Aveva detto, solennemente: "Se l'ordine mi condannerà per me sarebbe una grande delusione. E in questo caso potrei lasciare Il Giornale". Ebbene: ieri, dopo una seduta incredibilmente lunga e battagliata, l'Ordine dei giornalisti, riunito all'Hotel D'Azeglio di Roma ha confermato quella condanna.
Ridotta da sei a tre mesi, certo, ma pur sempre confermata nella sua conseguenza più dura: non poter firmare un quotidiano. Quindi da domani Vittorio Feltri potrebbe davvero lasciare il giornale per fondarne un altro, "Un fatto anarchico e di centrodestra", per usare le sue parole. Un'ipotesi a cui, come vedremo, sta lavorando da tempo, in grande segretezza. Chi sentendo questa notizia pensasse che si tratti solo di una nota per addetti ai lavori sbaglia.
L'addio di Feltri e la nascita di un nuovo quotidiano sarebbero, per il berlusconismo, l'equivalente di una bomba atomica. Perché la rappresentazione del potere in questi anni è stata tutta giocata sull'edificazione dei simboli e, soprattutto, perché le grandi scelte politiche sono state prese tutte sull'onda di grandi campagne giornalistiche. Infine, perché il ritorno di Feltri a Il Giornale segnò l'apertura dell'ultima (se non altro in ordine di tempo) resurrezione comunicativa del Cavaliere dopo il baratro sfiorato del Noemi gate.
Adesso Feltri se ne va, senza sbattere la porta con polemiche fratricide, ma distinguendosi nettamente dal suo compagno di battaglie Alessandro Sallusti. Se ne va e lo fa marcando il territorio sul nodo incandescente (per i media di centrodestra) del giudizio sul berlusconismo: "Arrivo al giornale e mi dicono: ‘Bisogna difendere Berlusconi…'. Bisognerà pure difenderlo, ma anche dire che non ha mantenuto le sue promesse e che ci si può rompere le balle delle sue veline".
Non è un caso quindi che ieri, dalla lontana Seul, letta l'intervista a Feltri, Berlusconi abbia tramutato il possibile addio del direttore in un affare di Stato, dettando ai suoi referenti politici italiani, allo stesso Sallusti e al gruppo di comando della società Europea edizioni (quella che controlla il quotidiano di famiglia) una parola d'ordine sorprendente: "Bisogna tenere Vittorio a tutti i costi!".
Facile a dirsi , meno da realizzare. Il retroscena di questo dissidio, infatti, è il logoramento del rapporto Sallusti-Feltri che non è avvenuto sul piano dei rapporti personali ("Io con Alessandro ci sono andato a cena anche la settimana scorsa, come professionista lo stimo"). Ma proprio sul nodo decisivo della gestione del giornale. Qualcuno aveva pensato che Feltri approfittasse della sentenza di primo grado (la sospensione di sei mesi e l'obbligo di togliere il suo nome dal colofon) per trasformarsi in un editorialista di peso, come era accaduto tra Mario Cervi e Belpietro, senza conflitti.
Invece Feltri non aveva mollato il campo, siglando per giunta un editoriale di critica dopo il caso Ruby. Un altro test sulla differenza tra i "due" direttori c'era stato nel giorno del giro di Berlusconi in Veneto. Con il Giornale che spende un titolo tranquillizzante per la corrispondenza dell'inviato Stefano Filippi, e Libero che invece si smarca con un resoconto del suo cronista Francesco Specchia in cui la musica è tutt'altra: il Cavaliere ha subito micro-contestazioni, e ha deciso di non incontrare gli imprenditori alluvionati del nord est temendo l'incidente fatale per la sua immagine. Fatte le debite proporzioni, è come se Totti andasse a Trigoria ma si rifiutasse di salutare i tifosi giallorossi.
Pesa su tutto questo l'asimmetria del rapporto con il Cavaliere: Berlusconi parla tutti i gironi con Sallusti, Feltri non lo fa mai. Tutti pensavano fosse un gioco delle parti o una divisione di ruoli. Ma strada facendo è diventata una differenza: "Non sono mai andato a una sua festa – spiega ai suoi Feltri – non solo perché non mi ha invitato, ma perché non sono il tipo da feste con Papi. Una volta ho accettato di prendere il suo aereo privato. Volevo andare a vedere il mio cavallo correre, e fare lo sborone con mia moglie…". Sallusti al contrario è molto più risoluto: "I lettori de Il Giornale ci chiedono di fare quadrato nel momento della difficoltà".
Insomma, partendo da questa situazione, dentro la testa di Feltri prende forma un progetto che il fedele amministratore delegato Di Giore traduce in numeri: un nuovo giornale per andare in pareggio dove avere massimo 25 redattori e vendere minimo 25 mila copie. Con prudenza circospetta si sono persino registrati dei possibili nomi: Libero Giornale, Il giornale libero (notare il doppio gioco di parole concorrenziale su due fronti).
E infine un'altra ipotesi: Fuori dal coro. Ma il colpo di scena è un altro. Feltri, anche se sospeso, potrebbe firmare il sito. Lui nella sua intervista aveva parole solo per un altro fratello-coltello di sempre, Maurizio Belpietro: "Ha dato due mazzate a Berlusconi". Citazione non casuale. In una ipotesi clamorosa, Belpietro (che ci sta pensando) potrebbe lasciarsi coinvolgere nel progetto. Il che creerebbe una battaglia fra due sole testate nel campo del centrodestra: il nuovo giornale "corsaro", e quello ortodosso, controllato da Sallusti.
Una ipotesi che mette i brividi visto gli scontri fra titani che si sono celebrati questi anni: Feltri (a Libero) contro Belpietro (al Giornale), Belpietro Sallusti e Feltri (al Giornale) contro Belpietro (stavolta a Libero). Di certo c'è che Feltri è uno dei pochissimi giornalisti in Italia che dispone di un pacchetto di mischia: ventimila lettori che lo seguono anche in capo al mondo. E per di più al giornale ci fu un'avvisaglia: migliaia di lettori che telefonavano e scrivevano inferociti quando circolò la voce che potesse dimettersi per le polemiche con Fini.
Anche su questo retroscena che era rimasto coperto, non a caso, Feltri ha ricordato in queste ore la sua verità: "Scrissi una lettera a Berlusconi. Se ti sono d'impiccio basta che me lo dici e mi dimetto senza scrivere una riga. Lui mi chiamò e – in una delle nostre rare conversazioni e mi disse: Resta".
Come dire: la campagna contro Fini era gradita al premier. L'ultima stoccata: affettuosa e ferocissima. Ma l'altra notizia clamorosa è che anche il direttore di Panorama, Giorgio Mulè, potrebbe essere interessato all'impresa. Praticamente, uno scisma dentro la Chiesa berlusconiana.
Luca Telese
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