Katia trova la forza di sorridere, anche se sorride amarissimo, si guarda la pancia, al sesto mese. Sorride di nuovo, ancora più amara, mentre si stringe al suo compagno (precario pure lui): “È una bimba. Avevamo in mente un altro nome. Ma dopo quello che è successo oggi, dovrò chiamarla… Precaria”.
Katia Scannavini ha 36 anni. È romana. È laureata in Sociologia, ha anche un master e un diploma. Ed è la persona che simbolicamente riassume meglio di tutte, nella sua storia, la follia della condizione giovanile, l’ingiustizia feroce e insostenibile di un paese bloccato. Già, perché Katia (non è uno scherzo) lavora a Italia Lavoro (l’agenzia del lavoro del ministero del Lavoro), area formazione. O meglio: ci lavorava fino a ieri. È “una professional” (loro dicono così) impiegata dal 2006 (rigorosamente “a progetto”, senza contratto di assunzione), teoricamente dedita ad aiutare i precari a trovare lavoro. Il suo compito, infatti, era quello di studiare le strategie migliori perché i centri per l’impiego potessero migliorare il proprio servizio. Ma era precaria a sua volta, da cinque anni. Ieri mattina le è arrivata una letterina che recita così: “Dopo la mail che lei ci ha scritto, viene meno il rapporto di fiducia tra lei e la nostra azienda”.
La mail che aveva inviato Katia era molto semplice. Applicando l’articolato dell’ultimo collegato lavoro, aveva scritto all’Agenzia comunicando la sua posizione e la sua anzianità aziendale: “Non era l’annuncio di una causa, non mi passava per la mente. Solo una comunicazione, peraltro richiesta dalla legge, in cui ricordavo la mia anzianità e la mia posizione. La risposta è stata l’annuncio della cessazione del rapporto. Ovviamente ho pensato: tra 30 giorni sarebbero stati obbligati a mettermi in maternità. Questa lettera non è casuale”. Le era stata preannunciata. “Non dal capo del personale che l’ha firmata. Perché il dottor Danilo Mattoccia si rifiuta di ricevere i contrattisti dicendo che non può. Mi ha chiamato il mio superiore, in ufficio e mi ha detto: ‘Sono umanamente colpito da quello che sta accadendo. Mi dispiace – ha detto – non condivido, sei molto brava, ma cosa posso fare?”. Non ha rancori, Katia: “È una persona perbene. Però nessuno si oppone, tutti se ne lavano le mani e così, come la mia, sono partite 40 lettere. Una inviata persino a un mio collega che è stato operato di tumore, ed è in una situazione terribile”.
Ma se devi scegliere, fra le tante che hanno sfilato ieri, una storia che completi quella di Katia, quella di Lucilla è perfetta: “Io non sono più una precaria, sono una sub precaria. Una precaria di serie B”. Lucilla Calabria ha 38 anni. È nata in Puglia ma è cresciuta in Abruzzo, a Francavilla sul mare. È laureata in Lingue, ne parla tre: inglese portoghese e spagnolo. Ha lavorato per quattro anni a Liverpool. Poi è tornata in Italia. “Sai, in Inghilterra c’è l’idea che un lavoro è una scambio in cui tu offri una prestazione, e loro ti danno dei soldi che ti meriti. Qui sembra che ti facciano un regalo”. Lucilla ha stabilito un piccolo primato: “Ho compiuto da poco cento colloqui di lavoro. Poi, ho ricevuto questa comunicazione: ‘Complimenti! Siamo lieti di informarla che lei ha superato la prova’”. Ma subito dopo aggiungevano: “Purtroppo al momento non abbiamo posizioni aperte. Però lei resta nel nostro database’”. In che senso ti consideri una sub precaria? “Adesso, guardando la mia data di nascita, mi chiedono sempre: ‘Ma non è che lei ha intenzione di fare dei figli?”. E tu cosa rispondi? “La prima volta non ho avuto la forza di rispondere. Mi avevano troncato il fiato. Mi sono sentita ferita e umiliata, il discorso è finito lì”. E da quella successiva? “Mi chiedevo se fosse giusto mentire. Poi ho capito che avevo diritto a fare qualsiasi cosa. Alla fine scelgo di prenderli per il culo”. E dunque, “quando mi chiedono se voglio un figlio mi mordo la lingua e dico: ‘Non ci penso nemmeno. Sa, sono una che tiene solo alla carriera!’”. Cento colloqui, cento truffe: “Quelli più belli non si contano. In uno mi chiedevano di propagandare un bidone, il mitico aspirapolvere Kirby. Il nostro compito era intortare le casalinghe. Alla fine dovevamo dire: ‘Lo sa che questa turbina è stata progettata dalla Nasa?’. Il formatore mi disse: ‘Diventerai ricca e famosa’. E’ una delle poche volte in cui me ne sono andata”. Il sogno di Lucilla sarebbe fare la guida turistica: “Ci sono pure i corsi. Ma c’è la fregatura pure lì. Paghi 700 euro, ma non ti danno il tesserino. Le graduatorie sono bloccate da tre anni. Ti dicono: ‘Noi però ti diamo l’attestato’, e ti fanno capire che puoi provare ad esercitare abusivamente”. Ma allora come campi? “Sono tornata dai miei genitori. Faccio ripetizioni. Avrei voluto garantire la loro vecchiaia, e invece sono costretta a essere garantita dalla loro pensione”.
di Luca Telese
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