Giri per la Puglia, chilometro dopo chilometro, dietro al candidato “diverso” e un po’ folle, e scopri che Vendola ha cambiato passo, ha portato alle estreme conseguenze la radice che ha prodotto la sua vittoria delle primarie. In primo luogo dal punto di vista quantitativo: non più cinque appuntamenti al giorno ma otto, dieci e a volte persino dodici, fino allo spasimo, fino alla drammatizzazione della propria stanchezza: “Se ci riesco finisco questo comizio, poi dormo dodici giorni” (risate e applausi). E poi, tappa dopo tappa, scopri che la dimensione della battaglia nel tacco d’Italia si è fatta improvvisamente ambiziosa, titanica e terribilmente spettacolare. Rocco Palese, lo sfidante ufficiale del centrodestra, quasi non lo trovi: proprio non lo vedi, se non nei santini e nei manifesti. Uno spirito di carta. Fino a due settimane fa, in campo contro Vendola c’era Raffaele Fitto. Ma da mercoledì scorso è arrivato Silvio Berlusconi, e da allora non se ne è più andato. E’ calato, non solo fisicamente, a Bari. Ma simbolicamente e metafisicamente, in tutta la campagna elettorale. Percorri in lungo e in largo la Puglia, e scopri che questo duello asimmetrico – la carnalità itinerante di Vendola contro l’immaterialità ieratica del presidente del Consiglio – è diventato uno spettacolo di massa. Folla oceanica per la chiusura di Vendola a Maglie (cioè a casa di Fitto). Folla oceanica a Lecce (cioè anche dietro il palco); folla oceanica anche a Bari (cioè ovunque, qualcuno persino arrampicato sugli alberelli), in questa lunga notte in cui si chiude la lotteria di una storia, o di una “narrazione”, come direbbe Nichi. Se vince il leader di sinistra e libertà viene proiettato sulla ribalta nazionale come possibile demolitore del belrusconismo: se perde si sgretola come un prestigiatore a cui non è riuscito il numero più atteso.
Vendola lo sa, e lo sanno anche i suoi avversari. Ed infatti l’altro paradosso è che sulla scena, in ogni caso, c’è solo lui. Se passi mezz’ora su una qualsiasi radio privata pugliese, senti sempre e soltanto la sua voce. Già, perché Vendola è il protagonista degli spot (pochi) del suo comitato. Ma anche di quelli (tantissimi) dei suoi avversari. Gli spot di Palese, infatti, ripetono a disco rotto una frase del leader di Sinistra e libertà, critica con la sua coalizione. Oppure una sulla sanità. Oppure una sulla Puglia. Insomma, una campagna moderna all’americana – mai vista in queste dimensioni in Italia – una campagna personalizzata e "contro". Lui non solo non se ne dispiace; con un movimento sorprendente, ma tipico della sua carriera, raccoglie l’accusa e la rilancia: “Voi lo sapete: i nemici del cambiamento sono ovunque. Talvolta sono anche nel centrosinistraaaa!”, ripete fra gli applausi a Polignano a Mare. E' lo schema di ribaltamento: Vendola 2.0 è un upgrade sorprendente che ormai si celebra in ogni comizio. E la sfida al presidente del consiglio è il cuore simbolico del nucleo narrativo della campagna elettorale, e strappa risate e lacrime in ogni piazza: “Vedete, noi dobbiamo aiutare Berlusconi…”. Grida isolate: “Noooohh…”. Vendola, serafico: “E invece sì, dobbiamo aiutarlo. In primo luogo ad accettare se stesso. Tanto per cominiciare, a 74 anni, si dovrebbe riposare un po’…” (risate). “Sì, perché immaginate la tragedia di quest’uomo che ogni volta che suda si deve rifare il trucco… Vedete, il berlusconismo – grida Vendola – non è solo la malattia di un singolo uomo, ma è la malattia di tutta la nostra società. E’ la malattia di chi si tinge i capelli e si spiana le rughe perché pensa che la bellezza sia solo una perfezione levigata, una cosmesi tutta muscoli e curve!” (boato). “E invece – qui la voce si tende, si arrochisce, diventa quasi un grido – noi ci sentiamo belli perché non siamo perfetti….” (voci: “Siii!”, “vai Nichi!!!!”). “Noi ci sentiamo belli perché siamo tutti diversi!!!. E perché siamo fragili!!! E perché spesso di fronte alle prove della vita, al disagio, ai soldi che non ci sono, a noi ci si spezza la voce nel petto… e ci tremano le gambe! Noi siamo belli perché siamo imperfetti, siamo belli perché ci piacciono i capelli bianchi e le rughe!!!”.
