figlio a scuola, e incroci un gruppo di genitori con un carrello della spesa. Chiedi: “Andate al supermercato?”. Ti rispondono: “No, stiamo andando in classe”. Solo che si va con il carrello, perché è considerato normale – ormai – nell’anno sedicesimo dell’era tremontiana, che più sale il livello scolastico più bisogna provvedere da sé. I genitori portano i figli a scuola, e la riforniscono di tutto – dalla carta igienica, alla cancelleria ai gessetti – perché l’alternativa sarebbe lasciare i loro figli a mani nude.
Il cubo verde e carcerario di Adro, chiuso nella sua claustrofobia propagandistica, non è stato un episodio occasionale, figlio di qualche genius loci padano deviante, ma la metafora di una storia italiana. La declinazione leghista di un lavoro di scientifica demolizione della scuola pubblica che – per miopia e follia – i governi di centrodestra stanno realizzando con scrupolo. Uno dei paradossi più grotteschi, nella vicenda della prima scuola “elettorale” della storia italiana, è che il sindaco Lancini – giustamente – nel mausoleo del Carroccio, non ci mandava suo figlio (lo iscriveva alla privata, riservandosi di indottrinare i figli degli altri). Due giorni fa, all’uscita del mio polo scolastico, mi hanno raccontato la rivolta dei genitori del nido. Avevano scoperto, solo riportando i figli il primo giorno, che la Giunta Alemanno aveva triplicato la retta, da quasi cento a quasi quattrocento euro al mese. “È inevitabile – dicevano – c’è la crisi”. Ma con la consueta spensieratezza degli idioti, dopo aver dichiarato l’ineluttabile, hanno dovuto fare marcia indietro pure loro, dalla mattina alla sera, rimangiandosi l’aumento (però ci avevano provato).
Pensavo ad Adro mentre vedevo i nostri bimbi della nuova società multietnica correre in giardino. L’asilo elettorale non è solo una feroce offesa per chi leghista non è, ma soprattutto per chi è leghista. Ho un rispetto enorme per chi porta suo figlio sulle spalle a Pontida o alla festa del Pd, non ne ho nessuno per chi vuole fare la scuola “Umberto Bossi” o l’asilo “Gigi Speroni” (almeno sarebbe divertente, corredato di cravatte a forma di pesce). Pensavo ai bambini che sciamano all’uscita di scuola ogni volta che chiudevamo questo giornale, in questa piccola-grande settimana in cui la libertà di tutti si è ristretta e lo stato di diritto e impazzito, perché il Fatto ha deciso che su questa follia non si poteva sorridere, e ha tenuto tutti i giorni lo scandalo in prima pagina. Abbiamo pensato ad Adro ieri, con un sospiro di sollievo. Quando sbulloneranno lo zerbino celtico diametro tre metri, mi piacerebbe che lo regalassero a qualche privata padana. Così finalmente vedremo quanti sono i genitori che sono disposti a pagare per farsi inserire la pubblicità elettorale nella cartella di scuola del proprio figlio.


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6 risposte a “I nostri figli non meritano la propaganda”

  1. Avatar Alessandro Boggiano

    La cosa più triste è pensare che per riparare ai danni al sistema-paese inferti dalla destra ignorante e dalla sinistra troppo impegnata a massacrarsi da sola, ci vorranno decenni e – nel frattempo – avremo una nuova generazione di elettori cresciuti a pane e Verissimo, incapaci di comprendere il concetto di bene comune, incapaci di distinguere una notizia da una velina, incapaci di comprendere che prima dei propri diritti co sono doveri da assolvere.

  2. Avatar marco
    marco

    Ho visto molte interviste ai genitori; ho sentito molte opinioni. Non mi sento d’esser “ottimista”, qualsiasi cosa voglia dire.
    Nel senso che non c’è riflessione su questi argomenti e fatti; anche se c’è stata una manifestazione moltissimi altri parevano, come è logico, esser d’accordo con la politicizzazione della scuola dedicata a Miglio.
    Sarà che vivo nel profondo veneto, ma la vedo dura.

    Ciao Luca, buon lavoro.

