da Roma
Dunque le cose stanno così: sabato i Ds faranno una direzione nazionale sul Partito democratico, e ieri tutti i dirigenti fassiniani della Quercia si sforzavano di sottolineare la portata quasi epocale degli eventi in corso, la velocità del processo, l’entusiasmo della base. Spiegava ad esempio il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca: «Da Orvieto siamo usciti meglio di come siamo entrati. Non era scontato che un appuntamento così impegnativo avesse risultati così importanti. Si è compiuto un grande passo in avanti sulla strada del Partito democratico». Stessa lunghezza d’onda in casa della Margherita: «Il percorso verso il Partito democratico avviato a Orvieto è ormai irreversibile», spiega il presidente della Margherita, Francesco Rutelli, durante l’esecutivo del partito.
Ma appena vai a scavare scopri che anche i nodi su cui a Orvieto la platea di dirigenti chiamata a varare la road map del nuovo partito restano irrisolti. Il primo? Il principio «una testa un voto», con cui i pasdaran ulivisti, in testa Arturo Parisi vorrebbero celebrare tutti i passaggi di democrazia interna. A buona parte degli ex popolari non piace, e nemmeno a una parte dei Ds. E a Piero Fassino, che aveva ipotizzato l’idea di eleggere l’Assemblea costituente del Partito democratico con il 50 per cento di delegati dei partiti e 50 per cento di cittadini scelti con le primarie, ha risposto dal fronte dei prodiani il ministro per l’attuazione del programma Giulio Santagata in una emblematica intervista a Il Messaggero. «Io non sono un pasdaran dei movimenti e delle primarie – osserva il ministro – però la proporzione mi pare sbilanciata. Sono disposto a riconoscere qualcosa ai partiti, nella fase fondativa, ma il 50 per cento dei delegati mi sembra troppo». E ancora: «Se lanciamo un nuovo modello di rappresentanza – prosegue Santagata – non possiamo farlo solo al 50 per cento. Sarebbe ripetere lo stesso schema già provato, senza grande successo, alle ultime elezioni: dove la lista unitaria si è fatta soltanto alla Camera perché i partiti hanno preteso la loro presenza riconoscibile al Senato». Santagata chiude con una battuta: «Con la proposta di Fassino sono d’accordo… al 50%» (ovvero per nulla).
E anche all’ombra della Quercia le perplessità sono tutt’altro che fugate. Spiega Peppino Caldarola, dalemiano critico: «Vedo che la Sereni dice che questo non sarà un congresso di scioglimento. Ma allora ce ne vorrebbero due, e francamente non credo che si possa rispettare lo scadenziario di Orvieto». E allora? «Allora credo che non ci siano alternative. Decidere subito, in questo congresso. Ma se le posizioni restano quelle di Orvieto, io che prima ero solo scettico, mi considererò a tutti gli effetti nel fronte del no».
[LuTel]
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