Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

“Il Manifesto” non si rassegna, la battaglia per sopravvivere

di LUCA TELESE

Il manifesto, nel suo giorno più difficile. Il giornale riunito come per un lutto, lo stanzone della redazione pieno di fumo, il senso del dramma che si avverte appena varcata la porta. Norma Rangeri parla lentamente, quasi pensando le parole – gravi – con cui apre la sua conferenza stampa: “Questo taglio ai fondi dell’editoria colpisce il nostro giornale e altri 200 in modo quasi letale. C’è rischio concreto, immediato di chiusura. C’è il rischio che Monti riesca dove Berlusconi ha fallito”. PER CAPIRE quanto sia tragica l’atmosfera nella sede del quotidiano più antico della sinistra radicale (40 anni di vita, una bandiera nelle tasche di tanti lettori) basta contemplare il viso quasi scultoreo di Valentino Parlato, a fianco della direttrice. La mano del fondatore è appoggiata sulla fronte, la testa reclinata, gli occhi che si chiudono mentre scuote il capo. Parla poco, non nasconde il suo disagio: “Non sarà facile resistere, ma non ci arrendiamo”. La Rangeri invece è triste (ma anche incazzata). Si lascia sfuggire una battutaccia, sull’incertezza che aleggia da mesi intorno ai fondi che il governo dice di volere erogare, ma anche di voler tagliare, e che alla fine ha ridotto del 40 per cento: “Questo tira e molla rende impossibile qualsiasi piano industriale, qualsiasi forma di finanziamento: eppure conoscono bene i meccanismi del credito perché sono tutti banchieri”. Ancora più netta: “É un doppio attacco: quello della censura del potere e quello del malaffare di chi ha approfittato in questi anni di quei fondi senza averne diritto”. I redattori sono tutti in piedi, vecchi e giovani. Tre generazioni de il manifesto, tutti stretti nella sede di Trastevere, seconda casa del quotidiano comunista. Sono anni che il manifesto è in crisi, anni di campagne e sottoscrizioni, ma mai come questa volta il rischio di chiusura si è fatto terribilmente concreto. Ieri, sul quotidiano, una delle firme del giornale, Matteo Bartocci, ha rivendicato gli sforzi per risanare un bilancio drammatico: “I sacrifici che abbiamo fatto in questi anni sono senza precedenti. Abbiamo ridotto tiratura e distribuzione all’osso, siamo l’unico quotidiano nazionale non full color, il che ci fa risparmiare, ma ci rende meno appetibili per la pubblicità”. E poi i numeri della redazione: nel 2006 avevamo 107 dipendenti. Ora sono 74, 52 giornalisti e 22 poligrafici. Di questi 74, però la metà è in cassa integrazione. Per cui il giornale è fatto da 35 persone. Eppure il commissario liquidatore nominato dal governo potrebbe chiudere ugualmente i battenti della società. PARLATO, L’ULTIMO dei padri fondatori rimasti in redazione (visto che Rossana Rossanda abita a Parigi) dice: “Liquidazione non vuol dire chiusura. Se saremo in grado di aumentare le vendite, gli abbonamenti, se riusciremo a fare qualcosa di buono allora ci sono speranze concrete di poter continuare ad andare in edicola. Se le cose continueranno ad andar male non potremo fare altro che vendere la testata”. Poi parla Mario Salani, presidente di Mediacoop, l’Associazione dell’editoria in cooperativa: “Senza sapere quali sono le entrate si può solo chiudere”. Arrivano le domande, e la direttrice rincara: “Da anni denunciamo gli imbrogli intorno al finanziamento pubblico, i Lavitola, gli Angelucci e Caltagirone foraggiati come specchiati direttori ed editori. La pulizia nel settore è nostro interesse – aggiunge la Rangeri – alcune di queste irregolarità le abbiamo denunciate per primi”. Però il tema è se l’informazione sia un bene pubblico da tutelare: “È un modello che si sta affermando persino negli Usa come risposta ai problemi del conflitto di interessi e della libertà di informazione”. E poi: “Il mercato non è l’unico imparziale metro di giudizio sulla bontà di un’impresa informativa: chi lo invoca dovrebbe spiegare quale mercato esista oggi in Italia. Viviamo una situazione drogata, in cui la fetta più grossa della torta pubblicitaria viene mangiata dalla tv (56 %), ai quotidiani rimangono le briciole (16, 9 %). Mentre si fa la foto della redazione, la Rangeri tratteggia la linea dell’ultima e più importante battaglia: “Se la qualità dell’informazione coincide con il profitto, la sfera pubblica diventa fragile terreno di un populismo governato dalle multinazionali delle news”. Poveri, ma onesti. E senza nessuna intenzione di arrendersi. Parlano in segno di solidarietà Beppe Giulietti, di Articolo 21 e Paolo Butturini di Stampa Romana, il sindacato. I partiti di sinistra sono assenti: “Conoscendoli mi sarei stupito del contrario”, dice Parlato. E, solo per un attimo, una specie di sorriso amarissimo gli increspa il viso.

