Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Addio a Francesco Cossiga. I misteri del Gattosardo

E' MORTO FRANCESCO COSSIGA

(AGI) – Roma, 17 ago. – Il Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga e' morto al Policlinico Gemelli alle 13.18. L'ex capo dello Stato era ricoverato in terapia intensiva dal 9 agosto per una insufficienza cardio-respiratoria, e le sue condizioni si erano improvvisamente aggravate la scorsa notte. (AGI) red 171327 AGO 10 NNNN

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Una volta andai a casa di Francesco Cossiga per un ciclo di interviste sui soldi e il potere. Gli chiesi quanto avesse dentro il portafogli: “Oh, bella – rispose – non lo so!”. Chiamò il suo caposcorta. Si fece portare un portafoglio. Scuotendolo sul tavolino dello studio, nello stupore di tutti, risultò che dentro c’erano solo un assegno in bianco e 58 centesimi in monetine. Sospirò: “Da quando sono diventato presidente della repubblica ho la cattiva abitudine di non adoperarlo più… Però è anche vero questo: Nella mia vita in denaro non conta nulla, mi è del tutto indifferente!”. Così mi raccontò subito un altro aneddoto, irresistibile: “Non finga. Leggo una velata critica nei suoi occhi…. Sappia questo: non ho mai voluto abitare nell’alloggio presidenziale. Sono in questa casa da sempre, in affitto e pago, più o meno, 3 milioni e mezzo di lire. Ebbene – sorrise l’ex presidente – tempo fa è venuto a cena, mio ospite, Antoine Bernheim, presidente delle Assicurazioni Generali che possiedono il palazzo, uno degli uomini più potenti dell’economia italiana….”. Cossiga, nella sua passione anedottica, preparava sempre il colpo di scena con teatralità, e il colpo di scena, infatti, arrivò: “Bene, il giorno dopo, per una incredibile combinazione, mi è arrivato lo sfratto. E poi la gente pensa che il Potere possa tutto…”. Era accaduto davvero. Ma lui rimase nell’appartamento.
GRAN BORGHESE E SOVRANO. Era l’immagine migliore per raccontare il misto di spartanità e di regalità che accompagnava il presidente emerito, un po’ gran borghese sassarese, un po’ sovrano in esilio. Viveva con la sua pensione da senatore, nella casa di Prati foderata di ricordi e di tecnologia, protetta dagli uomini della scorta – quasi una seconda famiglia – senza trascurare mai di ricordare (con una punta di perfidia): “Lo sa che Carlo Azeglio Ciampi gode di un milione e mezzo euro l’anno per la sua pensione di ex governatore di Bankitalia!? La differenza fra i politici e i tecnocrati è tutta qui”. Spendeva tutto in hi-tech e in viaggi era convinto difensore degli appannaggi da ex capo di Stato: “Se prevalessero le baggianate anti-Casta la politica la farebbero solo i ricchi”. Era molto contento che i cellulari glieli regalassero le ditte produttrici, come raccontava, per testarli e per farsi pubblicità: “Ho sette computer portatili, dodici linee telefoniche, dodici cellulari. E poi, ovviamente, una collezione di 12 pistole….”. Era un uomo di realpolitik e se ne vantava. Entravi a casa sua e trovavi la foto della Tatcher e le collezioni dei soldatini. Licenziando il suo ultimo libro, “Fotti il potere”, intimò all’editore Aliberti: “Ci deve essere sopra una fascetta con questa prescrizione, altrimenti non si stampa: “Tenere lontano dalla portata degli idealisti…”. E così fu.
SPIETATEZZA, REALPOLITIK E CAPELLI BIANCHI. Disse frasi feroci sui poliziotti infiltrati nei cortei negli anni settanta, suggerì che Giorgiana Masi fosse morta, nel 1977 per “fuoco amico”. Ma fu altrettanto spietato con se stesso: “Aldo Moro l’ho ucciso io”. Raccontò, e a molti altri: “Il giorno dopo il ritrovamento del cadavere, i capelli mi diventarono bianchi”. E aggiungeva: “Anche se non ho concorso ad ammazzarlo mi sento anche io assassino. Sapevo benissimo che la linea della fermezza avrebbe portato alla sua morte”. Era stato, fin dalla fine degli anni ’50, il sottosegretario alla difesa dei rapporti atlantici, “l’uomo di Gladio”, come raccontava lui stesso con autoironica civetteria: “Alla Camera – aggiungeva con orgoglio – mi presi un pugno in faccia da Gian Carlo Pajetta dopo intervento in difesa dell’intervento americano in Vietnam!”. Rivendicava un merito: “La cosa di cui vado più orgoglioso è aver schierato i missili a Comiso in risposta alla provocazione di Breznev”. Ma era anche l’unico politico che poteva dire con vanto: “Ho fatto eleggere presidente del Consiglio Massimo D’Alema, portando un ex comunista a palazzo Chigi e mettendo fine alla guerra fredda”.
COSSIGHISMO OSSIMORICO. Era, a ben vedere, l’uomo degli ossimori. Molto cattolico, ma molto liberale, amico dei Papi, ma cultore delle libertà individuali, ultrasardo ma cosmopolita, devoto ma favorevole alle Unioni civili, uomo di relazioni internazionali, ma anche partigiano di tutte le cause indipendentiste, al punto che ogni viaggio in Spagna produceva una crisi diplomatica: “Omaggiando i baschi ho fatto incazzare Aznar. La cosa mi da enorme soddisfazione….”. Militarista fino al midollo, ma tra i pochi che votò al Senato con Rifondazione contro l’intervento in Iraq: “Io sono un guerrafondaio – spiego a Claudio Sabelli Fioretti – ma le guerre si fanno quando sono ragionevoli. Esportare la democrazia è una fregnaccia!”. Esibiva con orgoglio un libro di Paolo Giovanni II con una dedica affettuosa, ma aggiungeva: “Io non mi sarei mai genuflesso davanti al Papa, come ha fatto Rutelli. Un leader politico non si inginocchia di fronte alla Chiesa. Ho un concetto laico dello Stato”.
IL PICCONATORE. Trovare un posto, una collocazione a Cossiga, nella storia, non sarà facile. Fu sicuramente e fino in fondo uomo della prima repubblica. Ma ne fu allo stesso tempo il picconatore lucido e implacabile, il suo vero esecutore testamentario. Ne era consapevole. Gli piaceva ricordare che il termine “picconatore” era stato inventato da Mario Pirani: “Se potessi tornare indietro me ne starei zitto e buono. Non ne valeva la pena. Ma ero incazzato come una belva e non potevo tacere”. Fu anche il levatore della seconda repubblica, prima come sdoganatore dei post-missini, poi del dipietrismo, poi dei post-comunisti, poi come sdoganatore dell’ultimo Craxi, (quello di Hammamet, che però definiva “latitante”), e quindi come peggiore avversario di Silvio Berlusconi (ma anche, in seguito, come suo alleato). Anche questo, in fondo lo riteneva un fallimento. A Paolo Franchi consegnò una analisi impietosa ma esatta: “La prima repubblica è morta. La seconda non è mai nata. L’ibrido che c’è adesso sta morendo. Chissà cosa sarà la terza”.
BERLUSCONI, L’ANTICRISTO. Il suo complicato rapporto di amore odio con Berlusconi meriterebbe la stesura di un saggio. Nel 1999, quando per far nascere il centrosinistra dalemiano si inventò dal nulla L’Udr, i “quattro gatti cossighiani” e “gli straccioni di Valmy”, arrivò quasi a proporsi come anti-Cavaliere: “Faccio il matto perché non avendo forza politica alle spalle per riuscire a farmi sentire devo perforare i televisori”. E poi, dopo averlo sommerso di epiteti feroci, rivelò lui stesso un siparietto delizioso: “Berlusconi mi rimproverò offeso: ‘Lei mi ha dato dell’Anticristo!’. E io: ‘Ma Cavaliere! Si tratta di una figura grandiosa della letteratura filosofica russa del XVIII secolo, uno dei capolavori di Solovev!’. Berlusconi rimase interdetto e poi mi disse: ‘Mmmh…Mi mandi il libro’”. Un quadretto che si sposava bene con un’altra battuta, davvero folgorante: “Berlusconi è più colto di quello che sembra: ma ha letto più libri contabili che testi di cultura”. Anche quando aveva dato il suo appoggio al centrodestra, Cossiga continuava a porre il problema del conflitto di interessi: “Non ho niente contro i ricchi, per me possono anche comandare: ma in democrazia lo devono fare su un mandato elettorale conferito per le loro idee, non grazie agli strumenti di persuasione che si sono procurati con le loro ricchezze”. Per spiegare le leggi ad personam ricorreva ad un ricordo di Infanzia: “Quando il commissario civile in Sardegna, il vecchio magistrato Pinna, autorizzò l’emissione di assegni circolari sostitutivi della valuta, chiesi a mio padre. Come è possibile? E lui: ‘Proitte chi comanda faghet leze’. Ovvero: perché chi comanda fa le leggi. E’ vero ancora oggi”.
FOOL SCESPIRIANO. In realtà, il fatto che frugando nell’archivio del cossighismo – volendo – si possa trovare tutto e il contrario di tutto, non deve fare velo al fatto che su alcuni temi la sua linearità sia stata indiscutibile. Così come non c’è dubbio che Cossiga fu il primo politico di primo piano a mettere in scena il privato, ad esibirlo a trasformarlo – molto prima di Berlusconi – in uno strumento di comunicazione politica: “Mi volevano mandare a casa con la camicia di forza. Dicevano che ero in preda a una terapia neuro vegetativa. In realtà facevo il matto per poter dire la verità come il fool del teatro elisabettiano”. Oppure, in un’altra delle ottocento interviste che oggi affollano l’archivio della Camera: “Mi hanno operato di colon al retto, sono malato di stanchezza cronica… Quando ho le crisi scrivo fiumi di pagine, attacco, insulto la gente, rompo le balle più del solito”. Inventando “il Club K”, e annoverandone gli altri soci, fece sapere al mondo che Ciampi aveva un tumore (e sicuramente l’interessato non ne fu contento). Regalando mutande all’onorevole Athos De Luca o una confezione di “Cluedo” al procuratore Cordova rese i suoi doni materia da corsivismo politico. Oppure trasformandosi in Dj (sempre K) per la radio2 di Sabelli Fioretti.
