Allora, il problema è questo: adesso il Pd dovrebbe andare a caccia di un Mister X. La cosa che più stupisce, compulsando il sondaggio di Repubblica.it, è questa: il 19% dei votanti indica Bersani. Il 21% – la maggioranza relativa – vota invece per uno che non c’è ancora, «un nome nuovo». Come dire: fra tutti quelli che ci sono, un altro. Già questo stupisce: in quindici anni, facendo di conto, la sinistra ha già rottamato sette leader: Achille Occhetto, Romano Prodi, Francesco Rutelli, Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Piero Fassino, ancora Prodi e poi Walter Veltroni (senza contare Sergio Cofferati, «delocalizzato»). Così, pur concentrandosi sulle «riserve della Repubblica», Rosy Bindi e Anna Finocchiaro (incoronate dagli ascoltatori di Radio3) e Pierluigi Bersani, ecco che il popolo degli elettori, la mitica «base» immortalata dall’affettuosa ironia di Ficarra & Picone, chiede qualcos’altro: sapori nuovi, qualcuno che ancora non c’è.
Allora proviamo a tracciare l’identikit, e a come trovarlo. La prima cosa che dovrebbero fare, i dirigenti del Pd, è una sorta di esercizio spirituale: eliminare tutti quelli che vengono in mente a loro, perché non vanno bene. L’ottimo Dario Franceschini – tanto per fare un esempio – quello che da ragazzo (come ha raccontato lui stesso a Vittorio Zincone su Sette) si entusiasmava per Zaccagnini, la stoffa del numero uno per ora non ha mostrato di averla. Per carità, nulla contro Zaccagnini: ma questo entusiasmo davvero evoca un’altra epoca geologica, un altro millennio. Franceschini è intelligente, certo, onesto, discreto romanziere padano (due libri all’attivo, per la Bompiani). Ma gli manca qualcosa di irrimediabile, l’appeal, la passione che scalda le vene, quello che un tempo a sinistra era indispensabile: il carisma. Se lui da due anni sta sempre in televisione, ma non si ricorda una sua battuta, un motivo ci sarà. Sì, Mister X dovrebbe essere carismatico: il carisma mite di Enrico Berlinuger, quello intellettuale di Palmiro Togliatti, quello laburista di Giuseppe di Vittorio, quello militare di Emilio Lussu, quello umanissimo di Pietro Nenni, quello magneticamente autoritario di Bettino Craxi, quello rigoroso di Ugo La Malfa, e quello avventuroso di Enrico Mattei. Ma il carisma ci deve essere: niente polli di batteria, please.
La seconda cosa che serve a un Mister X di centrosinistra, nel terzo millennio, è un requisito che purtroppo manca a quasi tutti i politici italiani: dovrebbe aver lavorato, almeno una volta, in vita sua. Per carità, nessuna invettiva contro i politici di professione, degnissimi (e talvolta onestissimi). Ma serve, almeno stavolta, uno che ha avuto una busta paga senza il timbro di una tesoreria di partito. Uno che un padrone lo abbia conosciuto. Meglio ancora: che sia stato precario, che abbia fatto salti mortali per arrivare a fine mese: e che non si commuova soltanto, per chi non arriva a fine mese (che è un’altra cosa). Uno che sia andato in banca e non gli abbiano fatto credito. Uno che abbia chiesto un mutuo e gli abbiano detto che non offre garanzie. Con le rate. Il doppio impiego. Uno che magari ha messo su un’impresa, una cooperativa, anche solo un negozietto: ma che lo abbia fatto da solo, con le sue forze, senza sponsor munifici. L’altro requisito è anagrafico: se vuole battere Silvio Berlusconi – ha ragione Andrea Romano – questo Mister X dovrebbe essere nato nel tempo di Silvio Berlusconi, essersi mitridatizzato dal berlusconismo e dall’antiberlusconismo insieme. Uno che non si debba definire contro. E non debba riconnettere un alfabeto posteriore alla sua formazione: deve essere uno che sappia cos’è la tv, e non uno che se lo fa spiegare da un consigliere (che è un’altra cosa). Dovrebbe avere un’idea «alternativa» al berlusconismo, non uno che un giorno parla del Cavaliere come di un grande Fratello conculcatore di democrazia e di diritti, e il giorno dopo ci vota insieme una leggina, perché gli fa comodo.
Mister X non dovrebbe avere padrini o padroni: nessun debito da pagare, né protettori politici a cui elevare sacrifici umani. Se deve battere «cloni» e «famigli» del Cavaliere, non può esserlo a sua volta di qualcun altro. Non deve essere un Berlusconi minore, come Renato Soru (perché l’originale vince sempre). Meglio povero e senza soldi, che con un trust di riferimento che lo tiene per le palle, che gli chiede di coprirlo, o che gli fa esclamare rapìto al telefonino: «Abbiamo un banca?» (come accadde per il povero Fassino). Non deve avere una fondazione. Non dove usare parole inglesi. Non deve avere la barca. Né la cravatta tatuata. Il nuovo Mister X del Pd non deve essere figlio d’arte, abbiamo già dato. Non può essere un erede di Andreatta senza Andreatta (come Enrico Letta); non può essere la figlia di Totò Cardinale, o qualche pronipote di Giacomo Mancini (con il numero romano a fianco, come i calciatori di terza generazione). Non può essere uno che legge i discorsi (che gli scrivono altri), non può essere un convertito come Rutelli. Non deve tifare Juve (ma nemmeno Milan). Non deve essere un professore (come Padoa-Schioppa). Non dev’essere un mezzobusto come Marrazzo o Badaloni. Non deve avere cinque partiti nel suo curriculum. Non deve avere l’erre moscia come Bertinotti.
Uno così si può trovare, certo. Ma, a occhio e croce, non in una sezione del Pd.
Luca Telese – il Giornale
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