  3. Avatar lilly
    lilly

    Caro Luca,

    Adro a parte, abbiamo un problema davvero grosso in Italia che, con il ministro Gelmini, invece che avviarsi a soluzione, si aggraverà ulteriormente!
    Fortunati i tuoi pargoletti con un babbo cosi, che potrà essere anche il loro maestro di scuola oltre che di vita!
    ciao

    IL LIBRO
    Scuola elementare pubblica
    La fine di un mito italiano
    Un saggio racconta le colpe di un declino culturale che sancisce la fuga nelle private. Nel 1985 erano stati varati nuovi programmi che insistevano sulla didattica. Era il punto di forza dell’educazione pubblica italiana: ma ora anche l’istruzione primaria è al collasso
    di BENEDETTA TOBAGI

    Da quei banchi passano tutti i futuri cittadini. Difficile evitare la retorica del “pilastro della democrazia”: lo è per davvero. In più la scuola elementare conserva nell’immaginario qualcosa di romantico, dal libro Cuore in poi. Nell’Ottocento il maestro aveva un ruolo sociale definito, accanto al gendarme e al prete. A questa missione civilizzatrice e conservatrice si sovrappone, con l’avvento della Repubblica, l’icona del maestro di frontiera, possibilità di riscatto per i figli dei diseredati, schiacciato tra la Costituzione e le sperequazioni profonde di un paese arretrato, mentre le elementari restano quelle uscite dalla riforma Gentile, verticali e nozionistiche.

    E oggi? Nessuno osa discutere la centralità della scuola e la sua missione educativa, tanto più in una società in piena crisi (economica, politica, di valori). Ma in cosa consista questa missione, e su come realizzarla, c’è molta confusione. Chi non ha bambini, difficilmente sa cosa succedesse dietro il portone di una scuola primaria dopo la riforma del ’90. Poi nel 2008 il governo comincia a predicare il “ritorno al passato” come panacea contro tutti i mali. Chi ha più di vent’anni è cresciuto a pane e maestro unico e può rimanere facilmente sedotto dall’effetto-nostalgia: che male c’era nel vecchio sistema? Insegnanti, genitori e dirigenti invece protestano, sono amareggiati, indignati, preoccupati (provate a scorrere le centinaia di testimonianze su Repubblica.it). Sono davvero tutti dei conservatori miopi e politicizzati? Che cosa sta succedendo, davvero, dentro la scuola pubblica dei bambini italiani?

    Ci aiuta diradare le nebbie il nuovo saggio di Girolamo De Michele, La scuola è di tutti (minimum fax, pagg. 338, euro 15) “E’ necessario combattere una battaglia per le “precise parole”, per l’esattezza”, dichiara. Allora decodifica i “frames” concettuali dietro gli slogan con cui il centrodestra ha mascherato la realtà brutale dei tagli di bilancio alla scuola pubblica e analizza con scrupolo i numeri – solo apparentemente obiettivi – del Ministero e dei rapporti internazionali. Ma soprattutto, inserisce i problemi italiani nel quadro più ampio di una crisi (cioè un momento di potenziale evoluzione, non un’”emergenza”) dell’educazione in atto da decenni a livello globale.

    La scuola è chiamata all’arduo compito di preparare bambini e ragazzi a muoversi in una società più complessa, fornendo, oltre alle nozioni, metodi per “imparare a imparare”, anche fuori dai banchi. Non è più affiancata nell’opera educativa da soggetti forti come parrocchia o famiglia, ma assediata da una “società diseducante” i cui modelli contraddicono valori e comportamenti che l’insegnante cerca di trasmettere. De Michele intreccia questi problemi coi dati allarmanti sull’”analfabetismo funzionale” che affligge 2/3 degli italiani, e li rende prede facilmente manipolabili nella società dell’informazione, o sulla mobilità sociale quasi inesistente per i giovani italiani. Una visione ampia, articolata, che mostra la funzione essenziale della scuola pubblica in una democrazia che voglia essere veramente tale.

