«Nella mia vecchia cameretta di adolescente, a Cinecittà, avevo conservato gelosamente – per anni – una serie di dieci cartelline polverose con incollato sopra il logo policromo della Fgci, ritagliato con cura da alcuni manifesti elettorali: il primo archivio della mia vita. Nella cartellina più antica c’erano una serie di fogli talmente ingialliti da aver assunto la colorazione di un papiro. Erano fotocopie riprodotte con toner partorito da un’altra epoca, carta ruvida di grammature ormai fuori produzione, intorno alla spillettina, nell’angolo alto, si era formata un’aureola aranciata di ruggine: quel mazzo di fogli raccoglievano il testo integrale del primo discorso pronunciato da Nichi Vendola nella Fgci, al congresso di Rifondazione di Napoli, nel primo passo della sua carriera di dirigente nazionale.
Un discorso che non si dimentica, un discorso di cui, anche se sei un semplice iscritto cerchi di trattenere una traccia: e così lo prendi e lo accaparri, con lo scrupolo di chi ama collezionare i reperti della propria vita. Per anni, come capita con i giochi della memoria, mi sono chiesto se a rileggerlo, poi, avrei provato la stessa emozione, lo stesso senso di novità, la stessa percezione di una lingua nuova che irrompeva sulla scena, imponendo ai vecchi codici praticati fino ad allora di aggiornarsi o invecchiare tutto d’un colpo. Il Vendola di allora – molto diverso da quello di oggi, ma terribilmente simile nel modo di costruire la sua poetica – in quel discorso parlava soprattutto di se, della sua omosessualità: del modo in cui questa diversità gli aveva imposto una particolare attenzione al mondo. Eppure – come per gli oratori in stato di grazia – era come se dal particolare fosse passato subito all’universale, come se io avessi avvertito che quella diversità così peculiare e irriducibile poteva parlare anche alle altre diversità, anche alla mia di allora: quella di un ragazzo che abitava in una sperduta periferia urbana, “Dove i tram/ Non vanno avanti più”, e pensava di poter sognare una società diversa e arrivare al centro del mondo, ascoltando “Terra Promessa” di Eros Ramazzotti. Quel discorso è oggi il testo che apre questa imperfetta, asimmetrica, ma ricca e curiosissima antologia. Ho scoperto anni dopo, parlando con Andrea, uno degli editor della Aliberti, che lui abitava un altro mondo, un’altra periferia Reggio Emilia – ma che si era iscritto negli stessi giorni quel discorso aveva detto qualcosa anche a lui. E che Andrea come collezionista aveva fatto meglio, se è vero che dopo la stenografico – in queste prime pagine – trovate persino l’appunto autografo del discorso – scritto a mano – perché i personal computer erano ancora di là da venire e Nichi, che ama parlare a braccio spesso senza nemmeno una scaletta, in quell’occasione si sentiva così emozionato che voleva cesellare ogni parola. Il vendolese è una lingua tutta particolare: un po’ Di Vittorio e un po’ Montale, un po’ letteraria e un po’ nazional popolare. Credo di avergli sentito usare (e inventare) mille volte locuzioni splendidamente autografe come: “Noi non ci faremo incantare dagli ossi di seppia della modernità”.
Però questo incrocio di diverse e lontane passioni collezionistiche (la mia e quella di Andrea, intendo) aveva un punto di verità che giustifica sia l’ancoraggio parallelo del discorso di Napoli nelle reciproche biografie e la pubblicazione di quel testo in questo libro oggi: se c’è un leader di cui vale la pena di vivisezionare, collezionare e raccogliere le parole – se non altro per capire il processo di costruzione e di invenzione – quello è Vendola. A pochi uomini politici vengono concessi la fortuna e il talento di potersi costruire una lingua propria, un repertorio di immagini, di stilemi, una capacità di evocare visioni. Prendete questo discorso del giovane Vendola, appena approdato dalla provincia pugliese alla ribalta nazionale nell’anno di grazia 1985. Entrateci come in una stanza della memoria, e scoprirete subito che ci potete trovare dentro la prefigurazione di tutto quello che sarebbe stato poi, di tutto quello che avrebbe potuto pensare e dire Vendola nei trent’anni che sarebbero seguiti da quella giornata napoletana. […] »
Luca Telese
NICHI VENDOLA. COMIZI D'AMORE | a cura di Luca Telese
Pagine: 187 | Prezzo: € 14,90 | Aliberti Editore
> dal 26 novembre in libreria
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