Azione dimostrativa. Vogliono bruciare pure quello, ma la polizia interviene per impedirlo. Si sta per accendere una colluttazione. Tino Tellini (uno dei leader degli operai della Vinyls che da quattro mesi hanno occupato l’isola dell’Asinara) ha in mano una bottiglia di alcol. Le forze dell’ordine in tenuta antisommossa intervengono, ma non ricorrono alla mano dura. I villeggianti della Costa Smeralda scappano spaventati, la piazzetta si spopola. Il fantoccio resta conteso in una foresta di mani. Per dieci minuti la situazione è fuori controllo, si teme il peggio: una carica violenta, manganellate. Poi una delle tute blu della Vinyls, Marco Olia, ha una di quelle trovate folli e geniali: sale sull’albero, impicca il fantoccio e si mette a cantare come un’aria da stadio: “Non mol-le-re-mo ma-i! Non mol-le-re-mo ma-i!”. E allora, solo allora, l’adrenalina si scarica, nella rabbiosa energia di un coro.
Camuffamento e tute. È andato a finire così, ieri mattina, il blitz pianificato dagli operai in cassa integrazione della Vinyls che da mesi occupano (senza ottenere nessuna risposta dalle autorità di questo Paese) l’Isola dell’Asinara e la Torre Aragonese. Erano partiti alle sette del mattino con cinque macchine, salti mortali per pagare la benzina, e vestiti da villeggianti per non dare nell’occhio. Ma qualcosa era trapelato, la polizia li aspettava, assieme a una selva di telecamere: “Secondo me i nostri telefonini sono sorvegliati”, scherza Tellini. L’idea è quella di un raid di forte impatto simbolico. Rompere lo splendido isolamento del porticciolo dei “Vip”, quello dei motoscafi da 24 metri e delle barche in leasing con l’affitto che costa come un appartamento.
Rossomori Vs. Cayman. “Abbiamo portato la bandiera dei quattro mori e il tricolore – spiega ancora Tellini – perché fosse chiaro che noi siamo cittadini sardi e italiani, che pagano le tasse e vogliono solo poter lavorare. E abbiamo bruciato la bandiera delle Cayman perché è il simbolo dell’altra Itaia, l’Italia extraterritoriale, l’Italia che se la spassa e gode, evadendo le tasse, mentre il resto del Paese tira la cinghia”.
Panini a caro prezzo. Memorabile il comizio improvvisato con il megafono, prima dell’intervento delle Forze dell’ordine. Se lo passano di mano in mano, ma ripetendo le stesse cose: “Scusateci per il disturbo – hanno gridato – la nostra non vuol essere un’azione di disturbo, ma vorremmo far capire anche a voi che in Sardegna non ci sono solo questi dieci chilometri di Costa, in Sardegna vi è anche chi lotta per vedere riconosciuto uno stipendio da 20 euro, gli stessi che voi spendete in questo posto per un caffè!”. Già, pare una battuta. Invece, per rifocillarsi dopo il viaggio e dopo il putiferio suscitato, i venti operai sono dovuti andare in uno dei bar della piazzetta: acqua e gelati: 120 euro alla cassa. Scuote la testa Roberto Carta: “Questi sono pazzi”.
Crisi nazionale. La verità è che sono bastate alcune centinaia di chilometri per colmare la distanza fra le due Sardegne che non si incontrano mai: quella dei nababbi e quella dei nuovi disoccupati. “Il fantoccio ha spiegato un altro dei guerriglieri in tuta blu, Stefano Masperi – è simbolo della dirigenza Eni dal quale aspettiamo ancora delle risposte”. E la verità è proprio questa: in un Paese in cui gli operai della chimica sono saliti sulla Torre Aragonese di Porto Torres il 7 gennaio, non c’è ancora un ministro per lo Sviluppo economico e nessuno che sembra potersi prendere a cuore i destini della chimica sarda e di quella veneta (che passano entrambi per Porto Torres). Se la Vinyls chiude, mezza Sardegna dal sud al nord (e un pezzo di Porto Marghera) rischiano di spopolarsi. È per questo che gli operai hanno fatto i loro raid. Il primo fuori dall’Asinara da quando è iniziata la crisi. E quasi sicuramente – visto il gusto che sembrano aver provato – non l’ultimo.
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