di LUCA TELESE
Metti che sei preso da un istinto garantista. Metti che la tua ex collega Chiara Rinaldini, portavoce di Rosi Bindi (e la stessa presidente del Pd) ti ripetano: “Ma lo hai letto il documento? lo hai letto davvero?“. Metti che lo avevi letto davvero, sull’onda dell’emozione – e anche un po’ incazzato, per quello che era successo all’Assemblea del Pd, come tantissimi militanti di quel partito – ma che subito dopo pensi: va bene, rileggiamolo con calma.
Metti che il documento più discusso dai giornali italiani non sia stato pubblicato da nessun giornale italiano, e che questo sia un altro indicatore di come funzona l’informazione in Italia. Metti che Chiara ti dica: “Ti rendi conto? Ci sono voluti mesi e mesi di lavoro per stendere quel documento“.
Tu hai una tua idea, sai bene che il conflitto che è andato in scena in quei mesi dentro il vertice del Pd non è solo rappresentato dal quel documento, ma che è il punto di arrivo di una guerra iniziata dentro la sinistra nel lontano 2007 quando i Pacs vennero inseriti nel programma elettorale dell’Unione, poi dopo la vittoria stracciati, quindi tramutati nella farsesca formulazione burocratica dei Dico (dopo una lunga trattativa fra l’allora ministro Bindi e l’allora ministro Pollastrini), infine risciacquati nel giochino linguistico dei Cus (a volerli era stato Cesare Salvi) poi affondati in parlamento per via dei veti binettiani e dei diktat di Francesco Rutelli.
Bene, metti tutto questo, ma metti anche che tu sia preso da uno scrupolo garantista, illuministico, giornalistico, e dica: “D’accordo, adesso mi armo di santa pazienza e mi vado a leggere quel documento senza nessun pregiudizio“. Vi chiedo un sacrificio: provate a prendere il documento insieme a me, scorretelo alla ricerca del passaggio incriminato, arrivate – non senza fatica – al fatidico paragrafo 5.
Sappiate che questo lavoro ve lo sto facendo io, e che dentro il paragrafo 5 ci sono ben cinque sottoparagrafi. Prima considerazione: se la commissione Bindi e i suoi membri credevano, che dei cittadini non affetti da nessuna tara genetica, potessero arrivare fino a questo punto, già si pone un problema politico.
Ma saltiamo anche questo dettaglio. Adesso provo a ripubblicare il parafrafo incriminato in integrale (e quindi anche in ostrogoto, burocratese) e poi proviamo a tradurlo insieme. Prendete un bel respiro, andate in apnea, e leggete il testo nell’unico modo possibile enza perdere il filo, e cioè doppiandolo con una una inflessione da avvocato di provincia superterrone, di quelli con la cravatta a nodo scorsoio e i peli dei padiglioni auricolari non potati, che a “Un giorno in pretura”, fanno le citazioni latine anche per discutere di un incidente d’auto. E’ l’unico modo in cui questo documento può essere compreso. Pronti? Via:
Il Pd, auspicando un più approfondito bilanciamento fra i principi degli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione, quanto in specie alle libere scelte compiute da ciascuna persona in relazione alla vita di coppia e alla partecipazione alla stessa, opera dunque per l’adeguamento della disciplina giuridica all’effettiva sostanza dell’evoluzione sociale, anche introducendo, entro i vincoli della Costituzione e per il libero sviluppo della personalità di cui all’articolo 2, speciali forme di garanzia per i diritti e i doveri che sorgono dai legami differenti da quelli matrimoniali, ivi comprese le unioni omosessuali.
Ce l’avete fatta? Siete ancora vivi? Adesso, siccome non bisogna mai cedere al dileggio, ma si deve capire come nasce un pasticcio sucida, e quale sia la logica ferrea di un gruppo dirigente che collettivamente e consapevolmente perde la bussola, proviamo a spiegare perché questo articolo è scritto proprio così.
La commissione Bindi aveva un primo problema. Nel 2007 i cattolici della Margherita – oggi nel Pd – avevano voluto i Dico (una forma che non esiste in nessuna parte del mondo) per evitare una cosa che considerano inaccettabile. Ovvero: la semplice idea che agli omosessuali fosse concesso un rito che potesse avere una parvenza di cerimonia.
L’idea che si potessero invitare al Pacs degli amici, dei testimoni, che si potesse – cioè – celebrare una festa civile che permetteva di stringere un legame pubblico, un rito di passaggio sociale, una “unione civile”, che potesse in qualsiasi modo ricordare il matrimonio. Orrore. Ecco quindi che “la coppia”, come soggetto del Pcs scompare, e appare il “burocratorum”, la lingua degli azzeccagarbugli:
[…] quanto in specie alle libere scelte compiute da ciascuna persona in relazione alla vita di coppia e alla partecipazione alla stessa.
Capito? Non è la coppia, ma sono “libere scelte” che contano. Che partecipano alla “stessa” (un dubbio: ma i cervelloni mobilitati dalla commissione Bindi, hanno studiato italiano in questura?).
Ed ecco la seconda perla. Malgrado il tentativo di contenerli con strumenti linguistici gli omosessuali nella realtà esistono, e hanno persino dato vita a delle coppie senza chiedere il permesso a nessuno. Qui la commissione Bindi fa una grande passo avanti, e prende atto – dolorosamente, mi immagino – di questa realtà:
Il Pd… opera dunque per l’adeguamento della disciplina giuridica all’effettiva sostanza dell’evoluzione sociale, anche introducendo, entro i vincoli della Costituzione e per il libero sviluppo della personalità di cui all’articolo 2, speciali forme di garanzia.