L’AVATER E IL GATTOSARDO. Bisognava passarci, una giornata con lui. La mattina dettava una dichiarazione alle agenzie (spesso l’Andn Kronos dell’amico Marra), poi magari chiamava un avversario politico chiedendo di polemizzarci contro duramente, infine dettava retroscena informatissimi sulla polemica a Roberto D’Agostino, che lo celebrava come “il gattosardo”, inserendo tutte le sue esternazioni in una sorta di ciclo cavalleresco segnato dall’epigrafe: “Cossiga sulla biga”. E che dire delle immagini? Una volta, insieme al fotografo Letterio Pomara, riuscimmo a convincerlo a posare con il piccone. Ma si era anche fatto fotografare in pigiama da Camera o con la divisa dei carabinieri, o mentre soffiava le candeline su una enorme torta a forma di scudocrociato. Aveva la passione per le carriere militari, ogni tanto sospirava: “Sono capitano di fregata. Ma per fare carriera dovrebbe scoppiare una guerra!”. Allo stesso tempo, ogni anno volava in Irlanda, dove si era costruito una sorta di Avatar di se stesso: “Appena arrivo a Dublino indosso vecchi vestiti, frequento i pub, seguo le tracce delle bevute di Joice in Duke’s Street. Nei locali ci sono le mie foto. E una volta una famigliari turisti italiani mi chiese: ‘Ma lei è veramente Cossiga?’”. La cosa lo divertiva immensamente: “Prima ho risposto ‘No’ per vedere le facce. Poi li ho rincorsi e ci siamo fatti la foto insieme”.
DIVINITA’ ANNOIATA. Forse però la chiave di una intera biografia era un’altra. Cossiga era, prima di tutto, un enfant prodige: “Sono stato il più giovane presidente della repubblica. E devo tutto a una caduta di bicicletta da bambino: persi due mesi di scuola e mi dovetti ritirare per recuperare, studiando ho saltato le classi arrivando alla laurea a 19 anni e mezzo”. Era vero. Era arrivato ovunque, e troppo presto. E svanita l’illusione di battezzare una nuova era politica, talvolta guardava il mondo come una divinità annoiata, talvolta con le lenti del cinismo. Avendo visto due repubbliche agonizzare, e avendo conosciuto i grandi, provava disprezzo per i figuranti della politica. Era sempre diviso: “La zuppa si fa con quello che c’è”, diceva per giustificare l’arruolamento di qualche mezzatacca fra i suoi “straccioni” udierrini. Ma poi ogni tanto scuoteva la testa: “Siamo circondati dai nani”. Una mattina lesse su un giornale una intervista del suo alleato, Clemente Mastella con cui aveva appena fondato un partito: “Cossiga è come un attaccapanni a cui appendo il cappello”. Chiamo Mario Calabresi, allora giovane cronista dell’Ansa e gli dettò una frase-bomba: “L’Udr non esiste più” (era durata solo 12 ore, il partito più breve della storia d’Italia). Le sue telefonate mattutine ad amici e nemici divennero leggendarie. Ad un’altra giornalista, Denise Pardo, consegnò un autoritratto memorabile: “Sono ciclotimico come Churchill, Kirkegaard, Newton e Roosvelt. In me c’è un omino bianco e uno nero: il primo fa le battute e va alle feste, l’altro è pascaliano e un po’ giansenista”. Le rivelò persino una sorta di anatema contro il cossighismo: “Conosco l’unico modo per neutralizzare Cossiga: sostenere che le cose che dice non fanno ridere e ridendo dei suoi discorsi seri. Ne uscirebbe distrutto” (era vero, ma nessuno riuscì a metterlo in pratica). Una volta promise solennemente: “Non rilascerò più dichiarazioni”. Resistette tre mesi, poi ruppe il voto: “Soffrivo come un pazzo”: Diceva che le prime voci sulla sua follia le aveva messe in giro De Mita: “Raccontò che mi avevano fatto l’elettrochoc, non glielo ho mai perdonato”. Aveva anche altri odi, come quello per la vedova Moro: “Se incontravi Aldo intrno alle 22.00 era una disastro, perché pur di non tornare a casa da lei rimaneva a parlarti fino a notte fonda”. Gli piaceva sfoggiare la leppa, il coltello tradizionale sardo spiegando: “Va offerto tenendolo per la lama”. In televisione, a “Cronache Marziane”, raccontò che una sera, a cena con lady Diana, scoprì che la principessa si era tolta le scarpe: “Non resistetti alla tentazione di spingerle lontano con i piedi per vedere come avrebbe reagito”. E cosa aveva fatto Lady D? “Si era alzata, scalza, come nulla fosse, e aveva raccolto le scarpe”.
DIECI CENTO COSSIGA. Alla fine degli anni novanta si inventò uno pseudonimo “Franco Mauri”, per scrivere su Libero. Ma poi, aggiunse la costruzione di una identità, il profilo di un giovane praticante, e gli fece persino pubblicare un libro corredato da una sua foto giovanile. Non pago aggiunse anche un altro psedunimo, Mauro Franchi, che pubblicava su Il Riformista: “Uno per il centrodestra e uno per il centrosinistra”, aggiunse. Conosceva tutti i giornalisti, ammirava Paolo Mieli, detestava Marco Travaglio: “Sono anti-travaglista totale. Però quanto bravo…”.
MASCHILISTA SARDO. Raccontava che Da bambino era “innamorato di Laura Siglienti figlia di Stefano, ministro delle finanze del primo governo Bonomi”. Raccontava di questo e di mille amori giovanili, ma curiosamente non raccontava mai di sua moglie, la Peppa, né conservava sue foto: “Il matrimonio è stato annullato dalla sacra Rota, i miei figli non vogliono che la citi”. Panorama gli attribuì un flirt con Federica Sciarelli, cosa talmente infondata che vinse 89 milioni in una causa. Ma lui scherzava su anche su quello: “Che male c’è nello sposarsi ad ottant’anni? Nessuno se si ha la vocazione a diventare cornuto”. E aggiungeva: “Come sardo sono maschilista. Ma credo nella società patriarcale”.
UN COMUNISTA MANCATO. Raccontava di aver letto tutto Marx e Lenin: “Da ragazzo sono stato ad un passo dal diventare comunista”. Poi, però, aggiungeva: “Ai tempi di San Francesco sarei stato domenicano. Perché tra i francescani è nato l’estremismo per cui la povertà è virtù e la ricchezza è un vizio. L’egualitarismo ha livellato tutti verso il basso, non verso l’alto”. Poi aggiungeva sornione: “Però, se fossi stato comunista sarei sicuramente diventato stalinista. Sono uno serio”. Definiva D’Alema “Il meglio figo del bigoncio”, e Veltroni “il gatto Felix”, dissertò a lungo, parlando di Romano Prodi sulla distinzione fra “Menagramo, iettatore e vindice, Romano appartiene di sicuro alla terza categoria: pericoloso per i suoi nemici”. Esibiva quasi come una prova di buona paternità il fatto che suo figlio Giuseppe fosse “anticomunista viscerale”, e che sua figlia Annamaria “innamorata dei liberal in America, credeva che Bertinotti fosse il loro corrispondente italiano e tornava per votare Rifondazione”. Appena lui era entrato al Quirinale il primo era andato in Francia e la seconda in America. Giurava, e con orgoglio, di aver visto la famosa scritta Kossiga con la kappa e la doppia essere runica “persino sul muro di Berlino”. Però al congresso del Pds si arrabbiò con Minniti: “Ma siete ammattiti che non suonate l’internazionale?”. Ottenne l’esecuzione e cantò pure lui.
AMNISTIARE TUTTI. Accettò di girare, un documentario-reality con il regista Alex Infascelli, chiudendosi per tre giorni con Adriana Faranda in una casa a discutere degli anni di piombo. Giocò la parte del gatto e del topo, e alla fine disse all’ex brigatista: “Avevate vinto. Ma non l’avevate capito”. Poi aggiunse: “Forse perché sardo, durante i 55 giorni divenni d’acciaio e di ghiaccio, privo di emozioni. Dovevo esserlo anche di fronte ai carabinieri, alla polizia, alle forze dello Stato. Poi crollai”. Di ex terroristi, rossi e neri, sembrava quasi che facesse collezione, andandoli a trovare in carcere uno dopo l’altro: “Quando Franceschini si iscrisse al Pd, un ergastolano mi chiese la tessera dell’Udr”. Francesca Mambro, che con Valerio Fioravanti progettò di ammazzarlo con fucili di grosso calibro gli portava la figlia Arianna a casa per gli auguri di Natale: “Lessi tutte le carte, il vostro era una attentato ben congegnato”, commentava, come se si trattasse di trascorsi affettuosi. Era convinto che dopo la guerra più feroce l’amnistia fosse un obbligo: tutti i terroristi fuori dal carcere, la grazia a Sofri, l’impunità per tutti i delitti politici. Allo stesso tempo minimizzava il ruolo della P2 e si arrabbiava quando gli ricordavano che nel suo ministero, durante il sequestro Moro era circondato da piduisti: “L’ho scoperto dopo!”. Quando Steve Piecznick, il consulente antiterrorismo mandato dagli americani raccontò di “Aver assolto in mandato di uccidere Moro”, lo insultò furibodamente: “E’ un ciarlatano”. Amnistiare tutti forse, voleva dire anche amnistiare se stesso. A suo parere “Piazza Fontana era opera dei fascisti”, “la strage di Bologna dei palestinesi”, e “Il missile di Ustica dei francesi, che volevano uccidere Gheddafi”. Erano le verità negate che nessun altro avrebbe potuto dire. Diceva di non avere più segreti, né scheletri negli armadi, ma conoscendolo c’è da giurare che abbia predisposto manoscritti postumi e rivelazioni. Se ne va consegnandoci l’ultimo paradosso beffardo: non lascia nessun erede politico, ma anche un enorme senso di vuoto, nel tempo angusto di questa terza repubblica che ha descritto come nessun altro “popolato di ex, e affollato di nani”.