    In questo discorso, il caso della scuola primaria è illuminante. L’Italia, eterna pecora nera, affrontò costruttivamente la “crisi educativa”, con esiti addirittura eccellenti. Dopo decenni di confronti tra politici e specialisti di pedagogia e didattica, nell’85 la scuola elementare si dota di nuovi programmi che mettono al centro il “saper fare” accanto al conoscere, per una “progressiva costruzione delle capacità di pensiero riflessivo e critico e di una indispensabile indipendenza di giudizio”, le competenze relazionali, la capacità di ascoltarsi e stare insieme, oltre alla disciplina. Su queste basi, nel ’90 si avvia una riforma, che ha passato il vaglio della Corte dei Conti, la stagione di lacrime e sangue pre-ingresso nell’euro e un rodaggio faticoso, per regalarci una posizione di eccellenza nelle classifiche internazionali (TIMMS 2007 per la matematica e PIRLS 2006 per la lingua). Con buona pace di chi sostiene che servì solo al sindacato per moltiplicare i posti.

    Cosa offriva la primaria pubblica del nuovo millennio? “Modulo” o tempo pieno, ossia due o tre maestri, specializzati in aree disciplinari diverse: ben venga un’attenzione specifica per l’area logico-matematica, in cui l’Italia è sempre indietro. Programmazione collegiale, cioè più teste che concordano la didattica e rispondono alle esigenze dei bambini: più sguardi pronti a cogliere i loro disagi come i talenti. Ore di compresenza: indispensabili per gestire la presenza di bimbi stranieri che non padroneggiano l’italiano, per il recupero di chi resta indietro, specie nelle aree più disagiate, ma anche per gite e laboratori.

    Tempo scuola più lungo (da 27 a 40 ore) e più ricco: al pomeriggio non c’era più il vecchio doposcuola, merenda e compiti, ma lezioni e laboratori, cioè apprendimento attivo. Una ricchezza per i bambini, una necessità per i genitori che lavorano. A parità di maestri incompetenti e lavativi, che non mancano mai (la Gelmini parla di premi al merito, ma nessuna misura è stata varata), il sistema offre più risorse e garanzie. La primaria pre-Gelmini rispondeva alle esigenze di una società profondamente mutata con spirito democratico: molto per tutti i bambini e speciale cura per i più deboli.

    Bello, no? Bene, lo stanno demolendo. Il Ministero raccomanda maestro unico, 4 ore mattutine e taglia i posti. Ma i genitori chiedono le ore e la qualità del tempo scuola lungo e i dirigenti sono chiamati all’impossibile quadratura del cerchio. Regna il caos. Classi affollate, patchwork di maestre per coprire i buchi (alla faccia del bisogno di continuità rassicurante). I maestri, sottopagati e sotto pressione, ancorché occupati, di sicuro non lavorano sereni (si parla di merito e mai di motivazione).

    Lo scenario tracciato da De Michele è inquietante: c’è un disegno politico per smantellare la scuola pubblica, per foraggiare il business delle scuole private, perché l’ignoranza rende le persone più controllabili. Anche chi non condividesse questa tesi, sarà costretto a domandarsi il perché di una politica così dannosa. Non è “la solita storia”. Disperdono un patrimonio, picconano la base sana della piramide educativa. Danneggiano i bambini e le loro famiglie e la società in cui dovranno vivere, non gli “insegnanti fannulloni”. Almeno, la smettano di mentire.

  4. Avatar ANDREA
    ANDREA

    per avere un’idea di come la strategia leghista sia perfettamente in linea con la vecchia partitocrazia nella logica di accaparramento di poltrone e poltroncine:

    http://www.bresciapoint.it/politica/953-brescia-la-lega-nord-la-musica-e-il-maestro-ezio-rojatti.html

  5. Avatar giordano
    giordano

    Ho 49 anni. Sono vecchio. Ricordo ancora quando le skuole okkupate erano coperte di falci, martelli, inviti a Kossiga, camerati baschi neri, uccisioni non reati , e tanto tanto colore rosso. Ricordo militanti in divisa e professori in divisa: rossa. Ricordo opinioni che non avevano diritto di cittadinanza e, troppo spesso, diritto di vivere. Ricordo pikketti e Hazel. D’accordo, il sole delel alpi è una boiata e va tolto, ma siamo seri!

  6. Avatar giordano
    giordano

    Ma il Telesone cancella i messaggi?

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