In tutte le piazze della Puglia Vendola ripete questa, e tante altre parabole rovesciate. Negli ultimi dieci anni non si ricordano politici che strappano applausi esordendo così: “Guardate, ve lo confesso… Ho fatto anche io del disavanzo…. Ho fatto disavanzo io e lo hanno fatto anche Palese e Fitto… Solo che noi lo abbiamo fatto per comprare le pet e le macchine delle risonanze magnetiche!!! Perché abbiamo portato l’elisoccorso e la telecardiologia dove prima si moriva per un infarto!!!! Perché abbiamo tolto le trappole dei topi dalle corsie!!!” (altro boato). “abbiamo preso la Puglia che era il medioevo, il Burundi e l’abbiamo portata nella modernità”. Il gioco del rovesciamento si replica ancora, sempre: “Nella mia legislatura ci sono state molte luci, e anche delle ombre” (e la folla grida: “Nichi noooo!!”). E lui: “Sì, invece: ci sono delle ombre. Perché la strada da fare era tanta, difficile, e perché si impara strada facendo”. Poi, prendendo il toro per le corna: “Voglio ricordare a Silvio Berlusconi, che ha avuto il coraggio di venire da noi a ricordarci delle nostre inchieste – ruggisce – che Sandro Frisullo non è più nella mia giunta dall’anno scorso, quando non era ancora nemmeno iscritto nel registro degli indagati!!” (applausi). “Mentre il ministro Fitto continua a restare al suo posto malgrado sia iscritto da anni nel registro degli indagati, sotto inchiesta, imputato!!!”. Vendola sfida Berlusconi sul terreno garantismo: “Vogliamo esserlo anche noi, sì, garantisti! Ma con i morti di fame! Con chi non ha l’avvocato! Con chi non parla l’Italiano! Con i poveracci che finiscono nelle galere, e non con gli evasori e con gli imputati eccellenti!!”.
Attraversi la Puglia da un capo all’altro, chilometri su chilometri. In ogni piazza piccola e grande, la rappresentazione di Vendola attira migliaia di curiosi. Palese non fa nemmeno il comizio di chiusura. E’ una sfida strana, una guerra asimmetrica. Dicono: con la poesia si possono vincere le primarie, ma la regione si vince con il consenso. Eppure Vendola parla esplicitamente – è il primo leader di centrosinistra che lo fa – anche agli elettori di destra: “Io so che una parte di loro – dice pubblicamente – voterà per me, pur di dare un segnale. Perché vogliono una classe dirigente diversa. Non si meritano una classe dirigente petulante, intristita e bombarola”. Nel Salento Vendola entra nei paesi raccontandoli. In ogni piazza a metà comizio si interrompe, indica qualcuno, lo chiama per nome, racconta la sua storia. Oppure mostra una foto, evoca un ricordo. Vendola racconta la Puglia alla Puglia, come la propria autobiografia. A Bari, nel cuore della notte cita spiega parabole evangeliche. In ogni città cita con precisione maniacale i dati sull’energia, quelli per la tutela del paesaggio, quelli per gli incentivi ai giovani e alle piccole imprese i kilowatt prodotti con l’eolico. In ogni piazza corona la sua apologia rovesciata elogiando i diversi: “Sapete quando ho sentito di aver governato bene? Un giorno che in regione è venuto a trovarmi un ragazzo diversamente abile, uno dei diecimila a cui abbiamo portato un computer a casa per liberarli dalle loro prigioni civili…”. Pausa. “Ebbene, quel giorno, quando mi hanno detto che era venuto mi sono preoccupato, pensavo che fosse accaduto qualcosa. Invece – racconta – era venuto perché voleva raccontarmi di persona che con il computer aveva trovato la fidanzata. La fidanzata, capite? E allora voglio dirvi – e di nuovo grida – che non esistono normodotati… Siamo tutti diversamente abiliìììì!!!!”. A Terlizzi, a mezzanotte, nel suo paese, dove c’è la madre e chi l’ha visto crescere, il ribaltamento dei ribaltamentirispondendo a chi lo ha attaccato imputandogli di non aver fatto abbastanza per il suo paese: “Io non ho fatto per voi quello che potevo, è vero. Perché noi vinciamo contro l’idea e contro la cultura della clientela: perché per me tutti i comuni della Puglia devono essere uguali!!!”. Lo applaudono anche lì, anche mentre dice questo. Se poi lo votano anche, e se poi vince, avendo detto tutto questo, in ogni piazza, l’antiberlusconismo non sarà più una cultura anti. Ma – per la prima volta – un’altra cultura.
Rispondi