Luca Telese
luca@lucatelese.it


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24 risposte a “Addio a Francesco Cossiga. I misteri del Gattosardo”

  1. Avatar Neuromancer

    Sicuramente non era una simpatica canaglia. Come del resto questo pezzo non è un simpatico cenotafio. Un animale politico a quanto pare e se il caso vuole magari le sue carte postume potrebbero fornirci spunti intelligenti per cosa è stata la politica italiana nella Guerra Fredda.

  2. Avatar Luca Telese

    Questo articolo non aveva l’obiettivo di essere “simpatico”. E’ un ritratto di come io ho visto e conosciuto Cossiga, in venti anni in cui la mia carriera di cronista si è incrociata con la sua.

  3. Avatar Antonio
    Antonio

    Forse mi sbaglio ma sono del parere che Cossiga non abbia detto quasi nulla di quello che sapeva sul caso Moro. Perchè proprio Moro ? Chi si voleva colpire ? quale il ruolo dei servizi segreti ? quali servizi segreti ? quale il ruolo della P2 ? ecc ecc Cossiga era ministro dell’ Interno, è mai possibile che sapesse solo cose generiche ? molto meno di quello che poi hanno rivelato fonti giornalistiche varie ? Secondo me Cossiga i capelli bianchi li ha fatti non per la morte di Moro, ma per le troppe e gravi cose che sapeva e che ha saputo e che non ha mai confessato. Il delitto Moro è stato il passaggio cruciale di una fase politica, di un accordo che avrebbe cambiato il volto dell’Italia. E per dirla con Don Rodrigo dei Promessi Sposi “questo matrimonio non s’ha da fare”. Visto il bel libro “qualcuno era comunista” che hai scritto, perchè non fai un libro inchiesta sul delitto Moro ?

  4. Avatar gigione
    gigione

    Mah, uno dei peggiori esempi di uomo politico che l’italia ha prodotto.

    L’antistato per eccellenza. In democrazie vere la gente come lui (basti pensare agli altri referenti politici di Gladio in giro per l’europa) è finita il galera.

    Qui, dove gladio ha fatto più morti, il referente politico principale è diventato presidente (emerito) della repubblica.

    E comunque, sulle stragi, su ustica, e su moro avrebbero dovuto interrogarlo fino a cavargli fuori l’anima, invece gli hanno confezionato il pacco di pannoloni e lo hanno spedito a fare il pensionato con scorta.

    Per fortuna il tempo è galantuomo e come per altri misteri d’Italia
    (le stragi di magia ad esempio) le verità verranno fuori e questa gente troverà il giusto posto nella storia, non dalla parte dei buoni.

    Eccezionale, siamo un popolo spacciato: incensiamo i nostri peggiori aguzzini.

  5. Avatar Dario Petrolati

    NON DOBBIAMO DIMENTICARE
    CERCARE DI CAPIRE
    ORA E’ PRESTO
    NON SO SE RIUSCIREMO MAI A COMPRENDERE A PIENO CHI E’ STATO
    LA SUA SCOMPARSA E’ UNA INDUBBIA PERDITA PER LA PATRIA-LA NOSTRA NAZIONE
    MINIMO CHE POSSIAMO FARE E’ TACERE E PENSARE IN SILENZIO SENZA SPROLOQUIARE

    ALMENO RISPETTO

    E’ STATO UN UOMO INTELLIGENTE E SOLO

    PERSONALMENTE MI DISPIACE PER OGNI GIUDIZIO ESPRESSO

    CREDO SIA PER NOI TUTTI UN DOVERE TRIBUTARLI ALMENO ORA SILENZIO E RISPETTO-

    dario

  6. Avatar Luciano Conte
    Luciano Conte

    Al di di tutto ciò che viene riportato in questo articolo mi è rimasto impresso il fatto che Carlo Azelio Ciampi ha una PENSIONE di un milione e mezzo di euro. Per un’operaio come me che andrà in pensione …forse è uno schiaffo notevole.

  7. Avatar gigione
    gigione

    Allora, invece dei coccodrilli e degli elogi funebri parliamo di FATTI.

    Il rispetto da morto uno se lo conquista da vivo. E da vivo il signore in questione era tutto meno che uno stinco di santo.

    Parliamo di un uomo che si inventava balle e calunnie per annichilire VERI servitori dello stato (Livatino fra tutti, e lasciamo stare gli altri).

    Parliamo di uno che nascose e gestiva politicamente la cellula italiana di un’organizzazione ILLEGALE in Italia, che storicamente non servì mai a nulla se non a destabilizzare democrazie che cercavano di nascere .

    Un’organizzazione che fece morti Germania ed in Italia, in nome di NULLA.

    E la storia e le inchieste dimostreranno a cosa serviva veramente stay behind e di cosa si è macchiata l’organizzazione “Gladio” in Italia.

    Era uno che per primo calunniava (cioè accusava di cose FALSE) i morti (dalla Chiesa per primo) sapendo che non potevano difendersi. Adesso c’è gente che si offende perchè su di lui si accontano cose VERE.

    Era uno che ordinò di mandare i CARRI ARMATI a bologna contro studenti che manifestano pacifici e nei quali erano infiltrati poliziotti.

    Per ottenere cosa ? NULLA.

    Era uno che ha raccontato 4 versioni diverse di quello che sapeva (o faceva finta di sapere) sull’omicidio moro, su Bologna, su Milano.

    Era uno che che frequentava un paio di Hotel a Londra, dove volava ogni volta che doveva chiedere COSA poteva dire alla stampa Italiana e cosa doveva fare.

    Se non siete TOTALMENTE STUPIDI capirete chi incontrava a Londra.

    Alla faccia della dell’uomo libero, veniva pilotato da Londra come un burattino e questo era il nostro presidente della repubblica !

    Ha preso per il culo per 40 anni la sua nazione, sapendo

  8. Avatar Dario Bonacina
    Dario Bonacina

    Caro LUca, meno male che c’è qualcuno che manitene un minimo di equilibrio.

  9. Avatar Renzo C
    Renzo C

    Ancora in coda di moderazione?
    E’ in difficoltà a replicare?
    Su coraggio, Telese, può farcela anche lei a confezionare un “armonico magmatico”.
    Non sa cos’è?
    Chieda a Travaglio, lui è un espertone dell’ armonico magmatico :)

    Cordialità
    Renzo

  10. Avatar margherita
    margherita

    solo Scalfari oggi ha scritto la verità

  11. Avatar cilios
    cilios

    La puntata di In onda di ieri sera è stata molto piacevole.Personalmente non ho mai avuto grande stima per Cossiga (i politici conterranei che adoro sono di un’altra stoffa:Enrico Berlinguer e Renato Soru) ma sicuramente non si può negare che è stato uno che ha fatto tanto discutere così come Andreotti.Io non apprezzo personaggi di tal fatta,compreso Berlusconi,perchè amo la correttezza morale e la linearità;non mi interessa focalizzare l’attenzione su quanto uno è intelligente o su quanto è capace di far soldi.

  12. Avatar aghost

    il “grande uomo di stato” è lo stesso che, da presidente del Senato, NASCONDEVA ARAFAT sul quale era stato spiccato mandato di cattura e ricercato dai carabinieri? Dai su, un minimo di decenza…

  13. Avatar margherita
    margherita

    l’orrido incontro tra Cossiga e la Faranda

  14. Avatar nadia
    nadia

    E insisti a sviolinare Cossiga…ho letto tutto l’ articolo., aprrezzabile l’impegno che ci hai messo, ma non credo che chi (e sono in tanti) provasse disistima, leggendoti abbia minimamente cambiato parere.

  15. Avatar irene

    Bello, davvero bello! Complimenti Luca!

