Luca Telese

Il sito web ufficiale del giornalista Luca Telese

Luca Telese
Luca telese

Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Pubblico-Italia

di LUCA TELESE

Oggi parliamo dell’Italia e anche di noi. Per una volta scriverò tanto, ma la materia, come potete intuire, è complessa. Partiamo da Pubblico. Non ce l’abbiamo fatta, abbiamo perso. E di più: io, in prima persona, come direttore, ho perso la sfida che avevamo insieme tentato promuovendo e lanciando questo quotidiano. Invocare attenuanti qui non ha senso. È un fatto, è la nostra notizia di oggi, anche se amara.

Proverò in questo articolo a fare una analisi delle tante cause che possono produrre un risultato, ma la responsabilità ultima è mia. In questo paese in cui nessuno perde mai, e tutti si dichiarano vinci- tori sempre e comunque, il senso della storia è semplice: siamo stati sconfitti. Volevamo fare un nuovo giornale libero, pluralista, che potesse essere finanziato con le sue sole vendite: non ci siamo riusciti. Per quante volte io possa riavvolgere la bobina dei ricordi degli ultimi tre mesi, l’almanacco delle cose belle e brutte che abbiamo fatto, non posso prescindere da queste due considerazioni di partenza.

Tre mesi sono cento giorni che volano, quando fai un quotidiano, come un treno in corsa. Ma sono anche il periodo sufficiente per un esame drastico: i numeri dei nostri conti ci dicono che abbiamo bruciato le nostre riserve economiche di partenza. Senza un nuovo finanziatore non possiamo andare avanti. Ho passato l’estate scorsa, in cinquantadue piazze in giro per l’Italia, con il sorriso di Francesca Fornario e i colleghi di questa redazione, a raccontare perché volevamo fare un nuovo quotidiano e a quali condizioni provavamo a farlo, senza avere editori o padroni alle spalle: era una impresa rischiosa come le altre.

Anzi, anche di più. Perché la merce che abbiamo provato a produrre, l’informazione, è la più rara, la più particolare e delicata che si possa mettere sul mercato. È un bene immateriale, ed è allo stesso tempo un bene comune: eppure si vende e si compra. Abbiamo provato a parlare a quell’Italia che avevamo incontrato lungo quel viaggio nella crisi e a raccontarla. Ci siamo appassionati a quella che avevamo definito «l’Italia del coraggio» cercando di inserirla nell’agenda dell’informazione. In alcuni casi ci siamo riusciti, in altri no. Ma ogni volta che accadeva – come nel caso degli «scongiunti» – era per noi una soddisfazione enorme.

Questo giornale anche domani potrebbe riaprire, riaccendendo i suoi motori, se si presentasse un finanziatore, così come si può manifestare, in una favola a lieto fine, un principe azzurro. Sarebbe bellissimo, e anche con un filo di speranza firmerò questo mio pezzo con la mia mail. Ma oggi Pubbli- co deve sospendere le sue pubblicazioni per via di una legge implacabile a cui ci siamo sottomessi impoverire il prodotto: eppure l’ultimo aggiornamento ci dice che avevano bisogno di 8.200 lettori. In questi giorni ne contiamo in media 4.200, di fatto la metà del necessario a sopravvivere.

Sappiamo che per le vendite dei quotidiani questo è il periodo peggiore dell’anno. Sappiamo che per tutto il paese questo è stato l’inverno della grande crisi. Sappiamo che il momento dell’editoria è drammatico, in tutto il mondo, che anche grandi corazzate editoriali perdono copie. Questi lettori sono per noi un grande patrimonio: sono un piccolo-grande popolo che ci ha seguito in questi mesi con affetto, persone che ci hanno voluto bene e sostenuto fino all’ultimo, persino comprando due copie, facendosi sentire e scrivendoci con molto affetto. Ma i conti sono presto fatti: mille copie a 1.50 euro producono circa 400mila euro di ricavi per il giornale. Quattromila copie di sbilancio, per i nostri conti, vogliono dire più di un milione e mezzo di euro di perdita in un anno, per sostenere l’impresa. Per noi è troppo. Le persone che hanno finanziato la nascita di questo giornale, nel ruolo di soci promotori (me compreso) questi soldi non li hanno. In questo anno di crisi, come per tutti, le vie di accesso al credito bancario sono rareffate per imprese che non possiedono beni da ipotecare. Noi non ne abbiamo. Il nostro principale capitale sono le nostre penne.

Io, in questo momento, sono addolorato come se una delle persone che ho più care stesse male: vivevo questo giornale come se fosse figlio di una lunga gavetta. Ho chiesto di partecipare alla sua fondazione colleghi incontrati nel corso di una vita. Abbiamo assunto cinque praticanti, che si sono rive- lati cinque talenti. Ci hanno regalato la loro esperienza quattro firme come Ritanna Armeni, Darwin Pastorin, Peppino Caldarola e Marco Revelli: senza chiedere nulla e dandoci tutto.

