Roma, 12 maggio 1977, 33 anni fa. I più giovani non se lo ricordano l’agente Giovanni Santone. Nella giornata più feroce degli anni di piombo, apparve come uno spettro, in mezzo al fumo negli scontri fra polizia e manifestanti. Vestito “da compagno studente”: folta chioma riccioluta, maglia sportiva bianca con striscia alla Charlie Brown, borsello a tracolla. E una pistola in mano. I “fotografi democratici” (come si diceva allora) lo immortalarono al fianco di un blindato identificandolo come poliziotto infiltrato. Fu scandalo: Forattini disegnò Santone con le fattezze di Cossiga, i radicali fecero un manifesto con il ministro dell’interno: “Il mandante”. Mai prima di allora la cosiddetta “Controinformazione” aveva prodotto prove documentarie sulla presenza di agenti in borghese armati. Quel giorno moriva, colpita da proiettile anonimo, Giorgiana Masi.
Genova, luglio 2001. L’immagine che non si scorda, fra tante, è un ispettore di polizia che prende un ragazzo a calci in faccia. Di questa efferata sequenza – volto sfigurato, sangue, ecchimosi – esistono almeno tre diverse riprese, come di tutti gli scontri di quei giorni: il G8 è stato il primo rito di violenza collettivo immortalato da un coro di testimonianze video. Dopo di allora nulla è stato come prima. Cosa unisce i casi di Cucchi e Aldrovandi? Che la prova delle percosse è fornita dalle foto obitoriali delle autopsie, coraggiosamente diffuse dalle famiglie. usate come arma mediatica. Per Giuseppe Uva, a Varese, la prova dell’aggressione è incastonata nelle telefonate dell’amico al 118. Nel presunto pestaggio della caserma di Ferrara, le immagini impresse nel circuito chiuso sono arrivate fino al Tg3. A Teramo l’incredibile disposizione delle guardie carcerarie (“Il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto…”) è stata catturata da un telefonino. La violenza su Stefano Gugliotta sarebbe una diceria, se gli abitanti di viale Pinturicchio non avessero filmato con i cellulari. Un operatore si è preso un pugno per documentare gli scontri all’Olimpico. A noi non interessa il disco rotto delle forze dell’ordine che fanno il loro dovere (ovviamente è vero). E nemmeno chiederci se ci sia più o meno violenza che negli anni ‘70: l’opinione pubblica oggi questa violenza la vede, documentata in modo inoppugnabile da una sorta “Grande fratello democratico” che ha mille occhi: è in ogni strada, in tutte le città. Ha ragione il Secolo, a pretendere che il ministro parli. Che il governo non dica nulla sulle violenze denunciate è grave. Ma che pensi di poter tacere di fronte ai video-pestaggi di Stato è inaccettabile.
di Luca Telese
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