    W Cossiga

    Cossiga: «Dal punto di vista tecnico la nostra Carta è tra le peggiori dei dopoguerra: un compromesso tra corporativismo cattolico e principi sovietici»

    Corriere della Sera del 19 agosto 2010 – pagina 2

  16. Avatar Minnie
    Minnie

    Credo che la confessione finale di Andreotti ne il Divo, possa essere la confessione di tutta una clase dirigente politica italiana dal dopoguerra alla fine della cosiddetta prima Repubblica., di cui fece parte anche Francesco Cossiga. Anche se le malefatte non sono finite con la prima ahinoi! Le ricordo:
    “La responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984, e che hanno avuto per la precisione 236 morti e 817 feriti. A tutti i familiari delle vittime io dico: sì, confesso. Confesso: è stata anche per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve. Lo stragismo per destabilizzare il Paese, provocare terrore, per isolare le parti politiche estreme e rafforzare i partiti di Centro come la Democrazia Cristiana l’hanno definita “Strategia della Tensione” – sarebbe più corretto dire “Strategia della Sopravvivenza”. Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Giovanni, Mino, il caro Aldo, per vocazione o per necessità ma tutti irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch’io”

  17. Avatar Celso Vassalini

    Riflessioni dal Partito di Alleanza di Centro: a nuotare s’impara nuotando, a fare politica s’impara impegnandosi. – Celso Vassalini
    “C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia”. Queste parole non le ha dette un leader dell’antipolitica, ma don Luigi Sturzo cinquant’anni fa (Il Popolo, 16 dicembre 1956). Oggi, il fossato tra società civile e istituzioni democratiche, tra i cittadini e quella che ormai è indicata con il nome spregevole di casta si è allargato smisuratamente. La politica è ammalata. Dunque, per prepararsi a fare politica, la prima cosa da fare è pensare di guarirla. Come? La politica non s’impara sui banchi. O meglio: lo studio ci vuole, ma non basta. A nuotare s’impara nuotando. A fare politica s’impara impegnandosi. Ciò significa prepararsi contemporaneamente su due piani: su quello dell’intelligenza critica e su quello dell’azione profetica. Bisogna chiedersi anzitutto perché la politica è ammalata. La ragione di fondo è che essa ha perduto la sua tensione ideale, ha smarrito il suo fondamento etico. Ora, il fine della politica è il bene comune, cioè la politica è l’arte di unire tutti nel rispetto delle diversità. Ma, come riuscirvi se prima non si colma il deficit etico delle nostre democrazie? Per restituire un’anima alla politica, occorre ripartire dalle fondamenta. Una delle grandi ambizioni della democrazia moderna era che si sarebbe alimentata autonomamente e spontaneamente da se stessa. Questa aspirazione – commenta Norberto Bobbio – non si è realizzata: la storia ha dimostrato che la democrazia non è in grado di autoalimentarsi, non è autosufficiente. Mons Luciano Monari nostro Vescovo va oltre e afferma che il sistema democratico non può conservare le proprie risorse morali senza l’aiuto della coscienza religiosa. In altre parole, lo Stato democratico, da un lato deve evitare di trasformare la sua laicità in una sorta di religione (laicismo), dall’altro senza divenire Stato etico o confessionale, non può fare a meno del contributo che la coscienza religiosa dà alla formazione e al consolidamento del tessuto della società. La storia recente conferma il contributo rilevante che la religione dà alla difesa della democrazia: basti pensare alla parte da essa avuta nell’abbattimento del Muro di Berlino, nella sconfitta delle dittature in America Latina o nella lotta alla mafia che questo Governo sta con successo concretizzando. “Solo Stati autenticamente laici in cui la laicità non sia una religione alternativa di Stato ma uno spazio di libera espressione garantita a tutte le confessioni religiose, potranno favorire la convivenza e al tempo stesso l’apporto delle religioni all’arricchimento del tessuto etico della società. Si delinea un suggestivo intreccio: la laicità dello Stato garantisce la libera espressione e convivenza delle religioni, ma le libere espressioni della esperienza religiosa garantiscono il necessario apporto etico alla democrazia e la stessa laicità” Dunque, la realizzazione di una buona politica dipende pure dalla maturità con cui i cristiani si pongono nei confronti della democrazia, rispettosi della sua laicità. Oggi è possibile realizzare questo incontro tra cristiani e laici, senza tuttavia nascondersi le difficoltà di un dialogo spesso strumentale e i rischi del relativismo etico. Infatti, democrazia laica e cristianesimo hanno in comune fondamentali esigenze etiche, a cominciare dai valori di libertà, uguaglianza e universalità dei diritti umani, di dignità della persona. A tal punto, da poter affermare che questi valori, nati con l’illuminismo, sono in realtà di origine cristiana. Anzi – puntualizza Benedetto XVI – l’illuminismo (e quindi lo spirito della democrazia) ha contribuito a rimettere in luce la razionalità originaria della religione del logos, e ha contribuito a liberare il cristianesimo da condizionamenti storici e politici che avevano finito col trasformarlo in religione di Stato. Tuttavia, mentre si fa chiarezza sul piano dell’intelligenza critica, bisogna esercitarsi nel confronto tra fede e ragione sul piano storico per sanare la frattura tra etica e politica, che oggi si è allargata smisuratamente. Il dialogo è lo strumento privilegiato dell’incontro tra la ragione e la fede, tra credenti e non credenti; non solo a livello teorico, ma a livello operativo e politico. L’arte del dialogo è tanto più necessaria oggi, quando problemi gravissimi – come quelli cosiddetti eticamente sensibili, insieme a quelli della pace, della salvaguardia del creato, della convivenza multietnica e multiculturale – esigono l’incontro e la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, quale che sia la loro razza, la loro cultura, la loro religione. La strada del dialogo è l’unica per andare oltre le contrapposizioni, per fare unità nella diversità, mantenendo ciascuno le proprie radici e la propria storia, ma superandosi in una visione superiore del bene comune. Il dialogo, però, è un’arte. È indispensabile, quindi, che imparino a esercitarla quanti si preparano a fare politica in un sistema democratico. In conclusione, c’è bisogno di cittadini che siano cristiani adulti e maturi, che realizzino nella propria vita la sintesi tra spiritualità e professionalità, capaci cioè di tradurre in carità politica la luce e la forza che vengono dalla fede. In questa sintesi sta il segreto della formazione dei fedeli laici all’impegno politico. Benedetto XVI riassume così: “Missione dei fedeli laici è di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità. […] la carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come carità sociale”. Allora con il Segretario del Cittadino Saulo Maffezzoni di Alleanza di Centro, abbiamo realizzato con il Circolo Culturale “SIR THOMAS MORE”, iniziative-formative per risvegliare la passione politica alla coscienza critica dell’azione. Poi il nostro impegno è stato di condividere con gli amici della Lega Nord, un confronto politico a tutto campo sulla progettazione politico – culturale, formativa e sulle scelte amministrative Cittadine. Da Brescia, un’addio al Presidente Francesco Cossiga, Padre nobile della galleria della prima Repubblica.

