Non so per quale motivo il sofisticato comunicatore Walter Veltroni abbia scelto come colonna sonora del suo terzo Lingotto “la redention song” di Bob Marley. Forse, inconsapevolmente, parlava di quel di cui avrebbero bisogno lui stesso e i dirigenti del Pd, ormai passati al “ma-neanchismo” cronico e all’ermetismo incomprensibile.
Dopo il primo lingotto con cui Walter ha sepolto il Pds nel 1999, dopo quello con cui Walter ha sepolto il Pds nel 2007, infatti, Veltroni ha allestito una sontuosa coreografia con il presumibile obiettivo di seppellire – nel 2011 – anche il Pd. Una impresa non impossibile. Infatti l’ex sindaco di Roma (di cui nessuno può negare la simpatia e l’onestà intellettuale) è incapace di liberarsi delle sue ossesioni, dei suoi tic, dei propri limiti fatali. E sembra non aver capito che il tempo è passato anche per lui, la stagione della leadership è tramontata, e che costruire un plastico del veltronismo bonsai per rinchiudercisi dentro come in un fortino non è un antidoto al tempo delle occasioni che passano e che non tornano più (La citazione suggerita dalla redazione de Il Fatto è l’immortale Battiato: “Ne abbiamo avute di occasioni/ perdendole…./ Non rimpiangerle/ non rimpiangerle mai”). Ecco: loro invece rimpiangono il tempo in cui si sono illusi di avere l’Italia in mano e Berlusconi sotto controllo (si vede!). E così il crepuscolarismo veltroniano, al Lingotto, rimpiange e celebra la sua stessa eclissi. E ricasca – tanto per dirne una – sul difetto fatale, che nel 2008 era non nominare Berlusconi (“Il leader dello schieramento a noi avverso”) e che oggi è non voler nominare Ruby (Il nome della minorenne a noi indigesta). Se si prova a leggere le frasi che Veltroni ha detto sulle alleanze si sente bisogno del traduttore simultaneo. Sentite: “Penso che, in questa delicata fase della vita parlamentare, le forze di opposizione dovrebbero trovare più stabili forme di coordinamento e di consultazione che, nel rispetto dell'autonomia di ciascuno e senza prefigurare alcunchè, consentano di evitare forzature o violazioni del ruolo del Parlamento». Chiaro, no? Un afflato entusiasmante. Non meno incomprensible del motivo per cui nelle direzioni del Pd i veltro-fioroniani minacciano ogni volta sfracelli, e poi si astengono dal voto per non contarsi. Insomma, il veltronismo del Lingotto non trova uno slancio, o – per dirla in veltronese – una “vision”. Non rischia mai. Non riesce a parlare del berlusconismo. Non rspiega come uscire dall’immobilismo bersaniano. Si toglie un’unica soddisfazione: mostrarsi più vicino a Marchionne che alla Fiom (coraggioso). Il tardo-veltronismo vorrebbe essere il nuovo, e diventa – invece – l’ennesima declinazione del vecchio.
Luca Telese
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