Per Silvio Berlusconi la giornata comincia male. A Milano la polizia allontana una pattuglia di contestatori che si era appostata davanti all’ingresso ad aspettarlo gridando: “Dimettiti! Dimettiti!”. All’uscita, la scena si ripete: in Corso Venezia, ad attendere il premier, c’era un altro gruppo di manifestanti, lo fischia chiedendone le dimissioni. I contestatori avevano dei cartelli gialli con la scritta: “Vergogna dimettiti”.
Che strano, dunque, questo Berlusconi in equilibrio precario, ancora una volta, tra la megalomania e timore della possibile Mubarakizzazione, quello che ammette per la prima volta, sia pure dissimulandola nella spavalderia, la propria paura: “Sono deciso ad andare avanti fino in fondo – dice a un convegno della Confcommercio – anche se sono tentato dal tornare a fare il privato cittadino perché – ironizza – ne ho piene le scatole”. Eppure, subito dopo, Il Cavaliere fa marcia indietro e si rimangia (ovviamente) il proposito di ritirarsi: “Non posso! Altrimenti il 100% degli italiani direbbe che sono un disertore, visto che così deluderei anche il 51% che mi sostiene”. Parole che vanno pesate con attenzione, visto che qui la notizia è una sola: Berlusconi per la prima volta ammette che il 49% degli elettori è contro di lui). Insomma, una giornata passata a intentare guerre sante, a proclamare anatemi e a immaginare piccoli jihad. Contro il Quirinale, per esempio. Ma finanche contro “gli arbitri comunisti” (anche loro!), e persino contro “il Sud” (da sconfiggere calcisticamente). Quindi, ovviamente, contro Fini (che ipotizza di annichilire elettoralmente). Ma il passaggio più duro è proprio quello dedicato all’inquilino del Colle: “Quando il governo decide di fare una legge – dice Berlusconi improvvisandosi interprete costituzionale – questa prima deve passare dal Quirinale e deve passare il vaglio di tutto l’enorme staff che circonda il capo dello Stato…”. E qui arriva l’affondo: “Uno staff che interviene puntigliosamente su tutto. Se al capo dello Stato e al suo staff la legge non piace, questa torna in Parlamento. E se non piace ai giudici la impugnano e la portano alla Corte costituzionale che la abroga”. Insomma, come al solito non lo fanno lavorare. E così lui si dedica alla demolizione dei concorrenti: “Il Terzo polo – assicura il premier – ormai è sbilanciato a sinistra: dai sondaggi si evince che se Fini, Rutelli e Casini vanno insieme non prendono neanche il 10%, anzi la formazione del presidente della Camera oggi oscilla tra l’1,3 e l’1,6%”. Domanda. Ma se nelle stesse ore Berlusconi dice ai suoi interlocutori “Arriverò a fine legislatura”, perché i toni sono così accesi, il livello della polemica è continuamente in crescita e l’ossessione su sondaggi e vaticinii così insistita? Il vero problema è che il premier vive con sempre maggiore nervosismo l’incombere del 6 aprile, data che segna l’inizio del processo sul caso Ruby. Testi escussi in aula, riflettori mediatici proiettati sulle ragazze dell’Olgettina. Mentre da un lato Berlusconi accarezza l’idea di proseguire fino a fine legislatura grazie agli ascari dei “Responsabili”, dall’altro pensa che solo il voto gli permetterebbe di essere rilegittimato e di spostare l’agenda dei media dalle aule di Milano. Così, il conflitto del vorrei-ma-non-posso lo trascina in una stato di propaganda permanente. Davanti alla platea della Confcommercio sui suoi guai giudiziari, scherza: “Sono protagonista come imputato della storia dell’universo” E ancora, rispondendo a una domanda dei cronisti: “Cosa c’è il 6 aprile?”.
Alla domanda successiva, se andrà quel giorno in tribunale, risponde: “Io sono l’uomo più processato d’Italia e per i processi ho avuto 2.952 udienze”. C’è una nota di dispetto nel premier: “Quando mi dicono di farmi processare – aggiunge – penso ‘perdonali perché non sanno quello che dicono’”. E poi: “Se vi dico cosa ho speso – dice – penso sveniate. Se facciamo il calcolo in lire, siamo a 600 miliardi…”. Quindi la nota più dolente, con il poker di processi che lo attende: “In 11 giorni ho già 5 udienze in tribunale”. E subito dopo un altro affondo polemico contro il suo ex alleato: “Dopo la diaspora di Fini abbiamo una maggioranza meno grande, ma possiamo fare le riforme che prima venivano bloccate dallo statalismo di Fini. In particolare, in materia di giustizia, c’era un patto tra Fini e il sindacato dei magistrati, l’Anm, per bloccare le riforme. Questo spiega perché non è stata ancora fatta la riforma sulle intercettazioni”. Persino sul bunga bunga, dopo l’incredibile battuta di domenica sera sceglie toni vittimistici: “Non posso più parlare delle donne, ma sono l’unico che ha cercato di valorizzarle, che ha cercato di farle sentire importanti anche in politica”.
Ai parlamentari lombardi chiede di “tornare allo spirito del 1994”, come a un eden ormai perduto. E ai commercianti proclama le sue ossessioni più recenti: “Manderemo prestissimo in Parlamento la riforma delle intercettazioni”. Alla sua squadra, scherzando con il presidente della Confcommercio, Carluccio Sangalli, chiede di trasformare la partita fra Milan e Napoli in un derby politologico: “Questa sera – dice – andiamo a San Siro per vedere il Milan battere il Sud”. Peccato che dopo la tirata di domenica contro la scuola di Stato, ieri a Berlusconi sia arrivato un metaforico schiaffo persino da monsignor Angelo Bagnasco: “Ci sono tantissimi insegnanti e operatori – dice il cardinale – che si dedicano al proprio lavoro con grande generosità, impegno e competenza, sia nella scuola statale, sia non statale, quindi il merito va a loro”. Il che significa che il presidente della Cei, si è tolto un incredibile sfizio. Quello di scavalcare “a sinistra” il presidente del Consiglio. Povero Silvio, direbbe Cornacchione.
di Luca Telese
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