    Celso Vassalini

  18. Avatar Celso Vassalini
    Celso Vassalini

    “C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia”. Queste parole non le ha dette un leader dell’antipolitica, ma don Luigi Sturzo cinquant’anni fa (Il Popolo, 16 dicembre 1956). Oggi, il fossato tra società civile e istituzioni democratiche, tra i cittadini e quella che ormai è indicata con il nome spregevole di casta si è allargato smisuratamente. La politica è ammalata. Dunque, per prepararsi a fare politica, la prima cosa da fare è pensare di guarirla. Come? La politica non s’impara sui banchi. O meglio: lo studio ci vuole, ma non basta. A nuotare s’impara nuotando. A fare politica s’impara impegnandosi. Ciò significa prepararsi contemporaneamente su due piani: su quello dell’intelligenza critica e su quello dell’azione profetica. Bisogna chiedersi anzitutto perché la politica è ammalata. La ragione di fondo è che essa ha perduto la sua tensione ideale, ha smarrito il suo fondamento etico. Ora, il fine della politica è il bene comune, cioè la politica è l’arte di unire tutti nel rispetto delle diversità. Ma, come riuscirvi se prima non si colma il deficit etico delle nostre democrazie? Per restituire un’anima alla politica, occorre ripartire dalle fondamenta. Una delle grandi ambizioni della democrazia moderna era che si sarebbe alimentata autonomamente e spontaneamente da se stessa. Questa aspirazione – commenta Norberto Bobbio – non si è realizzata: la storia ha dimostrato che la democrazia non è in grado di autoalimentarsi, non è autosufficiente. Mons Luciano Monari nostro Vescovo va oltre e afferma che il sistema democratico non può conservare le proprie risorse morali senza l’aiuto della coscienza religiosa. In altre parole, lo Stato democratico, da un lato deve evitare di trasformare la sua laicità in una sorta di religione (laicismo), dall’altro senza divenire Stato etico o confessionale, non può fare a meno del contributo che la coscienza religiosa dà alla formazione e al consolidamento del tessuto della società. La storia recente conferma il contributo rilevante che la religione dà alla difesa della democrazia: basti pensare alla parte da essa avuta nell’abbattimento del Muro di Berlino, nella sconfitta delle dittature in America Latina o nella lotta alla mafia che questo Governo sta con successo concretizzando. “Solo Stati autenticamente laici in cui la laicità non sia una religione alternativa di Stato ma uno spazio di libera espressione garantita a tutte le confessioni religiose, potranno favorire la convivenza e al tempo stesso l’apporto delle religioni all’arricchimento del tessuto etico della società. Si delinea un suggestivo intreccio: la laicità dello Stato garantisce la libera espressione e convivenza delle religioni, ma le libere espressioni della esperienza religiosa garantiscono il necessario apporto etico alla democrazia e la stessa laicità” Dunque, la realizzazione di una buona politica dipende pure dalla maturità con cui i cristiani si pongono nei confronti della democrazia, rispettosi della sua laicità. Oggi è possibile realizzare questo incontro tra cristiani e laici, senza tuttavia nascondersi le difficoltà di un dialogo spesso strumentale e i rischi del relativismo etico. Infatti, democrazia laica e cristianesimo hanno in comune fondamentali esigenze etiche, a cominciare dai valori di libertà, uguaglianza e universalità dei diritti umani, di dignità della persona. A tal punto, da poter affermare che questi valori, nati con l’illuminismo, sono in realtà di origine cristiana. Anzi – puntualizza Benedetto XVI – l’illuminismo (e quindi lo spirito della democrazia) ha contribuito a rimettere in luce la razionalità originaria della religione del logos, e ha contribuito a liberare il cristianesimo da condizionamenti storici e politici che avevano finito col trasformarlo in religione di Stato. Tuttavia, mentre si fa chiarezza sul piano dell’intelligenza critica, bisogna esercitarsi nel confronto tra fede e ragione sul piano storico per sanare la frattura tra etica e politica, che oggi si è allargata smisuratamente. Il dialogo è lo strumento privilegiato dell’incontro tra la ragione e la fede, tra credenti e non credenti; non solo a livello teorico, ma a livello operativo e politico. L’arte del dialogo è tanto più necessaria oggi, quando problemi gravissimi – come quelli cosiddetti eticamente sensibili, insieme a quelli della pace, della salvaguardia del creato, della convivenza multietnica e multiculturale – esigono l’incontro e la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, quale che sia la loro razza, la loro cultura, la loro religione. La strada del dialogo è l’unica per andare oltre le contrapposizioni, per fare unità nella diversità, mantenendo ciascuno le proprie radici e la propria storia, ma superandosi in una visione superiore del bene comune. Il dialogo, però, è un’arte. È indispensabile, quindi, che imparino a esercitarla quanti si preparano a fare politica in un sistema democratico. In conclusione, c’è bisogno di cittadini che siano cristiani adulti e maturi, che realizzino nella propria vita la sintesi tra spiritualità e professionalità, capaci cioè di tradurre in carità politica la luce e la forza che vengono dalla fede. In questa sintesi sta il segreto della formazione dei fedeli laici all’impegno politico. Benedetto XVI riassume così: “Missione dei fedeli laici è di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità. […] la carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come carità sociale”. Allora con il Segretario del Cittadino Saulo Maffezzoni di Alleanza di Centro, abbiamo realizzato con il Circolo Culturale “SIR THOMAS MORE”, iniziative-formative per risvegliare la passione politica alla coscienza critica dell’azione. Poi il nostro impegno è stato di condividere con gli amici della Lega Nord, un confronto politico a tutto campo sulla progettazione politico – culturale, formativa e sulle scelte amministrative Cittadine. Da Brescia, un’addio al Presidente Francesco Cossiga, Padre nobile della galleria della prima Repubblica.

    Celso Vassalini

  19. Avatar Reggiano
    Reggiano

    Cmq bell’articolo, Kossiga o Cossiga che sia, un personaggio inquietante come Dart Vader. I politici attuali, a confronto, sono come i Sette nani! Speriamo che abbia lasciato qualche scritto che ci racconti i retroscena della sua vita. Non mi stupirei se i suoi portatili sparissero misteriosamente.

  20. Avatar Celso Vassalini
    Celso Vassalini

    Addio alla “Donna, Moglie e Mamma” Noretta Moro,
    morta a 94 anni la moglie dello statista. Era contraria alla strategia
    della fermezza. Il marito la invitò a disertare il suo funerale e lei lo fece.
    Addio Noretta, come il Presidente On. Aldo Moro chiamava
    affettuosamente sua moglie, Eleonora Chiavarelli. Che gli è
    sopravvissuta di 32 anni portandosi per intero nella tomba il dolore e la
    rabbia – sì, anche la rabbia – di quei 55 lunghissimi giorni del 1978. Tanti
    ne trascorsero, tra il 16 marzo e il 9 maggio di quell’anno, dal sequestro
    del marito al suo truce assassinio per mano delle brigate rosse. Delle
    quali mi ripugnano le maiuscole che ancora rivendicano alla loro
    organizzazione i superstiti capi e militanti, cioè macellai. Essi ancora
    vorrebbero spiegarci, da pentiti in cattedra o da ospiti di troppo
    disinvolti salotti televisivi, di avere sognato in buona fede la rivoluzione,
    o di avere voluto vendicare una Resistenza tradita dal solito Stato
    imperialista, autoritario, golpista, corrotto e via sproloquiando. In quei
    terribili 55 giorni la povera Noretta, che ci ha appena lasciato alla
    veneranda età di 94 anni, si battè come una leonessa per difendere il
    diritto alla vita del suo uomo e del padre dei suoi quattro figli, prima
    ancora del politico impietosamente abbandonato ai suoi aguzzini da
    molti di quelli che, nella suo Partito e altrove, ne avevano sino ad un
    momento prima inseguito i favori. O che, dimentichi o pentiti del no
    irrazionalmente e ingenerosamente opposto alla fine del 1971 alla sua
    candidatura alla Presidenza della Repubblica, alla scadenza del
    mandato di Giuseppe Saragat, ne davano per scontata alla fine di
    quel tragico anno l’elezione al Quirinale per succedere a Giovanni
    Leone. La signora Moro in quei giorni non ebbe riguardi per nessuno.
    Rifiutò ogni gesto d’ipocrisia. Da moglie fedele si fece esecutrice
    accanita di tutti i desideri, i consigli e gli appelli che, dal covo
    brigatista in cui era rinchiuso, il marito le lanciava nell’unico modo
    consentitogli dai suoi carcerieri: con le lettere, non tutte peraltro
    consegnate a destinazione. Noretta fu di una fedeltà straziante anche
    nella richiesta del marito di disertare, in polemica con le cosiddette
    autorità dello Stato, la solenne cerimonia funebre in suo onore. Eppure
    essa fu celebrata dal Papa in persona, Paolo VI. Che, dopo avere
    inutilmente pregato «in ginocchio» nei giorni precedenti i terroristi di
    salvare la vita al loro ostaggio, levò il suo grido di dolore e di delusione
    anche a Dio sotto le volte della Basilica romana di San Giovanni.
    Probabilmente non è stato di conforto alla vedova Moro, o ne ha
    addirittura aumentato la rabbia, e giustamente, assistere nei suoi
    2
    ultimi, anzi ultimissimi anni di vita, a troppo tardive ammissioni di colpe
    o di errori da parte di alcuni dei fautori e degli attori della cosiddetta
    linea della fermezza. Che impedì durante la lunga e drammatica
    prigionia di Moro di sperimentare davvero tutte le strade possibili – e ve
    n’erano – per strappare vivo l’ostaggio ai suoi aguzzini, anche
    inserendosi nei loro sempre più evidenti o ravvisabili contrasti. L’On.
    Presidente Aldo Moro: era uno statista vero, non di quelli finti che da
    sinistra si propongono di tanto in tanto alle nostre cronache con
    ipocriti richiami proprio a lui, il marito della Noretta che si è appena
    ricongiunta al suo uomo, nell’eternità di quella misteriosa “luce” di cui
    Moro le scrisse nella sua ultima lettera, quando i suoi aguzzini gli
    comunicarono che era tutto finito, anche il vergognoso intreccio
    d’inganni in cui lo avevano avvolto dopo averlo sequestrato tra il
    sangue della scorta sterminata in via Fani, a poche centinaia di metri
    da casa. Noretta Moro Donna, Madre e Sposa è simile alle molte
    Donne Italiane che con fede e sacrificio portano avanti con dignità le
    nostre famiglie. Grazie Noretta e a Voi Donne Italiane, non attendo
    l’otto marzo per ricordarvi, ma siete per noi tutti esempio da seguire
    ogni giorno nel vostro silenzio e nella sofferenza. Ecco uno dei magici
    segreti che fa grande il nostro Paese.
    Celso Vassalini

  21. Avatar Celso Vassalini
    Celso Vassalini

    Fu pienamente uomo di Stato
    Cortese direttore, gradirei di essere ospitato dal suo giornale con questa mia riflessione
    che è anche parte della mia storia, in quanto uomo di cultura socialista.

