di LUCA TELESE
«Posso dire una cosa? Forse dovremmo convocare un seminario, meglio se a porte chiuse, per capire nel dettaglio come, quando e soprattutto di quanto dovrebbe essere una patrimoniale abbatti-debito. E ovviamente se abbia un senso proporla, e quando. Ne parlo dal 2011, e mi attaccano da destra e da sinistra. Adesso vedo che ne parla persino Samorì, uno dei candidati del centrodestra alle primarie».
Pietro Modiano, presidente di Nomisma, banchiere di area prodiana, torna a parlare del suo grande progetto con spirito di servizio e una punta di amaro in bocca, dopo il confronto Sky tra aspiranti premier di centrosinistra (zero numeri e cifre) e dopo le parole (poi ritrattate) di Mario Monti. In una intervista a «Linkiesta» ieri ricordava di aver lanciato l’idea già nell’estate del 2011. Oggi il numero uno di Nomisma dice: «Quando l’ho proposta, era il luglio di un anno fa, mi pareva avesse molto senso. Sarebbe stata una misura preventiva, che avrebbe sorpreso positivamente i mercati e affermato in modo concreto il principio della solidarietà del paese, di fronte a sacrifici che non avrebbero risparmiato i più deboli, e di cui i privilegiati si sarebbero fatti carico, come è giusto, prima degli altri. Ha fatto poca strada. Non si è riusciti neanche ad entrare nei dettagli, nel fatto che per esempio prevedevo di limitarci al 20% più ricco, non toccare gli immobili, di compensare almeno in parte le tasse sul reddito già pagate, colpendo così gli evasori, eccetera. È diventata un tabù. Meglio soprassedere, era una discussione solo ideologica. Non so se la proporrei nella situazione di oggi, che è diversa. Oggi non sarebbe più una misura preventiva, e forse suonerebbe paradossalmente come una prova di sfiducia su quanto stiamo facendo. Potrebbe non piacere, quindi, neanche tanto ai mercati. Resta il principio della solidarietà, e di una giusta distribuzione dei sacrifici, che fin qui non c’è stata. E sono convinto che, se fatta bene e col consenso, in primis – sono illuso – di chi la pagherebbe, potrebbe servire fra un po’, come sanzione a quel punto definitiva di un percorso virtuoso che si ritenesse compiuto. Non ora, quindi, ma quando saremo certi che chiuda la fase dell’emergenza, segni l’inizio della ripresa di sovranità sulla nostra politica economica».
La rifarebbe come l’aveva pensata nel 2011?
Ci sono alcune condizioni preliminari. La pri- ma: deve essere una tantum. La seconda: non deve produrre una fuoriuscita di capitali. La terza: deve essere fatta alla luce del sole, con un patto di solidarietà in cui i più ricchi si fanno carico loro di un interesse collettivo.
Come?
Non sulle proprietà immobiliari, ripeto, quelle vanno tassate, e lo sono già, con imposte regolari, non una tantum. Non puoi costringere uno a vendere un pezzo di casa per pagare una tassa una tantum.
Ma questo basta a convincere chi ha grandi patrimoni?
Capisco che dover pagare il 10 per cento della tua ricchezza finanziaria è un peso molto forte. Ma ci sono due argomenti ineludibili. Il primo: gli altri, i più deboli, hanno già pagato e pagheranno in vario modo. Non è accettabile chiamarsi fuori da parte di chi ha di più. Il secondo: quello che si paga, lo si recupererà con la crescita di valore dei titoli, a risanamento avvenuto. Del resto, il debito andrà comunque ridotto, e
bisogna vedere se costa di più farlo in modo graduale, condannandoci ad un lungo ristagno, o con un colpo secco.
I nemici della patrimoniale dicono: è un’imposta depressiva.
L’obiezione è seria, ovviamente, parliamo di parecchi punti di Pil, e per questo la cautela è d’obbligo, e la riflessione necessaria, sul se e sul quanto. Sarebbe un intervento senza precedenti, e la certezza che l’impatto sia limitato non ce l’ha nessuno.
Però?
Però se la tassa gravasse, come sostengo, solo su patrimoni liquidi, non verrebbe pagata attra- verso il reddito, come con gli immobili. E se poi gravasse solo sulla parte più benestante del paese, l’impatto sui consumi sarebbe molto più ridotto.
Parliamo di come sarebbe modulato il prelievo.I miei conti sono questi: gli assetti totali sono 8.600 miliardi. Quelli immobiliari 5.000, quelli mobiliari 3.600, quelli tassabili 3000. Per la sta- tistica il 10% degli italiani possiede il 45% della ricchezza. Credo che il 20% possieda il 70%, circa 2000 miliardi. Se il prelievo è del 10%, fanno appunto i 200 miliardi di euro su cui ragionavo.
Qui davvero i ricchi piangerebbero.
Non tutti.
Perché?
Perché si potrebbe immaginare, come accennavo, un congegno di riequilibrio del tipo: tu paghi, ma noi ti sottraiamo tre anni di Irpef. La tassa resta un salasso. Ma solo gli evasori totali resterebbero colpiti per intero, mentre gli onesti avrebbero un premio.
E la fuga di capitali?
Bisogna studiare meccanismi tecnici che rendano l’evasione recuperabile, ad esempio controllando i comportamenti elusivi con la misu- razione delle uscite dopo la data.
E a chi dice che la patrimoniale ha un effetto anestetico?
Mi pare poco fondata. Il saldo primario della nostra pubblica finanza ha raggiunto i vertici mondiali al netto del ciclo economico: siamo tra i primi al mondo. Una misura finale come questa deve chiudere un ciclo, ovviamente, e soprattutto a patto di non sforare nessun saldo di spesa raggiunto.
E la progressività?
Non è un problema da poco: molti contribuenti hanno patrimoni che sono dispersi in diversi conti, si possono trovare soluzioni. Per quanto complessi, i problemi sono risolvibili. Va garantita la discrezione: ma sono le banche che possono, e devono ricostruire tutti i file.
E i soldi all’estero?
Puoi fare qualche concordato, o qualche sana- toria: ma 150 miliardi, per quanto siano una cifra impressionante, sono meno di quanto è fug- gito da altri paesi europei come la Germania. Tutto quello che recuperi da lì, magari un dieci per cento, ti aiuta.
Ma allora serve il convegno?
Oh sì. Invitiamo Amato, che la pensò per primo. Profumo che la vorrebbe più forte, Fassina, che era scettico, Baldassarri, uno di quelli che a de- stra ragiona sui numeri. E Samorì, che vuole evangelizzare il centrodestra. Uomini del Tesoro e della Banca d’Italia. Pensiamo, laicamente, se e come metterla a punto al meglio unendo tutte le intelligenze. Magari per scartarla, ma a quel punto consapevolmente.
E poi?
Poi deve essere il governo a decidere.
E lei?
(Sorride, ricorre al paradosso Io come vede ne sono convintissimo, prima per motivi di equità, poi di opportunità, se fatta nei tempi e nei modi giusti. Ma non so se, con questo parlamento, e se fossi al governo, la farei.
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