di LUCA TELESE
E Marco Pannella, nella sede di via di Torre Argentina ululò: “Andatevene affanculo, capito? Affanculooooo…”. Ce l’ha con l’autore di questo articolo, che gli chiedeva conto del voto del suo gruppo a Montecitorio. Infatti, con un colpo di scena (ma nemmeno troppo), dopo aver minacciato di dissociarsi già ai tempi della sfiducia a Berlusconi il 14 dicembre, i sei deputati radicali eletti nelle liste del Partito democratico non votano l’autorizzazione all’arresto del ministro Saverio Romano. Nel momento della verità, mentre le luci del tabellone lampeggiano, alzano dei cartelli in aula con scritto sopra: “Amnistia”. Il loro modo per dire, al momento del voto, che in segno di protesta contro il Parlamento e la sua scelta di non intervenire sulla giustizia e sull’emergenza carceri, si sottraevano alla logica di lealtà della loro coalizione.
Pannella: “Come il Pcus”
La scelta dei Radicali ha abbassato il quorum e ha contribuito al salvataggio del ministro, inquisito per i suoi rapporti con la mafia. Ma alla fine dello scrutinio, quando si è saputo che i voti della maggioranza erano stati 315, è apparso chiaro che la dissociazione dei sei deputati non è stata determinante (dal punto di vista numerico), perché esisteva comunque una maggioranza a favore del ministro inquisito. Eppure, visto che nessuno prima del voto poteva immaginare prima chi avrebbe votato e cosa, la scelta dei deputati pannelliani ha creato sconcerto in una parte dello stesso gruppo di cui fanno parte (quello del Pd, nelle cui liste sono stati eletti) con il collega Andrea Sarubbi, quello della legge sulla cittadinanza, che nel pieno del Transatlantico si sfoga inviperito: “Adesso basta! Con loro dovremo fare i conti!”. Anche Rosy Bindi affronta il tema. La presidente del Pd è arrabbiata: “Quella dei radicali è una decisione inqualificabile. Ritengo che il gruppo ne debba trarre le conseguenze, e anche il partito”. In serata la situazione precipita, e le agenzie battono la notizia che il direttivo del gruppo del Pd oggi si riunisce per prendere provvedimenti. A Torre Argentina, dove i radicali sono tornati dopo il voto, arriva in diretta la notizia che i sei obiettori di coscienza potrebbero subire provvedimenti disciplinari dal gruppo come ventilato da Sarubbi e dalla Bindi. Marco Pannella, che allo sciopero della fame ha aggiunto quello della sete (sempre per chiedere un’immediata amnistia) se la prende persino con questo giornale: “Sai che cosa dico a voi de Il Fatto Quotidiano? Andatevene affanculo! Stiamo facendo una protesta nonviolenta per la civiltà e per il diritto, ma a voi non ve ne frega nulla, come del resto agli altri giornali di regime. Scrivete di noi – si sfoga il leader radicale – solo per questa miserabile votazione, e intanto quelli del Pd lavorano per espellerci come ai tempi del Pcus. Ma che bella situazione. L’unica cosa che posso dire è questa: andatevene affanculo!”
“Diciamo no alla partitocrazia”
La dissociazione aveva preso corpo durante il dibattito: con quattro interventi a titolo personale di Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti, Marco Beltrandi e la segretaria, Rita Bernardini. Elisabetta Coscioni non ha avuto modo di parlare, ma è solidale con la scelta dei suoi compagni. Interrompendo la riunione accetta di parlare Maurizio Turco, che accetta di ricostruire la genesi della scelta: “Noi abbiamo saputo del testo di questa mozione dopo che era stato presentato…”. Ed è per questo che non avete partecipato al voto su Romano? “Noi non abbiamo votato perché dopo che il presidente della Repubblica ha parlato della giustizia, e del carcere, e di una illegalità sanzionata dal consiglio di Europa, e il Senato si è riunito in seduta straordinaria, per la terza volta nella sua storia, senza decidere niente!”. Allora chiedi a Turco se questo è un motivo sufficiente ad agevolare il ministro inquisito per mafia. A questo punto si arrabbia pure lui: “Noi non abbiamo salvato Romano! Tant’è vero che la maggioranza ha avuto 315 voti. Ma, visto che lei me lo chiede, le faccio una domanda io: questo articolo lo avrebbe scritto se noi avessimo votato a favore dell’arresto? Le rispondo io, perché la risposta è semplice: No”. Quindi è un voto per acquisire visibilità a prescindere dal contenuto e dagli effetti dello scrutinio? “È un voto – dice Turco – per poter dire che le migliaia di prescrizioni che ogni anno vengono decise sono tutte illegali, perché i processi sono infiniti”. Ma Romano cosa c’entra con questo? Turco sospira: “Noi non siamo entrati nemmeno nel merito delle accuse a Romano!”. Se gli chiedi che senso abbia penalizzare l’opposizione e favorire il governo che è il primo inadempiente sulle richieste dei radicali Turco si arrabbia: “Su questi temi non esistono differenze fra maggioranza e governo, che hanno la stessa indifferenza al dramma delle nostre carceri e alla situazione di illegalità istituzionale. Il nostro è stato un voto contro la partitocrazia”. Bisognerà che qualcuno lo spieghi anche a Romano. Che stasera è andato a letto felice.
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