    Cortese direttore, gradirei di essere ospitato dal suo giornale con questa mia riflessione
    che è anche parte della mia storia, in quanto uomo di cultura socialista.
    Nella storia dell’uomo, è successo a gente molto meglio di Craxi e molto peggio di Craxi:
    Craxi muore tecnicamente da latitante. Dopo tanti anni dalla sua morte questo termine
    non è più adatto. Craxi fu certamente un politico di primo ordine, di prima grandezza, ma
    che probabilmente sottovalutò, non seppe valutare a pieno la conseguenza di alcune sue
    scelte. Poi sono personalmente convinto che a quel discorso nel 1992 alla Camera dei
    Deputati se vi fosse stato qualcuno che si fosse alzato, per condividere quelle affermazioni
    rispondenti alla realtà, forse le cose potevano andare diversamente. Anche se ritengo che
    sul punto dell’esiliato o del latitante si dovrebbe ora fare definitivamente chiarezza.
    Se fosse stato un latitante il Governo italiano e la magistratura avrebbero dovuto
    perseguirlo e arrestarlo. Questa è la condizione reale giuridica di un rifugiato politico, che
    perseguitato nella sua patria trovò ospitalità e protezione da un Governo, come quello
    tunisino, amico, che aveva normali rapporti diplomatici con il nostro paese. Quindi la sua
    condizione reale è questa, quella di un rifugiato politico protetto da un governo amico
    dell’Italia, perché in Italia quello che era la dizione del tempo, era nei suoi confronti ben
    più di un fumo di persecuzione, ma apparenza di persecuzione. Il teorema sul quale è
    stato condannato – cioè non poteva non sapere ciò che chiunque nel partito faceva,
    approfittando del finanziamento illecito, magari per scopi personali.
    Beh, questo è un teorema assolutamente falso. Non c’era stata solo una dilatazione di
    finanziamento illecito nella realtà soprattutto del governo locale, dunque province e
    regioni e comuni, gli enti locali. Ciò era la conseguenza di due fattori diversi: il primo è
    stato quel processo di democratizzazione senza obiettivi, la moltiplicazione di luoghi
    decisionali, consigli di zona, consigli sanitari, consigli di unità scolastiche, la
    moltiplicazione di enti locali in tutti quei luoghi nei quali qualcuno aveva una
    responsabilità. Cittadini venivano investiti di responsabilità e purtroppo spesso questa
    2
    responsabilità è stata trasformata in un potere di veto o di ricatto o di estorsione, nei casi
    peggiori. Quindi c’era stata una dilatazione della corruzione, soprattutto ripeto a livello
    locale.
    E il secondo aspetto cambia completamente lo scenario politico mondiale, crollano i
    muri, il nemico di un tempo cioè il comunismo non è più il nemico agli occhi
    dell’occidente e questo libera certamente delle forze e creerà una situazione politica
    italiana certamente nuova, in cui forze anti-sistema, il Movimento Sociale post fascista, la
    Lega forza nuova di quell’epoca già aveva preso l’8% e da allora ad oggi non si muove da
    lì. E il Partito comunista come potenziale interlocutore non è più guardato come forza
    anti sistema anche agli occhi della Regina di Inghilterra.
    Se riusciamo a fare sintesi, intrecciando le varie analisi che in questi giorni appaiono, ci
    avvicineremo molto, secondo me, alla verità storica; ma occorrerebbe fare sintesi delle
    cose che appaiono, la reazione dei poteri forti, dei poteri finanziari c’è stata, irruzione di
    un fattore assolutamente inaspettato, irruzione della forza per quanto ammantata di
    legalità, che ha sconvolto i giochi politici. E c’è stata una sottovalutazione o una non
    perfetta comprensione, da parte di Craxi, delle conseguenze dei crolli dei muri e una certa
    superbia nell’affrontare la questione comunista. E’ l’insieme di questi fattori che spiega
    quello che è successo. E tutto questo non stupisce di Craxi, che era un uomo di grande
    visione del futuro: la fine dell’Unione Sovietica, il rapporto con mondo arabo, ecc. Craxi
    creò il primo Ministero dell’Ambiente in questo paese, il primo Ministero per le Pari
    Opportunità, ecc.
    Poi vorrei fare una osservazione che ho sentito in questi giorni, perché non mi pare sia un
    modo per rendere adeguato riconoscimento a Craxi, quello di dire: ci basterebbe fosse
    considerato come l’on. Berlinguer o come l’on. De Mita. No, Craxi è stato molto di più di
    Berlinguer e di De Mita che sono stati dei politici di grande rispetto, però sono stati
    leader di partito, essenzialmente non sono stati altro che questo, non hanno inciso nella
    realtà italiana, non hanno cambiato il modo di governare e attraverso il governo anche
    fatti importanti della società italiana.
    Craxi è stato ben più grande, è stato un uomo che ha agito, che ha cambiato, che ha fatto,
    oltre essere stato un leader politico come De Mita e Berlinguer, è stato un uomo di Stato
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    in senso proprio. E lo è stato quando era, qui in Italia, e secondo me è stato grande anche
    nel rifugio tunisino e rimase come un punto di dissenso, di contestazioni contro molti vizi
    nazionali. Contro la cultura dell’odio, ma anche quella dell’ipocrisia e anche contro quel
    perbenismo.
    Ecco, Craxi era anti borghese in questo senso. Contro quel perbenismo tipicamente
    borghese che purtroppo permea una parte importante della nostra società, della nostra
    cultura che non vuole mai andare a fondo nelle questioni. No, lui rimane un punto di
    contestazione e in questo sta la sua grandezza, oltre essere stato un grande uomo di Stato.
    La storia del nostro paese, delle nostre città, nonostante quello che noi forse pensiamo,
    diciamo, è una storia molto drammatica; ecco, non è la storia di Alberto Sordi, per
    esempio. É una storia anche tragica, tant’è vero che noi abbiamo due eventi drammatici
    che si ricollegano con le vicende che ho descritto. La morte dell’on. Aldo Moro, ma anche
    la morte dell’on. Enrico Berlinguer, hanno un taglio drammatico. E poi la fine della
    vicenda dell’on. Presidente Benedetto Craxi.
    Noi abbiamo bisogno di sbarazzarci delle categorie dell’odio e di quelle dell’amore: qui
    non si tratta di far ricorso a queste due categorie. Per riesaminare la vicenda, che non è la
    vicenda di Craxi, è la vicenda nostra, della storia del nostro Paese, abbiamo bisogno di
    ricorrere alla categoria della ragione. Lasciamo stare l’odio e l’amore e cerchiamo di
    capire meglio di quanto è stato fatto finora, cosa ha rappresentato Craxi, le sue idee e i
    suoi progetti e anche le cause del suo fallimento, è la storia del nostro Paese.
    Sarebbe stato meglio se alcune di quelle ipotesi avessero trovato un elemento positivo,
    come io auspico, per il bene delle nostre città e per gli uomini e donne onesti che tengono
    nel loro cuore i valori fondanti, per il bene dei propri cittadini.
    Celso Vassalini

