di LUCA TELESE
Oggi, per provare a capire, quale dramma si stia verificando nel campo del cambiamento bisogna citare il titolo entusiasta di “Europa“: “Patto a tre, Di Pietro è fuori, ecco il nuovo centrosinistra“. Dove “il nuovo centrosinistra”, secondo il quotidiano della zombie-Margherita (il primo partito che ha fatto della sua inesistenza un motivo di marketing e di autofinanziamento a spese dei cittadini) sarebbe formato da Pd, Sel e Udc.
Ovviamente si tratta di una zelante traduzione giornalistica del sogno osceno dei centristi italiani: dividere la sinistra, dribblare le elezioni, ritrapiantare la Binetti, Buttiglione e Cesa nel corpo elettorale degli eroici elettori elle Pd e di Sel (che ancora non avevano finito di festeggiare l’autoespulsione del rutellismo dalla loro alleanza elettorale). Come – e con quali manipolazioni mediatiche – si sia arrivati a questo terrificante pastrocchio, e cosa bisogna fare per scongiurare una simile catastrofe é la prima domanda che chi ha a cuore le sorti della sinistra riformista deve porsi in queste ore.
UNA VITTORIA SCOMODA. Per capire questa operazione, dunque, bisogna fare un passo indietro, e tornare al risultato elettorale (mal sopportato dai centristi e per questo chirurgicamente rimosso dal dibattito) delle ultime elezioni regionali. Quel giorno, ero nello studio del Tg de La7, si era verificato qualcosa di straordinario per la sinistra, e di devastante per i centristi italiani. La vituperata “foto di Vasto” vinceva pateticamente ovunque (tranne che nel sud di Gomorra e in qualche ridotta leghista della Valtellina). Il mirabolante terzo Polo, malgrado le marchette dei media palazzinari meritava di essere raccolto con il cucchiaino.
Quel giorno, in cui la vittoria del nuovo centrosinistra alle politiche era già ipotecata, uno dei pochi dirigenti a lutto ce lo avevo seduto a fianco. Si chiamava, (e si chiama) Enrico Letta. Conosco Enrico d molti anni: una persona squisita sul piano umano, che ha un solo difetto: morirebbe in un orgasmo pur di veder nascere un governo Letta-Letta in cui i centristi neodemocristiani di tutti i partiti vanno al governo con i voti del popolo della sinistra. Enrico era quello che nell’ora del battesimo del governo dei tecnici mandava bigliettini d’amore a Monti (“È il giorno più bello della mia vita!“). Ed è per questo che Enrico Letta, quella sera, aveva inalberato, sulla sua bella faccia da pallido fantasma scespiriano una maschera di lutto: “Ma noi dobbiamo allearci con l’Udc!“, gli scappò detto con un guaito di dolore durante uno spot (e io ci feci subito un tweet). Una posizione condivisa da nessuno fra gli elettori del centrosinistra, ma molto popolare nei salotti e nelle lobbies che sostengono il manichino di Monti.
CAMBIARE RACCONTO. Ecco perché, per far vincere il minoritario partito del Letta-Letta, occorreva cambiare racconto. Il primo tassello è stato la cancellazione della vittoria scomoda: nessun dirigente del Pd di ogni segno e colore ha considerato – per motivi diversi – quel trionfo elettorale un risultato politico. Per dire: D’Alema sogna l’accordo con Casini anche di notte, Veltroni in alcuni casi è più a destra di Casini, Fioroni è come Casini, e quindi si sente a casa. Secondo: il partito Letta-Letta, per poter portare a casa la sua operazione, aveva bisogno di una legge truffa, un ultraporcellum che cancellasse le coalizioni, e di una sinistra divisa, da manovrare meglio. Ebbene: la legge potrebbe essere votata nelle prossime ore. E la divisione potrebbe diventare irreversibile a partire da domani.
Per dividere la sinistra e la sua capacità egemonica sulla coalizione, quindi, occorreva spezzare l’asse Di Pietro-Vendola. Il che è stato reso possibile (anche) da alcune intemperanze di Di Pietro, e (anche) da alcune timidezze di Vendola. Il giorno in cui i due leader erano venuti a In Onda accettando di farsi fotografare con una sagoma del convitato di pietra, Bersani, per esempio (quando cioè il messaggio politico era opposto di oggi) il partito Letta-Letta era a lutto. Così è nato il Di Pietro “cattivo”: io non condivido la campagna anti-Napolitano. Ma non si capisce perché Casini abbia diritto a sostenere posizioni omofobe, mentre l’Italia dei valori viene messa all’indice se critica Napolitano.
A Sel, invece, viene proposto un altro miraggio: scaricate Di Pietro il cattivo, e noi (dove questo noi sono “i bersaniani”) scarichiamo Monti. Fate cadere la pregiudiziale anti-Casini, e noi apriamo un dialogo privilegiato con voi. A questo va aggiunto che un altro attore mediatico, che per semplicità va chiamato il partito dell’antipolitica, questa divisione fa comodo. E non a caso è Il Fatto “travaglista” che monta ed esaspera le divisioni dentro l’Idv. Visto che – legittimamente – Travaglio tifa Grillo, per agevolare la vittoria dell’antipolitica e della linea “tanto peggio tanto meglio”, é essenziale per chi aspira a questo obiettivo scongiurare la vittoria della sinistra alla Hollande, la sinistra riformatrice, quella che punta a governare senza stampelle tecniche o clericali.
