Li hanno trovati rannicchiati, abbracciati e carbonizzati. Bimbi di cenere, come i fratelli Mattei, a Primavalle nel 1973. Ancora un rogo di bimbi a Roma: all’epoca un delitto prodotto dall’odio politico, oggi una vergogna partorita dal veleno dell’indifferenza, dalle piccole miserie etniche, dalla propaganda e dall’incuria. Li hanno trovati stretti, uno all’altro, Patrizia, Raul, Sebastian e Fernando: a tenerli insieme, negli ultimi istanti, è stato l’amore che nessuna fiamma può estinguere.
Eppure questi bambini, già oggi, non sono come tutti gli altri. Se muore un piccolo italiano arrivano bare bianche e discorsi in fascia tricolore. Se muore un bimbo rom non si accendono le luci della diretta, non si allestiscono lacrimari nei salotti tv. Anche la cadaverologia mediatica ha le sue gerarchie: in fondo – ti dicono – quando muore un piccolo zingaro un po’ se l’è cercata. Se non c’è colpa, c’è una tara genetica, una sorta di rischio iscritto nel suo Dna e nella sua famiglia, nello stile di vita e nelle roulotte. I rom non sono simpatici, sono “nemici sociali” perfetti: i piccoli seminatori di odio non lo dimenticano, nemmeno nel tempo del lutto. Non c’è tregua, per chi è nemico, anche nella società dello spettacolo e delle catarsi buoniste. Nel mio servizio civile, per un anno, sono andato a prendere due ragazzi rom, a Roma, in un campo di miseria, infilato in uno sfascio di macchine, perché fosse invisibile alla città. A nessuno piaceva abitarlo.
È per questo che ieri, il gesto di Giorgio Napolitano è stato il più forte e coraggioso dei segni “neopertiniani” di questo presidente. Perché cammina controcorrente. Non cerca consenso, ma piuttosto sfida l’indifferenza e i luoghi comuni. Abbiamo visto una madre e un padre come uomini, e non come categoria antropologica inferiore, perché quella bella carezza ci costringe ad aprire gli occhi. Per questo, forse, quasi disturba il pigolare scomposto del sindaco legge-e-ordine, quello che aveva in tasca la soluzione definitiva della questione nomade, ma che si è dimenticato delle sue promesse. Il campo smantellato da Alemanno ad uso di telecamera – Casilino 900 – era purtroppo più sicuro dell’accampamento di baracche in cui sono morti i bimbi di cenere di Tor Fiscale. Così, agli ululati del giorno dopo è preferibile il silenzio se quando cittadini e carabinieri lanciarono l’allarme, nel 2010, la burocratica risposta del sindaco: “Gli uffici interessati sono invitati ad effettuare gli opportuni accertamenti”. Cioè un beneamato cavolo.
In Fahrenheit 451 Ray Bradbury raccontò la temperatura in cui, in un mondo totalitario, bruciavano i libri. Se esiste Fahrenheit 2011, deve essere quella in cui bruciano le nostre coscienze. E in cui si deve imparare, affinché non accada mai più.
Luca Telese
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