  22. Avatar Celso Vassalini
    Celso Vassalini

    Mentre ancora metabolizzavo della clamorosa sentenza sulla strage di Piazza della Loggia dove allora lo Stato non seppe proteggere i suoi figli adulti seppelliti senza verità. Nell’apprendere la notizia del tragico pensavo ancora una volta non siamo stati in grado di proteggere i nostri ragazzi dalla volontà assassina che ha prescelto, con logica disumana, ragazzi inermi come bersaglio. Se il nostro Paese (e intendo gli individui che popolano questo nostro Paese) avesse bisogno di verità, la verità si sarebbe trovata, non solo nei suoi aspetti genericamente politici, ma anche nei suoi aspetti materiali (i colpevoli: una categoria che manzonianamente com-prende i peccatori e gli istigatori al peccato. Gli esecutori e i mandanti). Il tempo per trovare la verità c’era e ci è stato con¬cesso. La mia generazione avrebbe potuto smetterla di vivere di rimpianti (le marce, le assemblee ver-bose, la rivoluzione permanente, gli hasta siempre, i titanici assalti al cielo). Avrebbe potuto compiere un passo: andare alla ricerca –per quanto è umanamente possibile– della verità. In modo accanito, permanente, radicale, ininterrotto. Non è stato così, se non in modo superficiale. La nostra esperienza, evedentemente, non è stata per noi così importante. E se una generazione dimostra di non nutrire interesse per la propria esperienza, vuol dire che non ha interesse per nessuna altra esperienza umana. Non ha bisogno di verità. Piazza della Loggia è metafora di una ferita che segna la mia generazione e che è destinata a non rimarginarsi mai. Mi sento percorso da emozioni che fatico a tenere a bada. La sentenza su Piazza della Loggia è metafora di una realtà che ha segnato una generazione e gli individui che la compongono (una generazione è composta da individui, dopotutto, e que-sto non dobbiamo mai scordarlo). E’ la prima volta che viene colpita una scuola”, ”un segnale che loro, i criminali, ci sono ancora”. Dal mondo dei giovani e dell’istruzione, si sottolinea infatti, ”sono nati i veri, grandi movimenti di orgoglio e di lotta contro la passività delle generazioni precedenti’. Un attentato con il quale è stato colpito il simbolo dell’innocenza”. Si è arrivati a colpire la scuola, il simbolo dell’innocenza e della voglia di progresso. E’ una situazione che non desta solo preoccupazione, fa piombare nell’angoscia. E prevale un sentimento di rabbia per giovani vite innocenti strappate. Rispetto ad azioni di tale entità, non è accettabile che si possa morire da innocenti mentre si raggiunge la scuola, il luogo del sapere. E’ evidente l’intenzione di ammazzare delle vittime innocenti, adesso è il momento di reagire in maniera unanime e compatta, senza retorica. Urge reagire per porre fine ad ogni azione violenta ed illegale. E’ necessario continuare nell’azione antimafia soprattutto tra le giovani generazioni. Dobbiamo risvegliare le coscienze e tenere sempre alta la guardia. La mafia teme più un maestro di scuola che cento carabinieri, diceva il giudice Caponnetto, l’attentato di oggi ne è la dimostrazione. Nessun colpevole! Nessun colpevole! Nessun colpevole!. Il ritornello della giustizia formale si ripete nelle aule dei tribunali, dove da quasi 40 anni si cerca di scoprire i mandanti e gli esecutori delle “Stragi di Stato”, che hanno insanguinato il nostro paese, procurato morti, feriti e dolore. Che hanno impedito il regolare corso della democrazia in Italia, bloccando per oltre due decenni qualsiasi cambiamento nei vertici del potere politico e istituzionale. Nel profondo di una crisi economica, sociale, politica e culturale, quest’ennesimo schiaffo al popolo italiano suona come una beffa, un insulto alla razionalità e alla “verità popolare. Ricordo e porto nel mio cuore la testimonianza del Beato Papa Giovanni Paolo II “Mafiosi pentitevi, verrà il giorno del Giudizio di Dio”. Alzò la sua voce possente dalla collina di Agrigento contro il maleficio storico che affligge questo Paese che lui amava, questa Paese che lo emozionava per i suoi contrasti, per la sua natura resa matrigna dalla mano dell’uomo, per quegli uomini che sapevano non arrendersi. Ed in ogni occasione seppe toccare tutti noi. Le sue visite furono vissute tra la gente e per la gente, compromesse con le tragedie ed i mali antichi e moderni di questo popolo. Seppe perdonare con dolcezza e tuonare, come Gesù nel Tempio, contro il tumore inarginabile. Abbracciò i genitori del giudice Livatino pronunciando una frase di indiscutibile laicità “Non posso non ricordare i figli d’ Italia caduti per affermare gli ideali di giustizia e di legalità”. Giustizia e legalità su questa terra, ora, in questa vita terrena e non nel regno dei cieli. Un’umana esigenza, poco trascendente, ma dalla quale deve sempre passare la strada per il Paradiso dei cristiani. Grazie al Beato Papa Giovanni Paolo II Giustizia e legalità, ancora una volta e per sempre riaffermate come irrinunciabili valori civili. Ridiede vita al celebre discorso “Sagunto espugnata” che il cardinale Pappalardo aveva pronunciato davanti alla bara di Dalla Chiesa. In questa terra l’Italia che amava seppe essere violento con chi di violenza e sopruso campava, non negò il perdono a chi si fosse convertito nel corso della vita terrena, nulla concesse ai mafiosi che inchiodò con il perentorio “Mafiosi pentitevi, verrà il giorno del Giudizio di Dio” puntando il suo indice accusatorio. Ogni mattina ho l’onore di passare da Piazza della Loggia ricordando piazza Fontana, la stazione di Bologna, a Capaci, oggi Ancora una volta non siamo stati in grado di proteggere i nostri ragazzi arrivederci Uomini e Donne senza verità… ciao Melissa. Perdonaci se quelli della mia generazione non siamo stati capaci di tutelarti.. perdonaci.
    Celso Vassalini
    Brescia

  23. Avatar Celso Vassalini

    Quando Pertini scriveva: “cara mamma, non voglio la grazia”.
    Siamo ormai all’aperto ricatto nei confronti del presidente della Repubblica, alle minacce contro il moribondo governo Letta. Subito il Colle ha fatto sapere che il provvedimento di clemenza non può essere richiesto da due capigruppo. Una risposta si spera puramente sarcastica, come lo fu il comunicato del Quirinale quando il direttore di Libero, Belpietro detto il “ringhio”, parlò di una trattativa per graziare B. nel caso di condanna definitiva. Fece rispondere Napolitano che “queste speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato” erano “un segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale”. Ora che il futuro è diventato “tremendamente” presente, possiamo solo aspettarci che ai ricatti eversivi si sappia dare la più adeguata risposta e si chiamino i Carabinieri per l’esecuzione della sentenza. In un altro Paese il Cavaliere Sen. Silvio Berlusconi sarebbe già stato allontanato dalla vita politica : “Di cosa stiamo parlando? Cosa stiamo aspettando? In un altro Stato europeo, un politico condannato in secondo grado a quattro anni per evasione fiscale e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici sarebbe stato immediatamente allontanato dalla vita politica. Certo, in un altro Stato, dove l’opposizione esista realmente e non faccia inciuci da vent’anni con il condannato. Ora per lorsignori diventa più difficile stracciare la Costituzione. Un partito guidato da un pregiudicato non può accostarsi per stravolgerla alla Carta fondamentale della Repubblica. E se quelli del Pd che in queste ore si nascondono dietro i berluscones non vorranno capirlo saranno travolti da una valanga di firme. Forza, dimostriamo che la democrazia dei cittadini è più forte del regime dei pregiudicati e della 1° e 2° Repubblica delle stragi senza colpevoli e della Bancarotta palazzi dei draculoidi. Il Presidente On. Napolitano attende riflessioni dai partiti e movimento «Io non sono chiamato a commentare le fribillazioni varie, sono chiamato ad attendere che ciascuna forza politica, in piena legittimità e autonomia, faccia le sue riflessioni, che poi mi verranno prospettate e solo allora trarrò le conclusioni». Lo ha detto il capo dello Stato Giorgio Napolitano al suo rientro dalle vacanze. «Noi italiani abbiamo fatto la scelta democratica, ora il quadro agosto 2013 è complesso ma abbiamo fiducia nelle istituzioni e nell’abilità del presidente Napolitano di trovare una soluzione rapida che assicuri all’Italia di affrontare le sfide che ha di fronte»: «È importante che il nostro Paese prosegua con le riforme per il bene della crescita e dell’occupazione, l’Europa tramite il Presidente del Consiglio Letta “DeGasperiano” lavorerà lealmente in stretto contatto con il Paese per sostenerlo in questa sfida». Mi permetto visto che uno vale uno di «un appello» a «tutte le forze politiche di Onorevoli e Senatori..giovani alla Politica che dovrebbero fare il tentativo di sganciarsi dalle Segreterie con il tentativo di trovare un dialogo dove possibile, anche dove ci sono disaccordi». «Spero che si trovi un modo di trovare la strada della stabilità e portare questo nostro martoriato Paese fuori dalle sabbie mobili e dare un futuro al nostro Patrimonio umano i Giovani e serenità alle famiglie Italia», Cari parlamentari del M5S, domani prenderete delle decisioni cruciali, che riguardano non solo voi ma sopratutto per noi Cittadini italiani io tra questi che vi hanno delegato a rappresentare in parlamento le loro speranze e la loro rabbia. E’ davvero auspicabile, sarebbe anzi doveroso, che domani non si torni nessuno espella nessuno, e nessuno se ne vada! Gianroberto Casaleggio so che sei molto preoccupato per la situazione del paese. Ci conosciamo poco, ma sono un umile possibilista, ma non sono un tifoso dell’unità a tutti i costi, anzi nella mia vita di impegno politico e civile sono sempre stato piuttosto “divisivo”, come si dice oggi, perché gli appelli all’unità sono spesso l’arma con cui i vertici pretendono conformismo. Credo però che chi oggi “agosto 2013” operasse divisioni nel movimento che ci rappresenta in Parlamento, tradirebbe il mandato che vi abbiamo affidato. Sia chiaro: la responsabilità della rottura sarà di chi decidesse che il dissenso è un tabù, che Grillo non può essere criticato (come chiunque: anche duramente e soprattutto anche a torto), e desse vita alla sarabanda delle espulsioni (siatene certi: una tira l’altra, come le ciliege). Avete davanti a voi possibilità enormi di azione, potenzialità crescenti di consensi, basta che la smettiate con queste malinconiche fissazioni autoreferenziale e queste pericolose pulsioni a temere la libera espressione delle opinioni. Che per loro natura sono personali. Basta con titoli da P/38! Basta Beppe!!! Cerca e cercate piuttosto il dialogo, il confronto, l’elaborazione e soprattutto l’azione comune con le tante, tantissime realtà della società civile che da anni, spesso da decenni, ancor prima che nascesse il M5S e talvolta ancor prima che nascessero anche anagraficamente molti di voi, combattono quegli stessi nemici che avete deciso di combattere: la politica come corruzione e privilegio, e al suo posto la necessità che smetta di essere un mestiere e una carriera per divenire un bricolage civico. Dunque, il rifiuto delle mafie e di ogni “convivenza” con esse, la legalità che comporta anche l’ineleggibilità di Berlusconi, il salario di cittadinanza per cui da tempo si batte la Fiom, la rivoluzione del sistema informativo televisivo che ponga fine ad ogni monopolio o lottizzazione, il rigore ecologico come risorsa, i beni culturali come strepitosa ricchezza e bene comune per antonomasia, e l’impegno per tutti gli altri beni comuni, la laicità nella scuola, nelle istituzioni, nella vita quotidiana … Si potrebbe continuare, elencando l’intero vostro programma, e gli infiniti punti in cui esso raccoglie obiettivi che appartengono a lotte e movimenti in piedi da tempo, spesso da lunghisismo tempo. E’ solo attivando la comunicazione, l’incontro, l’azione comune con queste realtà, che potrà essere efficace la vostra lotta in Parlamento e la stessa vostra capacità di rappresentare quei nove milioni di cittadini. Anzi tutti i Cittadini del nostro Paese. Proprio a questo scopo avanzo una proposta: proponetevi alla guida del Paese con “l’attuale Presidente del Consiglio On. Letta “DeGasperiano” che deve vedere Onorevoli e Senatori di ogni schieramento nuovi al Palazzo nel guidare una nuova maggioranza di largo respiro per le grandi riforme..ossigeno per la nostra sopravvivenza. Una nuova maggioranza strumento di approfondimento e confronto che si mette programmaticamente al servizio di tutte le realtà di lotta e di opinione operanti contro il pensiero unico e i privilegi di establishment, facendo invece della realizzazione dei valori di “giustizia e libertà” della Costituzione la propria bandiera, e coinvolgendo in questo un numero elevatissimo di personalità della società civile. Quali consentire ai portavoce Cittadini parlamentari del M5S (che Grillo definisce addirittura i “dipendenti” di coloro che li hanno votati) e a queste personalità ed esponenti di movimenti e di lotte, di discutere insieme, approfondendo i problemi e individuando obiettivi e modi efficaci per raggiungerli. Per cominciare proporrei i seguenti temi: (1) Riforma/e istituzionale/i ed nuova regola-sistema democratico elettorale. (2) Politiche di legalità: lotta alle mafie e all’intreccio corruttivo con politica e affari. (3) Libertà e imparzialità dell’informazione: tutte le misure necessarie (e quelle da evitare) sia in campo radiotelevisivo che della carta stampata. (4) Salario di cittadinanza e altre misure sociali per ridurre la crescita smisurata delle diseguaglianza. Ma anche se tutte dovessero essere programmate a partire dalla ripresa di settembre, l’essenziale è sapere se, come conto, c’è da parte vostra la disponibilità a questa straordinaria iniziative comuni. Un carissimo saluto da un “possibilista”.
    Celso Vassalini di Brescia.

