Luca Telese
Roma – È l’intellettuale più importante del nuovo corso di An, uno dei più vicini a Fini, uno di quelli che più ha spinto verso il partito unico della destra. Alessandro Campi considera la lista comune la novità che «consente finalmente un passaggio di epoca».
Professor Campi, dopo anni di impegno in prima linea nel dibattito culturale di An, non teme una perdita di identità della destra?
«Assolutamente no, è il contrario: ho sempre percepito An come un punto di partenza verso la nuova destra, non certo come un punto di arrivo».
Il nuovo bipolarismo che si delinea le pare un processo elettoralistico o una cosa seria?
«Un passo molto serio. Ci stiamo faticosamente avviando verso la sospirata normalizzazione del sistema italiano».
Non sarà un cambiamento di superficie, dunque?
«Vedo che molti non hanno ancora colto la vera novità: per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, le radici delle tre grandi identità fondanti del Novecento italiano, quella rossa, quella nera, e quella bianca, non hanno una loro rappresentanza autonoma».
Perché mancheranno sulla scheda falci e martello o scudicrociati?
«Perché i due più grandi partiti provano ad esprimere entrambi culture nuove».
Non erano più vitali, secondo lei, quelle radici?
«Erano culture politiche che avevano esaurito la loro corsa».
Erano sopravvissute anche nella Seconda repubblica…
«Sì, ma perpetuate davvero in forma minimalista, non vitale e in certi casi persino misera».
E adesso che succede?
«Che si può finalmente passare dalla democrazia degli ex a quella dei post. Finisce l’idea che in questo Paese si poteva essere solo ex fascisti, ex comunisti, ex democristiani…».
Per lei era un equivoco culturale?
«In qualche modo tutti si presentavano in modo diverso da come erano diventati. Era un rinnovamento ambiguo, lasciato a metà».
Perché?
«Perché la Seconda repubblica viveva nella nostalgia della prima».
An però, solo pochi mesi fa non era entusiasta della «rivoluzione del predellino»…
«Allora Berlusconi aveva accelerato in solitario. Stavolta, invece, vedo che con Fini c’è stata una riflessione comune, più articolata».
Ma non c’è il rischio che le identità si annacquino?
«Affatto. Adesso che sono emancipate dalle angosce elettoralistiche, le identità della destra si possono sviluppare meglio».
Ma davvero l’America è un modello possibile, per noi?
«Basta vedere quante diversità si confrontano in queste primarie, da McCain ad Huckabee. Ma basta pensare alla rifondazione fatta da Sarkozy in Francia. Nel suo partito ci sono gollisti nazionalisti, cattolici vandeani, conservatori, modernizzatori…».
Nasce una «Terza repubblica»?
«Forse inizia davvero la Seconda. Che fino ad ora aveva visto un bipolarismo fondato unicamente sull’antiberlusconismo, costruito per contrapposizione in antitesi alla figura eccentrica e fuori norma del Cavaliere».
«All’interno di due partiti che diventano grandi contenitori, le culture politiche non verranno uccise, ma liberate».
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