Dunque Nichi Vendola “è un drogato”, come si chiede il Giornale imbeccato da Roberto Formigoni? Sembra quasi impossibile che dietro la violenza di questo attacco ci sia un politico di lungo corso, centrista, morigerato e post democristiano come Roberto Formigoni.
Invece il copyright dell’ingiuria è proprio suo. E dietro la ferocia spietata di questo attacco non c’è solo un ennesimo episodio di imbarbarimento della lotta politica, non c’è solo una evidente coda di paglia (Vendola aveva detto che la Lombardia è la regione più mafiosa d’Italia) non c’è solo il bisogno ormai tribale di marcare il territorio, ma anche il nuovo capitolo di una storia tutta personale, l’ennesimo atto nel processo di metamorfosi che sta facendo cambiare pelle al grande mutante della prima Repubblica.
In fondo, se ci pensate, tutta la vita del governatore della Lombardia è segnata da un paradosso, tutta la sua carriera è imprigionata in un gioco di specchi, quello del puro che allude all’impurità, quello del cattolico che si fa peccatore, quello della purezza che tende verso l’impurità. Basterebbe guardare le giacche di Formigoni per capire che l’uomo vive uno stato di inquietudine interore: sono vistose, appariscenti, colorate. Sono gialle, blue elettrico e persino rosse, e servono a contenere camice sgargianti, a righe, fantasie hawaiane.
C’è in questa disinvoltura il ribaltamento di una biografia: perché il Formigoni di Movimento popolare, all’alba degli anni settanta era l’esatto opposto: barbone folto ispido e ascetico. Maglioni a girocolollo, jeans e austerità. Anche la verginità di Formigoni fu un luogo frequentato della politica italiana, lui e Rosi Bindi erano come le due figurine speculari della castità ieratica. Adesso Rosi Bindi è rimasta fedele al suo voto, anche se ci scherza su, mentre Formigoni, che non ci scherza sopra mai si è per così dire secolarizzato, e ha implicitamente consumato il suo rito di separazione dal voto, perlomeno da quando, alla settimana cattolica del 1999, circolarono le foto clamorose, pubblicate da Novella 2000. L’ex politico virginale compariva in compagnia di una donna, la signora Marrone. E nelle interviste successive fece capire con qualche borbottio che tutto era cambiato. Così Formigoni è una grande e spettacolare promessa non mantenuta, è l’incompiutezza, il moralista intransigente, impigliato in un’oscura vicenda del petrolio di Saddam, che candida Nicole Minetti nel suo listino. Fa quasi sorridere che il gradino più alto della sua carriera politica sia stato il posto di sottosegretario all’Ambiente, e non nei tempi moderni, ma nella preistoria della vita democristiana, quando Formigoni fu eletto all’ombra dello scudo crociato e gratificato con una poltrona di terza classe. Sempre si parla di Formigoni come successore di Berlusconi, ma poi le tracce di questa ipotesi di carriera si perdono nel nulla come in un Aspettando Godot che non celebra mai la sua epifania. Nel 2006 Formigoni fu persino capolista ed eletto al Senato, e poi si dimise, per tornare nella prigione aurea della Lombardia. Insomma, resta uno statista in potenza, resta un vecchio prestigioso dinosauro che grazie alle metamorfosi e al lifting è riuscito a mascherare la sua arcaicità, ma forse ieri ha sbroccato proprio perché a furia di resistere alla Lega ha ceduto anche al fascino dei barbari, dopo essere stato rivoluzionario fondamentalista e governante imprigionato nel suo ruolo, a quasi settant’anni Formigoni ritorna sulle tracce del padre repubblichino, torna agli ardori, sfotte i giornalisti dicedo che se gli uomini del Carroccio non partecipano ala celebrazione dell’Unità d’Italia cosa volete che sia, diventa sbarazzino, giovanilista e sboccato. E in questo sforzo fa quasi simpatia, è come una “signorina Felicità” della politica italiana, un po’ isterico e un po’ incompiuto. Ironia della sorte, forse, gli farebbe molto bene farsi una bella canna.
di Luca Telese
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