twitter@lucatelese


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12 risposte a ““Il Manifesto” non si rassegna, la battaglia per sopravvivere”

  1. Avatar Antonio

    Quando un giornale rischia l’estinzione è sempre una grave perdita per l’informazione. Di qualsiasi parte politica si tratti.
    Alcune volte, o forse spesso, si tengono in vita giornali che non vendono abbastanza copie con un finanziamento che assomiglia molto a quello dei partiti.
    Anche questi sono soldi pubblici e non si capisce perché debbano essere usati in questo modo.
    Se un giornale non ha abbastanza lettori non raccoglie abbastanza pubblicità per sopravvivere e quindi normalmente non può andare avanti.
    Se non ha abbastanza lettori forse è perché a pochi interessa quello che si scrive su quel giornale. Non sto parlando del caso specifico ma in generale.
    Visto dall’esterno il finanziamento ai giornali, tutti, è proprio come quello ai partiti e se un partito non ha iscritti dovrebbe chiudere, o no?

  2. Avatar cilios
    cilios

    Mi dispiace che si sia arrivati a questo punto.V Parlato e N. Rangeri sono degli ottimi giornalisti e persone di valore.
    In Sardegna un neonato quotidiano di appena sette mesi ha cessato di vivere ma ci auguriamo che risorgerà.Mi riferisco a Sardegna24 .A SI BIRI !

  3. Avatar la zanzara
    la zanzara

    l’unica cosa che dispiace, per quanto mi riguarda, sono i posti di lavoro che si perdono.
    credo, fra l’altro, che giornali simili non facciano informazione, ma bensi’ danno un “punto di vista”, e sinceramente il mio cedolino dello stipendio non se lo puo’ piu’ permettere di finanziare “opinioni” che interessano a pochi ; l’unica sarebbe confrontarsi con il mercato, in toto, senza neanche il residuo del 40% di contributo, in quanto gli stessi dati a pioggia e in maniera parziale sono ancor piu’ soldi buttati via.

  4. Avatar Nico
    Nico

    Ciao Luca, cito:
    “C’è il rischio che Monti riesca dove Berlusconi ha fallito”
    “Questo tira e molla rende impossibile qualsiasi piano industriale”
    “Se la qualità dell’informazione coincide con il profitto, la sfera pubblica diventa fragile terreno di un populismo governato dalle multinazionali delle news”

    Bastano queste frasi per comprendere evidentemente che chi lavora per questo giornale ritenga NORMALE che lo Stato debba garantire fondi per diffondere delle idee (e non mi permetto assolutamente di giudicarle, corrette o meno che siano) E soprattutto che l’equazione finanziamento privato=profitto=distorsione delle news sia un dogma.
    Ora, premesso che il Fatto Quotidiano vive benissimo senza fondi pubblici e che l’informazioni di La7 o di Sky mi sembrano sufficientemente obiettive, perchè un giornale deve necessariamente esistere? Mi spiego: se non vendi copie non è solo colpa del fatto che è stampato in bianco e nero o che la TV ti mangia quasi tutta la pubblicità. Probabilmente ci sono altri aspetti da prendere in considerazione, come il “target” al quale si rivolge il Manifesto. Chi sono i lettori ai quali si rivolge? Operai e “comunisti”? Bene, può essere che queste persone non trovino più le risposte alle loro domande nel Manifesto e che preferiscano ottenere quelle informazioni con altri mezzi o da altre fonti?

