Ma che cosa era questa notte di Bologna? Folla oceanica, palco, torri d’acciaio. Che cosa era questa drammaturgia in diretta televisiva? Un festival, un nuovo primo maggio santoriano, un grande coro greco, un hidepark catodico, oppure la prima anticipazione di una nuova “Telesogno”, un ennesimo guanto di sfida lanciato al servizio pubblico che non c’è (“Chi di voi vuole che io resti in Rai alzi la mano!”). Cos’era dunque? La celebrazione di un compleanno sindacale, oppure la prima epifania di una nuova leadership metapolitica? Cosa si nasconde – insomma – dentro l’alchimia metamorfica dei figli mediatici di “Annozero”? Forse tutte queste cose insieme.
Ed era anche – pochi se ne sono accorti – il primo esperimento transgenico che rompe la liturgia fissa della televisione generalista. Ovvero un programma che arriva normalmente (dopo l’esperimento protopito di Raiperunanotte) ai telespettatori, riverberato da una pluralità di canali: dal web, dal satellite, e dalle televisioni private contemporaneamente. Si potrebbe persino dire che è “un numero zero”, ovvero la prova tecnica che Current tv, Telelombardia e il software umano e tecnologico della compagnia d’arte santoriana, possono costruire l’ossatura di un nuovo canale televisivo, capace di sfondare la soglia di ascolto dell’Auditel?
Si torna da villa Angeletti con un turbine di punti interrogativi nella testa, e con la consapevolezza che – ancora una volta – la televisione e la diretta sono dei vortici da cui scaturisce un big bang. “Tutti in piedi!”, infatti, è stato unico evento che ha declinato molte lingue e molti messaggi. Qualunque cosa si dica, un fatto è evidente: una linea è stata spostata per sempre, nella direzione di tutte le strade che abbiamo indicato.
La confusione era grande sotto il cielo, e anche la contaminazione fra codici. Ad esempio quello della satira antisistema e del giornalismo, con uno scambio di ruoli che poteva persino stupire, quando Elisa Anzaldo, conduttrice del Tg1 – mostrando di avere molto fegato – sale sul palco per inscenare la parodia del suo stesso telegiornale. Tutto succede quando la giornalista inscena il monologo interiore del direttore che combatte: “Vi abbiamo dato l’informazione sui nuovi equilibri determinati dal tacco quindici, volevate forse l’informazione sui referendum?”. Oppure quando svela, in forma satirica, i meccanismi della manipolazione informativa dell’era minzoliniana: “Non possiamo dare quella notizia che non ci piace. Ma possiamo scegliere di darla, allora, nell’edizione notturna. O di non darla. Oppure, di dare la smentita della notizia senza dare la notizia”. Che cortocircuito si crea quando sullo stesso palco di Bologna la vera giornalista del Tg1 che prende in prestito la lingua della satira, dialoga con il finto Minzolini messo in scena da un satirico professionale che prende il prestito la lingua del giornalismo?
E’ come se Tutti in piedi! Avesse recuperato l’istinto del teatro di avanguardia che è nel Dna della formazione giovanile santoriana e lo avesse contaminato con il codice del comizio e la forma dello show. E’ come se il Maurizio Landini che sale sul palco al pari degli ospiti di Annozero prendesse in presto la forma espressiva dell’apologo autobiografico del programma: “Sono diventato sindacalista – raccontava il segretario della Fiom – perché dovevo spiegare ai dirigenti della coperativa rossa dove lavoravo che facendo il lavoro di saldatura all’esterno provavamo freddo: ‘Anche se io e te abbiamo in tasca la tessera dello stesso partito, io o freddo lo stesso”. Ed è come se Santoro passasse dal suo stilema preferito dell’editoriale-invettiva, a quello del comizio landiniano, a quello della mascheratura satirica e del costume di scena (con la sua tuta blu). In questo spettacolo scompare l’inchiesta di Annozero, entra in campo il pubblico dell’evento rock, si combina il pastiche di generi: il film raccontato da Sandro Ruotolo come un radiodramma (“We wont sex”), lo schetch di Guzzanti, la cantata di Teresa De Sio (“Todo cambia”), che però arriva direttamente dall’Habemus papam di Moretti. E’ come se aver portato i testimoni di fede del santorismo su quelle torri dopo averli fatti contaminare l’uno con l’altro nel back stage, avesse prodotto anche una mimesi linguistica: gridano tutti, sono incazzati tutti, l’indignazione è la parola magica che tiene insieme tutti i fili, dall’operaio della Finmeccanica, alla madrina degli extracomunitari delle gru (bravissima) allo studente movimentista (pessimo). Insomma, se dentro Tutti in piedi c’è una scheggia di futuro, è bene sapere che dentro questa premonizione – come sempre accade per le profezie – c’è qualcosa di stucchevole e di bellissimo insieme. Sarà bello vedere quali dei demoni che ha agitato in questa notte Santoro riuscirà a domare e a sopire, con il suo alambicco di alchimista, il suo raggio verde di esploratore telnautico, con il rosso e nero della sua drammaturgia bipartitica e – soprattutto – con la sua frusta feroce di domatore di Circus.
di Luca Telese
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