"Comunque vada si è chiusa un'era. Il Riformista è stato un grande progetto editoriale e un grande progetto politico…. Il primo, grazie a Dio, mi ha portato un sacco di soldi….". E il secondo? Claudio Velardi sorride: "Il secondo è miseramente fallito perché noi il leader riformista lo abbiamo cercato con la lanterna come Diogene. Ma in Italia non esiste!".Nel giorno in cui Antonio Polito dice addio, Claudio Velardi, che fu con lui il primo ideatore del giornale racconta la storia del quotidiano e del suo tentativo fallito. Alla sua maniera, con parole che faranno arrabbiare tutti.
Velardi, con chi dovrebbe stare questo benedetto leader riformista, oggi?
Non ho dubbi. Con Marchionne e con la sua battaglia per salvare l'industria in Italia.
È sicuro di star bene?
Sto benissimo, grazie.
Un leader liberaldemocratico esclude i sindacati?
Non tutti. Marchionne esalta il ruolo dei sindacati, quelli che ovviamente sottoscrivono il patto fondativo.
La Fiom, esclusa, è il sindacato più popolare.
Questo è il vero problema italiano: l'egemonia massimalista che abbiamo combattuto.
Come nacque l'idea?
Nell'estate del 2002, a Capri, il mio canotto si scontrò con quello di Antonio Polito, che non vedevo da secoli.
Galeotto fu il canotto…
Iniziammo una discussione di due ore. La provocazione di partenza era che la sinistra non poteva finire in mano a Cofferati o a Bertinotti.
Non ci è finita.
Pare incredibile, oggi, visto che i due sembrano due compassati lord inglesi. Allora rappresentavano l'assalto massimalista ai moderati italiani.
Non è che questi moderati brillassero…
La mia tesi è: Berlusconi con gli estremisti ci va a nozze. Se incrocia Santoro si eccita….
Una vecchia testi riformista mai suffragata da prove. Tu Santoro lo conosci dal 1975…
Sì. Io ero tra gli snob del riformismo partenopeo, lui era ingraiano e cafone, veniva da Salerno.
Entrambi studiavamo gli interventi la notte: a Napolitano o Amendola non potevi dire vaffanbicchiere.
Santoro ha un pubblico, quello che a Il Riformista è mancato.
Il Riformista non doveva fare grandi tirature. Infatti il primo errore è stato portarlo a 32 pagine provando a fare un quotidiano generalista. Quando fa questa operazione Antonio era già stanco e forse perdente…
Eravate amici.
Lo siamo. Lui è un direttore magistrale, è andato alla grandissima. Ma lui stesso sa che quel salto di formato voluto dagli Angelucci non era la via giusta.
Gli Angelucci hanno comprato da te. Un affare…
A dire il vero lo avevano anche finanziato all'inizio.
C'era qualcun altro?
Un nume tutelare che nessuno ha mai scoperto, la famiglia Garrone.
I petrolieri genovesi?
Proprio loro. Il padre, vecchio azionista liberale. E il figlio, che fu un supporter.
Partiste a razzo.
2 milioni di euro, e 4 mesi dopo dall'incontro in canotto…
Rivendesti per 12 milioni!
No, non è così… Forse erano 8. Ma pagato i debitucci non li misi mica tutti in tasca…
Nascevate dalemiani, e qui i massimalisti non hanno nessuna responsabilità.
Contrariamente a quello che si crede, ci dette molta più corda Veltroni che D'Alema…
Nientemeno.
Sì, D'Alema faceva le sue battutine e faceva il prezioso….
E Veltroni?
Parlava sempre con me, e soprattutto con Antonio, un professionista. Poi magari ti mandava la letterina di smentita, ma poi ti diceva… "Bravi, avete fatto bene a scrivere!".
Addirittura?
Ti stupisci? Un altro paradosso dei riformisti italiani. Quello che va fatto non si può dire.
Partiamo dal primo leader: quando è che D'Alema ha perso la partita?
C'è un aneddoto che fino ad oggi non era mai stato raccontato.
Anno?
1997. Al congresso di Roma: la più bella relazione della sua vita, disse le cose che sta facendo Marchionne oggi!
E cosa accadde?
Alla fine del congresso fu circondato da una folla di sindacalisti della Cgil, ricordo Nerozzi, che lo fecero nero. Dal giorno dopo non fu più lo stesso: titubante, insicuro, incerto.
Colpa dei sindacalisti?
Colpa sua. Nemmeno lui aveva la forza di rompere.
E Veltroni?
Su Veltroni abbiamo scommesso molto. È andato molto vicino al successo.
Quando ha perso?
Quando ha snaturato la vocazione maggioritaria alleandosi con Di Pietro.
Non è stata la sconfitta?
Noooo!!!!… Se lui perdeva, ma con un profilo autonomo e riformista, ora avrebbe già sostituito Berlusconi.
Cosa mancava ai due?
D'Alema troppo pesante e vecchio. Veltroni troppo leggero e nuovista.
Vi piaceva Franceschini?
Mai scommesso un nichelino. È un cattocomunista! Col riformismo non c'entra nulla.
Puntavate su Fini e Casini.
Ti ricordi? Erano i bei tempi del sub-governo. Siamo stati profetici anche lì.
Ci speri ancora in loro?
Casini non ho ancora capito se vuole giocare a destra o a sinistra. Fini mi pare che sia quasi morto con la sconfitta rovinosa del 14 dicembre.
Addirittura? Non era facile la sfiducia…
Non è quello. È che ancora non ho capito che destra sia la sua. È riformista? È liberale?
Ne dubita?
Vedo che nei loro documenti, poi, si parla sempre di Stato. C'è la Chiesa, ma anche la laicità, c'è il mercato, ma anche l'assistenzialismo.
Futuro e libertà ha futuro?
È un miscuglio di cose, un Veltroni in sedicesimo .
Avevate puntato sul Pd!
Ma non su quello che è oggi! Oggi è l'accozzaglia dei rimasugli della Dc e del Pci.
È un partito riformista?
Era più riformista il Pci del 1976, che aveva costruito se stesso contro l'estremismo.
Chi è l'estremismo oggi?
E me lo chiedi? Santoro, Grillo, Di Pietro, Vendola e il travaglismo.
E Fassino?
Poveraccio: è riformista, sobrio, marchionniano. Ma a Torino temo l'effetto Rutelli.
Vi piaceva Soru…
Sì. Ma al leader serve solarità.
E Saviano?
Ragazzo intelligente: travolto da cose più grandi di lui.
E De Benedetti?
Il peggiore di tutti. Il partito di La Repubblica, dal 1976, ammazza i riformisti….
Perchè lo dici?
La ricetta nostra ricetta era: fantasia e sforzo intellettuale. Metti invece un professore incazzato, una ex femminista in sandali eco-chic, un intellettuale snob, un po' di conformismo…
Cosa esce fuori?
La ricetta di La Repubblica.
Luca Telese
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