    Cordialmente

  5. Avatar Adalberto
    Adalberto

    La legge per l’editoria nasce da un principio sacrosanto, cioè quello di dare un sostegno concreto alla libertà di pensiero e di parola sancito dalla costituzione. un principio che il mercato da solo non può garantire. Forse ci sarebbe da chiedersi com’è possibile che la sua funzione sia arrivata a distorcersi al punto che i fondi erano presi, ad esempio, dalla rivista dei programmi sky o da giornali che nemmeno arrivavano in edicola.

  6. Avatar Piero
    Piero

    Caro Luca Telese, arrivo al tuo blog grazie a una segnalazione facebook. Sul sito del Fatto la notizia della crisi del Manifesto non compare proprio. Forse si trova sul giornale cartaceo, ma io lo compro di rado, perché il costoso Manifesto assorbe tutto il mio modesto budget per la stampa quotidiana. Comunque almeno qui parli della conferenza stampa, con una cronaca puntuale e intelligente come al solito, insolitamente distaccata. Descrivi il ‘fatto’, ed è meglio di niente. Pressoché uguale a niente è invece la qualità dei pochi commenti che leggo, e non me ne rallegro. Ma ogni tanto può essere importante capire quanto la tabula sia rasa e quanto la storia vada sprecata, restando invenduta nei magazzini. Forse lo Stato dovrebbe incoraggiarne il consumo; non è cibo che fa male, anche se a volte risulta pesante.
    Cordialmente.

  7. Avatar Nico
    Nico

    @ Piero. Sono prontissimo a cospargermi il capo di cenere e a chiedere scusa per quello che ho scritto se mi dici perchè sono stupidate o cose di bassa qualità.
    Se un giornale non vende perchè non c’è niente di interessante da leggere, per quale motivo va insidacabilmente finanziato dallo Stato?
    Chi siamo noi per dire che quel giornare produce articoli di alta qualità o no? Non dico che debba essere il mercato a deciderlo, tuttavia tenerlo in vita solo perchè dice di difendere una determinata categoria di lavoratori mi pare un po’ poco.
    Non è certo solo così che i lavoratori hanno la loro voce o possono farsi sentire.
    Cordialmente

  8. Avatar la zanzara
    la zanzara

    piero

    grazie per il tuo intervento che evidentemente alza la media della qualita’ dei commenti……

    …..e comunque ditemi chi dopo quarant’ anni di contributi totali ricevuti dallo stato non sia in grado di far camminare con le proprie gambe una attivita’ ritenuta di prestigio e storica…

    ………forse chi ci lavorava pensava di essere uno STATALE ,…………dei veri professionisti avrebbero messo il giornale a riparo da questa nefasta, quanto probabile eventualita’

  9. Avatar Piero
    Piero

    Caro Nico, cara Zanzara, il Manifesto non prende contributi da quando è nato, ma non è questo l’importante. Questo giornale può anche non piacere e può essere criticato, possibilmente nel merito e dopo averlo letto. Probabilmente ha molti difetti, ma non quello di essere inutile. Credo che se non stiamo peggio lo dobbiamo anche a quel gruppo di giornalisti con lo stipendio da metalmeccanico, quando riescono a darselo. Suggerirei comunque di utilizzare con più cautela la parola ‘mercato’, dati i tempi. Poi, si può essere d’accordo sul fatto che questo giornale ‘non deve necessariamente esistere’. Ma senza questo paese sarebbe un posto più triste, e sarebbero più soli gli operai della Fiat senza Loris Campetti, anche se ne ignorano l’esistenza.
    Grazie per l’occasione che mi date per scambiare quattro chiacchiere.

  10. Avatar Gigied
    Gigied

    Caro Piero, se il Manifesto non vende deve sperare di attrarre lettori e non soldi dallo stato (cioé da noi).
    N.Rangeri Invece di cercare il colpevole nel solito “fascista, Berlusconiano, piduista ecc. Ecc” farebbe meglio a capire che forse la gente si è stufata della demagogia solita del suo giornale e ora compra il fatto quotidiano dove se si deve si parla anche dei casini che fanno i suoi cari “compagni”.

  11. Avatar Giordano
    Giordano

    Chiamasi lotta per la sopravvivenza ed e’ In attorney da un pochino …..

  12. Avatar g pen Vapor cleaning

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