Capito? Non si può dire direttamente che le coppie esistono, e quindi riconoscerne la dignità sia pure in una riga di documento. E allora, ecco che la disciplina giuridica si adegua, obtorto collo, ad una perifrasi: la sostanza “dell’evoluzione sociale” a cui la disciplian giuridica si deve adeguare. Mecojoni. E qui si arriva al gran finale:
Sempre il Pd si adegua all’evoluzione sociale “anche introducendo, entro i vincoli della Costituzione e per il libero sviluppo della personalità di cui all’articolo 2…“. Anche qui questa formula va spiegata. Cosa dicein pratica la commissione Bindi? Dice che il matrimonio omosessuale non si può fare perché la Costituzone lo vieta.
Si potrebbe discutere per ore sul fatto se questo sia vero (non è vero, infatti, c’è anche una sentenza della corte costituzionale lo spiega abbastanza bene, e per fare casino il documento in un altro punto la cita) ma la Bindi sta usando i padri del ’48 per mettere il suo paletto e proporre il suo compromesso possibile (alle condizioni che immagina lei) fra laici e catolici: con l’articolo 2 si riconoscono i diritti dell’individuo (e il suo sottoprodotto indesiderato, la coppia). Poi ci cita la Costituzione, per dire: in ogni caso nessun matrimonio.
E allora, se questi sono i paletti, che cosa si può fare? Cosa diavolo devono fare questi benedetti omosessuali che ci costringono, con il loro fare provocatorio, ad adeguarci all’”evoluzione sociale?” (bello che siano indirettamente e incosapevolmente paragonati a quell’altro noto terrorista di Darwin).
Secondo il documento Bindi, il Pd opera, perché ci siano “speciali forme di garanzia per i diritti e i doveri che sorgono dai legami differenti da quelli matrimoniali, ivi comprese le unioni omosessuali”. Avete capito? “Ivi”. Quando si riuniscono, nella commissione Bindi, dicono “ivi”.
E così vi devo dire che ho parlato a lungo con la mia amica Chiara, portavoce, amica, e strepitosa paladina di Rosi Bindi. Mi ha detto: “Se guardi con attenzione, in quel testo, puoi cogliere anche gli estremi per un Pacs“.
Certo, ci vuole il microscopio elettronico. Certo, se mio nonno avesse le ruote sarebbe una carriola. Ma i problemi sono almeno tre. Uno: perché i dirigenti del Pd sono così autolesionistici da non capire che una mediazione al ribasso in ostrogoto è dannosa – in ogni caso – più di una sana divisione?
Due: perchè non accettare di mettere ai voti – come ha fatto la Bindi eliminando due documenti e accogliendone un altro in una abbraccio mortale – che qualcuno potesse misurare il grandimento di questo pasticcio incomprensibile?
Tre: perché non pensare che la soscietà non è un organismo statico e che Obama, Lula, ed il Pci di Enrico Berlinguer (nel 1974, ai tempi del divorzio) hanno dimostrato che il senso comune può essere cambiato? Sarebbe bello raccontare dell’appello elettorale di quel referendum (in cui Fioroni e la Bindi erano con Fanfani a fare campagna per l’indissolubilità del sacro vincolo) che Berlinguer si doveva difendere – e lo fece benissimo – dall’accusa di essere “un rovina-famiglie”.
Bello ricordare che il più strenuo alleato di Fanfani, Giorgio Almirante, era a sua volta un divorziato, che anni dopo ebbe l’onestà di dire alla sua sdconda noglie, Donna Assunta: “Meno male che abbiamo perso“.
Perché non accettare l’idea che un diritto è un diritto e che se uno ha ribrezzo per gli omosessuali voterà sempre destra, e certo non andrà ad eccitarsi per il paragrafo 5 del punto 5 del documento Bindi? Questo giornale si è dato una linea. Noi non vogliamo cedere al germe dell’antipolitica, vogliamo che i partiti possano riformarsi.
Noi vogliamo che tutti i partiti di sinistra escano dalla catalessi in cui si trovano. Noi crediamo che Pierluigi Bersani, non per far contenti noi, ma per placare i suoi stessi militanti, dovrebbe risolvere con un tratto di penna questo pasticcio: non a settembre dell’anno del mai, ma domani mattina.
Convochi i suoi dirigenti, chieda la fiducia su una linea o su un’altra, e faccia votare il suo partito. Se Bersani riterrà che la linea possibile nel 2012 siano i Dico con ricevuta di ritorno (mentre tutto il mondo da Obama a Hollande vince con la proposta del matrimonio omosessuale) rispetteremo questo anacronismo dissentendo.
Se si convincerà dell’idea che proviamo a suggerirgli, e cioè che siamo nel tempo del coraggio, e persino nel XXI secolo, lo applaudiremo dandogli atto del grande passo avanti. Il testo di questo complicato, nobile, avvicente documento, chiaro come un cifrario criptato, intellegibile come il codice Emigma della seconda guerra modiale, deve essere prima di tutto tradotto. Poi spiegato per bene.
E quindi destinato al suo posto ideale: il cesso.
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