Ve la racconto così. Antonio Padellaro mi ha mandato a seguire per il giornale il famoso duello, o triello che dir si voglia per la segreteria del Pd. Fra i giornalisti delle testate più disparate, appollaiati sul loggione, si è diffusa subito una impressione comune: Bersani era sorprendentemente fuori partita, Marino molto in palla e all’attacco, Franceschini costretto a giocare di rimessa e a polemizzare con il chirurgo. Nessuno, tranne gli uomini dei leader, aveva il minino dubbio che il vincitore del duello fosse Marino. Per di più, il tempo di saltare sul motorino ed arrivare in redazione, su tutti i blog che commentano la sfida, i commenti dei più non fanno che ripetere la stessa cosa: impressione unanime. Dopodichè apro il sito di La Repubblica e mi prende un colpo. Il titolo dice: Duello in parità”. In parità? Era il segno che finito il confronto, quella valutazione è già diventata un affare di stato: non si può dare troppo spazio all’outsider. Sui giornali di ieri, un’altra sorpresa. Si giudica su tutto, sui quotidiani, ma anche lì non si toccano gli equilibri inviolabili: e così non c’era un solo pezzo che su questo tema si sbilanciasse. Prendere posizione tra i contendenti del Pd, vuol dire rompere equilibri, appartenenze, blocchi di consenso. Così volevo raccontare ai lettori del Fatto quant’è bello scrivere sul nostro giornale. Tornato in redazione parlo con due colleghi del politico – Edoardo Novella e Wanda Marra – con il caporedatore Nuccio Ciconte, con Antonio Padellaro. Mi hanno detto: “Scrivi quello che ti sembra sia accaduto”. Detto, fatto. Nel nostro giornale, sulle tante anime della sinistra e sul congresso del Pd ci sono le opinioni più disparate: sul Fatto, per dire, ha sul giornale preso posizione Furio Colombo dicendo che voterà convintamente Franceschini. Ma ci sono anche persone che hanno simpatia per Marino, e io ho sempre avuto gran stima personale di Pierluigi Bersani. Però l’unica cosa che mi hanno chiesto è: “Secondo te chi ha vinto?”. Così ho detto l’impressione che avevo avuto, e abbiamo stilato persino le pagelle: 5 a Bersani, 6 a Franceschini, 7.5 a Marino. La cosa che mi ha colpito di più, nell’ex ministro dell’industria è il suo momento di visibile disagio alla domanda se era favorevole ad un nuovo confronto. E Bersani non era favorevole. Mentre non era inquadrato si è appoggiato la mano sulla fronte, ha sospirato, e poi ha detto: “Vedremo…”. Alla fine gli è uscito fuori quello che pensa veramente. Ha detto che non ama le manifestazioni “divisive”, che non gli piace l’idea di fare spettacolo su di noi”. Per via di questa incomprensibile posizione (visto che Franceschini ha fatto cadere il suo veto iniziale) il Pd ha perso l’ennesimo treno, e non è andato a fare i confronti su altri canali. Invece di approfittare del duello per parlare al Paese – insomma – si è accontentato di lavare i panni sporchi in famiglia sul canale semi-clandestino di You dem (a cui auguro grandi successi, sia chiaro). Su qualche giornale ho visto persino titoli trionfalistici: “500mila collegati”. Mezzo milione è lo share di una piccola rete. Ho pensato che Bersani, che avevo intervistato da poco, si è assunto una piccola grande responsabilità. In lui si agita l’eterna paura di confrontarsi. Prevale la visione burocratica di chi crede che il confronto sia “divisivo” e quindi “nocivo”. Allora mi sono detto che Bersani il suo cinque in pagella se lo meritava due volte. Rifiutare la modernità, giocare a fare gli americani, e poi avere paura di un duello in cui non si può fare un controcampo, è più che un errore. E’ un arcaismo intollerabile. E’ come se per Bersani la sfida fra Hillary e Obama non fosse mai accaduta. E’ come se avesse le lancette indietro di un secolo. Se si vuol battere Berlusconi, almeno sul piano televisivo, bisogna tornare in questo millennio. O no
Luca Telese
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