Questa redazione era il mondo che volevo provare a costruire con le regole del merito e del valore professionale, con il metro della qualità umana. Anche questo, adesso, può sembrare un peccato di vanità. Ma credo che nessuno che abbia frequentato le stanze di Pubblico lo possa discutere. Ci ho provato: ho messo insieme una bellissima comunità di persone che spero abbiate imparato a conoscere: ma non è bastato. Ho fatto degli errori, che adesso mi appaiono chiari, perché sempre il senno del poi illumina le cose, ma non ho rimpianti. Capisco benissimo la sofferenza altrettanto forte di molti amici che con me hanno costruito questo progetto met- tendoci la faccia, le idee e il loro cuore. Capisco anche la rabbia di altri, quando scrivono – come hanno fatto dei redattori, su queste pagine, ieri – un giornale che vende quattromila copie non dovrebbe chiudere. Noi, però, non eravamo un quotidiano come gli altri. La libertà assoluta di cui abbiamo goduto aveva come contropartita il rischio che ab- biamo dichiarato, e scelto, di correre: «Se a dicembre saremo vicini al nostro obiettivo – avevo detto presentando questo giornale – saremo in edicola. Se non ce la faremo rischiamo di andare a casa». Non lo volevo: ma è accaduto.

Per chi come me è stato in questo quotidiano sia giornalista che socio promotore questo rischio è stato doppio: ho perso il mio posto di lavoro e il mio capitale. Ho investito e perso centomila euro perché credevo ad un progetto. Nei primi numeri abbiamo raccontato, con Silvia Giralucci, alcune storie esemplari del nord est, come quelle degli imprenditori che, quando non riescono a far quadrare i conti delle loro imprese, si sentono sopraffatti da un sentimento di sconforto, a tratti persino di vergogna.

Questo sentimento, difficile da decrittare, per chi da lavoratore dipendente non lo mai ha vissuto, nasce da quel pensiero amarissimo che solo chi rischia conosce: hai fatto tutto per nulla e quando perdi niente ti rimane in mano. L’ironia della sorte è che dopo averne scritto per capirlo, io questo sentimento ora lo sto vivendo sulla mia pelle. Avevamo detto che avremmo provato a fare un quotidiano «dalla parte degli ultimi e dei primi» perché c’erano ragioni che andavano comprese, anche al di là delle vecchie gabbie interpretative ideologiche della politica italiana. Ecco, siamo andati oltre: anche la cultura della sinistra nel tempo della crisi deve prendere atto che ci sono imprese in cui, purtroppo, nulla può garantire rendite certe.

Così, da un certo momento in poi il nostro racconto della crisi italiana si è intrecciato su queste pagine con quello della crisi che stavamo vivendo noi. Vedo nei meandri di twitter e del commentificio del web che alcuni dicono: ma eravate così presuntuosi da entrare nel mercato in un momento così duro? Sì, lo siamo stati: se nei tempi di crisi nessuno provasse a fare la sua strada malgrado i tempi duri, da nessuna crisi sarebbe possibile uscire. Vedo che altri chiedono: ma come può una impresa chiudere in soli tre mesi? Se non ha protettori alle spalle che appianino il disavanzo e accumula perdite erodendo il suo capitale, non c’è altro modo per evitare il fallimento.

Anche questo paradosso è una risposta a quanti tre mesi fa ci dicevano: non crediamo a quello che raccontate, siamo sicuri che alle vostre spalle ci sia un padrone occulto o un partito. Bene, almeno questo lo hanno potuto verificare: non avevamo dietro di noi, né il primo e né il secondo. Altri ancora addirittura ci ricordano una cosa che oggi ci risuona all’orecchio in modo beffardo: ci sono molti altri giornali che vendono come o meno di voi, eppure restano aperti. È vero. Ma noi avevamo detto che avremmo fatto un quotidiano pubblico in tutto tranne che nei finanziamenti.

Se avessimo due milioni e mezzo di euro di contributi – cifre che per la stampa di partito sono congrue e non infrequenti – con la nostra tiratura saremmo in attivo e distribuiremmo dividendi. Ma noi quei fondi avevamo dichiarato di non volerli usare, siamo rimasti fedeli alle promesse di ingaggio. Il mercato italiano, come è noto, non ha le stesse regole per tutti. E chi rischia senza tutele, per esempio, sa che le fatture della carta – nel nostro caso circa 30mila euro al mese – si liquidano tutte in contanti, sennò non stampi. Quando si acquista un giornale senza finanziamenti bisognerebbe sapere che costa di più. Perché se si è disposti a pagare di più per un frutto biologico non si dovrebbe farlo per un giornale senza aiuti?