Ecco dunque che una posizione quasi unanime tra gli elettori del centrosinistra diventa una posizione minoritaria nei media. I grandi giornali “indipendenti” e l’Unità tirano la volata al partito Letta-Letta, il Fatto lavora per l’alleanza Idv-Grillo (che è solo un trucco per i gonzi, visto che Grillo non può allearsi con nessuno per un dogma di fede). Il bello è che il primo ad essere consapevole di questo è – ci ho parlato decine di volte – lo stesso Di Pietro. Grillo non vuole allearsi con lui, ed è anche il suo concorrente elettorale diretto.
IL PROBLEMA DI VENDOLA. E qui si entra nel dilemma di Sel. Vendola deve – e può ancora – diventare con Di Pietro il leader della sinistra di governo, quella sinistra “arancione” che, come hanno dimostrato Doria, Zedda, Pisapia, Petrangeli a Rieti lui stesso in Puglia nel 2005 e nel 2010, più le variabili meridionali di De Magistris e di Orlando e quelle “da destra” di Renzi- vince a man bassa nelle urne facendo a pezzi nelle primarie il partito Letta-Letta e gli esangui apparatnick (pensate al povero prefetto Morcone, all’architetto Boeri o al manuale del perfetto suicida scritto dal Pd a Parma) pescati con istinto rabdomantico per la ricerca del perdente certo che contraddistingue in questi anni il gruppo dirigente del Pd.
Anzi, diciamo meglio: ogni volta che i dirigenti del Pd scelgono contro la volontà del loro popolo un bollito, il loro popolo corregge la rotta con le primarie (dove non sono inquinate, cioè ovunque, tranne che nel meridione gomorriano) o con il voto nelle urne. Vendola ha dimostrato di avere la “vision” per costruire queste operazioni sui territori, ma poi, improvvisamente, ha dato l’impressione di fermarsi e di rallentare il passo a livello nazionale. Come mai? Anche con lui ho parlato tante volte, e mi sono fatto questa idea. Da un lato a frenarlo c’era una preoccupazione nobile: imparare dalle sconfitte di questi anni, che la sinistra se si rompe perde. Dall’altro una ritrosia che oggi pare un tallone d’Achille. Siccome mezzo gruppo dirigente del Pd sostiene Monti, questo punto di divisione va rimosso.
Infine una pericolosa velleità alimentata da quello che promettono i bersaniani (soprattutto quelli di sinistra, magari in buona fede): alleati con noi, caro Nichi, e noi scarichiamo Monti e le sue demenziali ricette Bce: tasse, tasse tasse e tagli, tagli tagli. Cioé la cosiddetta “cura greca”. Che bello, che miracolo paligenetico, e che formidabile balla. Se mai questa promessa d’amore fosse sussurrata in buona fede, Vendola (essendo maggiorenne e vaccinato) dovrebbe sapere che il partito del Quirinale e quello della stampa “indipendente” farebbero a pezzi la segreteria del Pd se solo ci provasse. Oggi che serve staccare Di Pietro sono pronti a fargli ponti d’oro. Domani, ina volta ottenuto il risultato, che forza politica si avrebbe?
La migliore riprova è che questo gruppo di pressione ha già ottenuto questo risultato in almeno tre occasioni, ogni volta cioé, che i neolaburisti bersaniani (per capirci: Fassina e Orfini) hanno provato a rompere il dogma montiano. Ecco perché l’unico modo per avere qualcosa da dire alle primarie é recuperare immediatamente il patto con Di Pietro (le baruffe di queste ore sono acqua fresca), correggere gli errori di (chiamiamoli così) “comunicazione”, aprire una sana “competition” con il moderatismo della maggioranza del gruppo dirigente del Pd e dei postdemocristiani senza voti. Questa non è una linea (altra ossessione dei pensierodebolisti che sono anche in Sel) “minoritaria”. Questa è la linea seguita da Prodi nel 1999 quando lanciò la sfida al moderati dell’allora Pds (tra cui, per capirci, quelli che avevano ammazzato l’Ulivo) al grido “competition is competition”.
Se invece Sel si consegna da sola al partito del Letta-Letta, deve sapere che il suo destino politico è segnato: primarie finte in cui l’unica proposta diversa vera sará quella di Renzi ( da destra, ma perlomeno diversa) e l’alleanza con Casini inevitabile. “Riaprire la partita” (uso volutamente uno slogan caro a Vendola), in questo momento, vuol dire competere e non fare da ruota di scorta al partito Letta-Letta, unire tutte le sinistre di governo (ce ne sono anche nel Pdci e persino in Rifondazione ce ne sono tantissime senza tessera nella società). Riunire le persone, non gli apparatini burocratici, perché questo è il senso comune del popolo della sinistra. Altrimenti il desiino di Sel è già scritto, e lo dico con il massimo rispetto per quella storia: è il percorso compiuto dai Comunisti Unitari. Quello che ha portato quel partito a pagare un tributo di sangue, raccattare qualche seggio (per una legislatura) e diventare politicamente irrilevanti subito dopo.
Anche perché la domanda che fa sparire ogni dubbio e sui cui dovrebbero giocarsi le primarie è: cosa vogliono fare i bersaniani e i lettiani dell’articolo 18 fornerizzato e della riforma delle pensioni dei tecnicorum? Ecco perché Di Pietro, Vendola, il popolo del Pd e i suoi dirigenti riformatori, Alba e i sindaci arancioni, coloro che hanno difeso i diritti e il lavoro in questi lunghi e terribili mesi di crisi, hanno una sola strada per pesare nella partita: non accettare il canto delle sirene del partito Letta-letta e la foto del cenacolo bipartisan dei cervelli democristiani – dal democratico Boccia alla piediellina Ravetto – di Vedrò, che dopo il voto produce – grazie all’ultraporcellum – un nuovo governo Monti. E giocare per far vincere la sinistra riformista, come in Francia.
Se ci è riuscito Hollande perché mai non dovrebbe riuscirci la sinistra italiana?
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