E così Silvio Berlusconi si è arrampicato sulla collina tolkieniana, proprio dietro il Colosseo, in uno squarcio di Romamonumentale che è diventato il teatro della decima festa di Atreju. Quanto tempo è passato dalle prime feste, un po’ casarecce, un po’ immaginifiche, raduni di comunità iperidentitarie che nascevano intorno alla collina della sezione storica di Colle Oppio. Allora si chiamava «Il raduno della contea» ed era la festa dei giovani del Fronte della gioventù, con dei grandi pupazzidi cartapesta che raffiguravano «i Balder», i guerrieri runici che i giovani del Fronte della gioventù si erano scelti come alter ego. Oggi, senza che quell’identità cambiasse, i confini della contea si sono allargati di molto e Atreju (dal nome del protagonista de Lastoria infinita) è diventato il più grande raduno politico giovanile italiano,ma anche e contemporaneamente una kermesse politica dove intervengono ministri, deputati, cantanti, dove puoi trovare la chitarra elettrica di Edoardo Bennato e il poker benefico di Pupo. Però, loro sono sempre gli stessi, il nucleo dei nascenti «giovani della libertà» sono sempre i giovani di Ag. E così ieri la festa, fotografata nel giorno della venuta di Silvio Berlusconi, restituiva il paradosso di questa organizzazione: che nel momento della sua massima crescita si trova di fronte al bivio di un nuovo, possibile cambio di identità, il confronto unificazione con i giovani che vengono da Forza Italia. Lo fanno i grandi, perché non dovrebbero farlo anche loro? Facile a dirsi, difficile a farsi. Per dare un’immagine plastica, basterebbe la foto di due ragazze che ieri si trovavano nel catino affollato dell’incontro con Berlusconi. La prima, Carolina Varchi, 24 anni, siciliana, occhi celesti angelici, temperamento tostissimo, dopo aver fatto una domanda al Cavaliere lo rimbeccava ironica: «Vorrei da lei più pragmatismo». Al che Berlusconi,che dopo aver fatto sorridere la platea con la battuta della zanzara comunista («l’ho ammazzata adesso, è una vittoria del liberalismo sul comunismo »),si è anche un po’ schermito: «Beh, stavo parlando di una cosa pragmatica…». L’altra istantanea, invece, è quella di Veronica Cappellaro, incantevole ragazza dei Parioli, consigliera di Fi nel Municipio di Roma II, che quando pensa all’incontro fra i due movimenti, dice: «Loro sparirebbero senza di noi. Alle elezioni noi dreniamo il triplo dei consensi.Loro sono un po’ chiusi nella loro storia, nella loro identità, hanno delle tradizioni vecchie, a unirsi con noi ci guadagnerebbero moltissimo». Certo, Veronica spezza una lancia e dice: «Io sarei anche disposta ad andare alle veglie per i loro camerati caduti, ma loro dovrebbero approfittare dell’incontro con noi per aggiornarsi, per diventare più moderni, siamo più democratici di loro». Meno male che Veronica non ha incontrato Carolina, che spiega sia cosa pensa degli azzurrini, sia del suo scambio di battute con il Cavaliere: «Lui, quando viene da noi, forse crede di trovarsi di fronte a una platea di ragazzini e non sa che qui c’è gente che fa politica da 15anni anche se ne ha solo 30, e che legge quattro quotidiani al giorno». Carolina ha una maglietta della festa in cui c’è scritto Quello che ami veramente rimane, il resto è scorie.Al suo fianco c’è Gianfranco Manco, entusiasta della maglietta dell’anno scorso con la frase di Ovidio:«Quandosi agita la fiaccola, la fiamma diventa più forte». Già, la fiaccola. Il simbolo di Ag che quest’anno,per dare il segnale di apertura alle altre componenti, è scomparsa dai manifesti. C’è chi,come Fabrizio Tatarella, ultimo erede della dinastia di Pinuccio, ci ha appena scritto un libro su: «La fiaccola tricolore».La presentazione avviene oggi, sempre nello spazio della festa, e c’è da giurare che diventerà un primo dibattito politico all’interno del movimento, sul tema dell’identità. Spiega Fabrizio: «Io sono uno dei teorici più spinti di un movimento più ampio, ma credo che dovremmo cambiare il nome, ma non questo simbolo, che è il simbolo più antico della politica italiana e della destra giovanile». Se giri sotto i padiglioni della festa, il pantheon dei simboli scelti dai ragazzi della giovane destra costituisce un cocktail che può sorprendere: c’è Muhammad Yunus, l’economista dei poveri, il padre del microcredito. C’è Lui, l’omino di Tienanmen che sfida il carro armato. C’è Alan Ford, il grafico pubblicitario sfigato e romantico dei fumetti di Max Bunker. Ci sono i personaggi di Tolkien, ovviamente. Nella serata, quando il Cavaliere se ne va, comincia il concerto della Compagnia dell’Anello, il gruppo storico più importante della musica alternativa, quella che ancora seduce i giovani della Destra post-missina con le leggende dei cavalieri, le canzoni sugli eroi e i combattenti, quelli che cantano: «Il domani appartiene a noi». In un angolo vicino alla birreria trovi i ragazzi del gruppo Arcadia di Roma contenti del dialogo con altri movimenti, ma anche preoccupati dalle possibili implicazioni. Molti si interrogano su quali dovranno essere i rapporti di forza nell’eventuale nuova organizzazione. Qualcun altro,come Michele Ruschione, sono più realisti: «Cambiare quell’icona è un sacrificio, ma necessario». Michele, leader di Azione studentesca, che viene dalla storica sezione di Colle Oppio, spiega: «Non è importante il simbolo, ma l’identità. Noi e gli azzurrini siamo diversi, ma complementari. Loro parlano un linguaggio che non è il nostro, ma insieme si può stare».
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