Un crepuscolo veltrodalemiano? Il contraccolpo del voto, a via del Nazzareno, mette in crisi le due (ex) culture forti del Pd. Rischia di morire nella culla la fondazione Democratica che Walter Veltroni avrebbe dovuto battezzare fra due settimane. Era tutto pronto, la data del varo ufficiale era stata fissata per il 15 aprile, la nuova struttura – voluta e promossa dall’ex sindaco di Roma – avrebbe dovuto essere, in primo luogo una scuola di formazione politica capace di alimentare il dibattito nel Pd, aperta a intellettuali di estrazioni diversissime, e capace di rilanciare il progetto ambizioso del discorso del Lingotto: tra i promotori originari c’erano l’ex prodiano Tiziano Treu e l’ex dalemiana Claudia Mancina, il “padre nobile del Pd Michele Salvati, il giuslavorista libera Pietro Ichino. Invece, come è noto, per ora non se ne fa nulla: esordio rinviato, e rivolta di buona parte dei promotori originari, che hanno sentito l’odore di una operazione correntizia quando hanno scoperto che Veltroni voleva assumere la direzione dela fondazione in prima persona. Risultato: un vertice agitato tra gli intellettuali più in vista, e alla fine con Veltroni è rimasto solo il gruppo animato dal democrat Salvatore Vassallo. Laconico l’intervento di Tiziano Treu: “Non voglio che Democratica diventi simile a Italianieuropei o a Red e rappresenti solo una parte del Pd”. Quanto a Salvati, che il giorni migliori Veltroni aveva definito “Il vero padre del Pd”, ha gettato la spugna ancora prima, tirandosi fuori con una letterina di di stanziamento da cui traspariva una nota di delusione.Così, insieme a questa operazione ambiziosa a rischio aborto, si celebra l’ennesimo strascico post elettorale nel Pd, l’ennesimo assestamento tellurico che vede in crisi le strutture organizzate e l’egemonia culturale e politica nel partito delle ex falangi veltroniane e dalemiane. Già, perché se Atene piange Sparta non ride. Mentre l’ex sindaco di Roma si lecca le ferite per questo infortunio (il varo della fondazione dovrebbe essere rinviato dal 15 al 20 aprile, ma il progetto sembra in ogni caso ridimensionato) anche il lider maximo qualche colpo lo ha preso. In Puglia, dove ha trionfato – malgrado la sua opposizione strenua – Nichi Vendola, persino un ex fedelissimo come Nicola Latorre adesso sembra avvicinarsi al neo-governatore del tacco d’Italia. “E’ per via della moglie – spiega ironico Vendola – che è una santa donna, molto illuminata”. “Avevo i vendoliani in casa”, si schermisce Latorre, raccontando che la sua dolce metà “Ha una passione per Nichi”. Ma intanto un pezzo del correntone che fu, si sta riposizionando. L’altro nucleo forte, quello del dalemismo talentino è in rotta, e suonano come un epilogo gli ultimi verbali di interrogatorio di Sandro Frisullo: “Non sapevo che le donne con cui mi aveva messo in contatto Tarantini erano escort: mi sembravano delle ragazze colte e magari un po’ disinibito – ha provato a raccontare ai giudici – erano molto preparate, parlavamo della politica francese, di Segolene Royal”. Come no. Anche di Sartre e di Simone de Beauvoir, probabilmente. E che dire di quel Michele Mazzarano, anche lui coinvolto nell’inchiesta e accusato da Tarantini di essere destinatario di tangenti? “Mi dimetto e sospendo la mia campagna elettorale”, aveva annunciato. Poi, eletto lo stesso, se l’è cavata così: “La mia Massafra ha risposto con affetto e solidarietà alle ombre piovute su di me. Andrò in consiglio». Eppure, in modo diverso, si tratta di due crepuscoli paralleli. L’ex premier (che aveva ingiuriato una inviata dell’Infedele di Gad Lerner dandole della “Fascista” per una domanda su Frisullo) non è stato in grado di produrre una sola parola di riflessione o di autocritica sulla disfatta giudiziaria degli uomini a lui più vicini. Mentre Veltroni non è riuscito ad elaborare un percorso alternativo a quello del bersanismo. Ai tempi delle candidature si è prodotto in Umbria uno strappo (affatto simbolico) con l’ala franceschiana dell’opposizione interna, che ha scaricato in maniera clamorosa il suo candidato, l’ex tesoriere Luigi Agostini. Adesso Walter incassa un fuggi-fuggi generale. L’imprenditore Massimo Calearo se n’è andato con l’Udc. La fanciulla che fu la vestale del veltronismo ai tempi delle politiche – Marianna Madia – sembra oggi molto vicina – non solo per la contiguità dello scranno a Montecitorio allo stesso D’Alema. Il loft non esiste più. Ma in realtà, se Veltroni e D’Alema avevano l’ambizione di incarnare la tattica e la strategia, va detto che entrambi sono entrati in crisi sul terreno elettivo che si erano scelti. La tattica di D’Alema, che in queste regionali puntava tutto sull’alleanza con Casini si scontra con un risultato opposto a quello sperato: Udc determinante contro la sinistra (Lazio e Campania) e non determinante a favore (Piemonte). Quanto alla grande strategia di Veltroni, la cosiddetta “Vocazione maggioritaria”, è l’altro cadavere estratto dalle macerie di questo voto: con il Pd che raccoglie con fatica un quarto dell’elettorato, è impossibile considerarlo un progetto serio. Insomma: zio Massimo e zio Walter sono in crisi. E il pragmatismo bersaniano, nel suo grigiore di apparato, appare addirittura più solido nella conduzione del partito, perché rinnega i dogmi dei due grandi rivali: Bersani ammette la necessità di ricostruire la coalizione, e non sembra intenzionato a consegnare la premiership nelle mani di Casini. Piùche una fondazione Democratica, però, è un Annozero.
di Luca Telese
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