  24. Avatar Celso Vassalini
    Celso Vassalini

    Caro Direttore,
    ancora le nostre Città in un pomeriggio di straordinaria follia. Scene di guerriglia in centro città. In azione i black bloc: lancio di molotov e bombe carta, auto in fiamme. I milanesi si riprendono la loro città. Dopo il devastante passaggio dei black bloc, scendono in strada e ripuliscono. Poi un tam, tam “Civico”, le iniziative sui social per mobilitare il maggior numero di persone con l’hashtag #nessunotocchimilano. Appuntamento domenica 3 maggio per ripulire e riconsegnare ai cittadini loro spazi. Diamoci una mano!”. C’è un deficit, secondo molti, che è di valori e di principi: «Combattere nella vita non significa distruggere tutto, come questi giovani ribelli credono. Combattere significa andare avanti ogni giorno, anche quando le cose vanno male. Avere un sorriso per i propri figli che non riescono a trovare un lavoro fisso, spaccarsi la schiena al lavoro per portare a casa da mangiare alla propria famiglia. Insomma, la lotta sociale forse, per chi ha vissuto il dopoguerra e gli anni di piombo, non è la soluzione migliore. Di lotte ne abbiamo fatte, in passato, ma allora avevano un senso più o meno fallito. Oggi battaglie di questo tipo non hanno più senso di esistere. Come non esistono più né fascismo né comunismo. Ci si dovrebbe concentrare su problemi reali. Molti sono anche coloro che non riescono proprio a giustificare come la lotta tra due fazioni opposte si sia dovuta ripercuotere su le citta che non c’entrano nulla. E’ chiaro che fascisti e centri sociali, e ci si mette anche il Mov 5 Stette e Lega nel infiammare quel populismo pericoloso traggono la loro forza solo nella reciproca contrapposizione. Ma noi cittadini cosa c’entriamo?. Quanto accaduto viene definito da molti cittadini come <>. Ma c’è anche molta delusione, soprattutto da parte di chi avrebbe davvero voluto manifestare pacificamente per i propri ideali. Credo che le manifestazioni siano un importante strumento di democrazia. Sono pacifista da sempre e amo i cortei colorati e pacifici. Credo che le manifestazioni siano un bel modo per scuotere le coscienze. E come ogni volta ho partecipato con entusiasmo. Da Genova invece bisogna farsi da parte, fuggire dai cortei da violenza che proprio non capisco. Da sempre manifesto perché nelle nostre Città Europee sia sempre la democrazia a trionfare. Però quello che è accaduto Cremona e Milano non lo comprendo, non lo condivido né posso minimamente giustificarlo. La politica si gioca in un altro modo e l’antiimbecillismo dovrebbe essere un movimento civile, non una gara a chi si picchia di più o a chi fa più danni e chi nelle Istituzioni sparano offese incivili e pericolose. In ogni caso a indisporre i cittadini. La violenza non è mai espressione di libertà e nasconde una profonda incapacità ad esprimere il proprio pensiero nelle forme mature, che passano sempre attraverso il rispetto delle persone, dell’ambiente e degli ambienti in cui le persone vivono ed operano. La manifestazione, nata come reazione ad una riflessione all’Expo, ha preso alla fine la stessa riprovevole strada della violenza fine a se stessa provocando danni a tanti cittadini e deturpando il volto della Città. Quanto è accaduto, è un’offesa alla Città. Ne provo tristezza, prima ancora che sdegno. E mi sento umiliato. Possano questi avvenimenti che mi auguro non si ripetano più risvegliare in tutti un forte senso civico. Ma all’ennesima aggressione alle quali abbiamo assistito in Milano ci inducono anche a domandarci come mai nelle nostre città, nelle nostre case, nei nostri paesi Europei civilizzati è così facile passare la misura e arrivare alla violenza. E allora la riflessione si allarga ai fatti di ieri allo stile di vita che adulti e meno adulti vanno assumendo con grande disinvoltura e facilità. Comportamenti come il disprezzo per la politica, il preoccuparsi solo di sé, l’individualismo che fa ritenere importanti solo i propri interessi, il chiudersi in casa abituandosi a guardare gli altri con diffidenza e sospetto. Occorre un supplemento di riflessione e di assunzione di responsabilità. Forti devono essere le parole nei confronti dei manifestanti violenti: «Che uomo sei se ti camuffi e usi delle spranghe? Sei un uomo pieno di contraddizioni, un uomo che non sa prendere la parola per interloquire ma che conosce solo la rabbia, dunque un uomo che non sa controllare se stesso. Anche da lontano arrivate nelle nostre Città e già organizzati per distruggere, picchiare, aggredire. La condanna non può che essere inequivocabile. La libertà di espressione, non può prescindere dal rispetto verso gli altri. Tanta gente pacifica si è unita alla manifestazione per riflettere sull’Expo. Condannare la violenza che ha portato la libertà di parcheggiare la propria auto, di passeggiare nella propria Città. Ma purtroppo tanti segnali inequivocabili mostravano come la manifestazione era divenuta pretesto e occasione per violenza e distruzione. Con responsabilità occorre non dare occasioni a tali persone e gruppi di sequestrare la città e usare violenza: chi invece organizza manifestazioni equivoche ne diviene corresponsabile e si prende gioco di altri cittadini. Insomma, le responsabilità sono numerose, ma differenziate: C’è chi ha commesso la violenza (senza mostrare la propria faccia) e c’è chi in una zona grigia indice manifestazioni equivoche che sa essere teatro di scontri. Costoro hanno mostrato la loro faccia… ma hanno coperto la macchinazione violenta. La manifestazione di sabato era equivoca. Chi l’ha organizzata si è fatto corresponsabile. Peccato che le forze dell’ordine non siano riusciti a fermare tutti i responsabili dello scempio di Milano e Cremona e, portarli a raccogliere i vetri rotti e a pulire le strade e magari a fare lavoro gratis per riparare i bancomat rotti e le vetrine frantumate. Oltre a riparare il volto ferito della nostre città, avrebbero potuto recuperare quella dignità di cittadini, perduta nelle “prodezze” teppistiche di ieri Primo maggio. Possiamo comprendere la rabbia delle persone, così come la mancanza di conoscenza rispetto alla gestione dell’ordine pubblico. Ordine pubblico che, durante la manifestazione, è stato gestito in maniera ineccepibile e solo la grande preparazione dei dirigenti e di tutto il personale di ogni ordine e grado in campo hanno impedito che gli scontri potessero degenerare e sfociare in scene che tante volte abbiamo visto in altre città con feriti, teste rotte e persone sanguinanti. Solo la grande professionalità con cui è stato gestito l’ordine pubblico ha impedito tutto ciò e ha permesso che sostanzialmente non ci sia stato alcun ferito e, viste le premesse, si può considerare un grande successo. Grazie Uomini e Donne nella festa del Lavoro dignitoso avete lavorato per la sicurezza delle nostre Città Europee. Non rendendosi probabilmente nemmeno bene conto che quando si lancia un sasso dalla cima di una montagna è poi impossibile fermarlo, dovrà riflettere ed assumersi la responsabilità di quello che è accaduto. Se la società civile e le forze politiche saranno realmente al nostro fianco per combattere e respingere questa vergogna che ha tentato di macchiare il Primo maggio e Expo siamo convinti che si potrà evitare che non ci siano ulteriori conseguenze.
    Celso Vassalini Bresciano. (Orgoglio Brescia per l’opera Albero della Vita simbolo di Expo “quella umanità sconosciuta”).

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