Ma devo rispondere ad un’altra domanda. Che prodotto ho provato ad offrire, io, come direttore? Quello – spero – che avevo dichiarato di voler fare. Un quotidiano di opinione forte, progressista, che non fosse vincolato ad una appartenenza ideologica o di partito. Non che questo non si possa fare con molta dignità, sia chiaro. Ma c’erano già altri che lo facevano, e meglio di noi. Ho selezionato una squadra giovane, piena di talenti: 19 persone più i collaboratori, tante teste brillanti con idee diverse. Per qualcuno sarà stato un handicap, spero che voi abbiate apprezzato questa voluta distonia.

Ho teorizzato che potesse esistere un giornale che provasse ad unire una comunità intorno ai valori della sinistra, ma al di sopra dei suoi steccati. C’erano in questa redazione tutte le teste e tutte le appartenenze. Ho provato a mettere in patria uno spazio che in redazione avevamo definito il Minority report. Dalle primarie in poi in questo giornale apparivano anche idee diverse da quelle del direttore. Se avessimo vinto sarebbe stata di certo una ricchezza. Oggi, anche tra noi, qualcuno lo considera un eclettismo imperdonabile. Ho pensato un giornale graficamente diverso dagli altri.

Abbiamo chiesto ad un grande studio grafico, quello di Alberto Valeri, di immaginare un quotidiano in cui le immagini parlassero come gli articoli. Abbiamo voluto rendere un omaggio esplicito a un grande quotidiano francese, Liberation. Abbiamo fatto tante copertine che – diversamente da molti altri giornali italiani – erano dominate anche da una sola immagine. Abbiamo assunto – quasi un ardire per una piccola testata – un art director come Manolo Fucecchi: del suo genio visionario avete avuto prova ogni giorno su queste pagine. Racconto qualcosa su di lui perché è stato un punto di sintesi.

C’erano giorni in cui i redattori che scrivevano gli articoli, o le interviste, facevano a gara per prenotare una sua illustrazione. Manolo non diceva mai di no a nessuno, e mi dovevo arrabbiare. Lui disegnava e disegnava con il suo sorriso serafico, ma al momento della chiusura qualcuno restava privo di quella che chiamavamo la «fuceccata». E ci restava male. Un giorno accade questo: tutti sono nella stanzetta di Manolo, dietro di lui, per la consueta questua grafica. Lui ha le cuffie tre in testa, sembra che stia ascoltando musica celestia- le, disegna e sorride beato. Per lunghi minuti nessuno lo vuole interrompere.

Tommaso Labate mi fa: «Starà ascoltando i Pink Floyd». Solleviamo le cuffiette e restiamo allibiti. Manolo che è anche un cronista politico attento ai dettagli fa: «E’ il discorso di Casini all’assemblea dell’Udc, perché quelle facce?». Scoppiamo tutti a ridere. Uno dei nostri grafici, Emiliano Carli, è un genio obliquo: disegnava vignette meravigliose, ma non me le faceva vedere mai. Per poterle pubblicare dovevo andarle a sbirciare nella sua pagina di Facebook. Gli chiedevo: «Emiliano perché?». E lui: «Ahò, sò fatto così: nun me metto in mostra».

Stella Prudente che ha cucinato delle pagine di esteri impeccabili un giorno chiedeva: «Ma a chi lo faccio fare il corsivo su Gaza?». Mi raccontò di quando aveva scoperto da inviata che nella striscia i bambini non dormivano mai: il corsivo alla fine lo ha scritto lei, in prima, ed è stato uno dei più belli. Avevamo in squadra persino un cantautore, nonché socio, come Luca Bussoletti: è stato uno dei più rigorosi e produttivi, alla faccia dei cliché sugli artisti. Con Marco Berlinguer, che per me è un fratello, abbiamo litigato urlando per finire in tempo una intervista a Stefano Rodotà a quattro mani. Il giorno dopo mi ha detto come se nulla fosse: «E’ venuta bene, però». Un’altra sera, per un litigio su un posto al tavolone tra due redattori, iniziato alle dieci del mattino, abbiamo fatto così tardi che non siamo arrivati in Calabria.

Negli indimenticabili giorni in cui abbiamo chiuso il giornale felici, tutti convinti di fare un grande prodotto, la nostra sede di Lungotevere dei Mellini era un posto da cui nessuno se ne voleva andare. Labate ha un carattere di merda, voglio dirlo: ma è un cane da tartufo, uno dei più grandi cronisti politici della sua generazione. E’ simpatico e spaccone come un personaggio archilocheo, quando prende d’aceto mi dice: «Lù, attento, io sono calabrese!». Gabriella Greison non riferiva delle sue interviste: le reinterpretava come se fosse in una compagnia di melodramma, e una volta «recitando» l’imprenditore Cucinelli si è commossa.

Paolo Valentini ha un respiro americano come le sue letture: per una equazione misteriosa le facce limpide producono scritture eleganti e cristalline. Francesca Schianchi è un carisma misterioso e dolce: una ragazza che tutti in redazione amano. Andavamo a mangiare su un barcone sul Tevere, dagli amici del circolo dei nuotatori (il più proletario) in un luogo dove scendendo gli argini i rumori della Capitale si quietavano. C’era tra di noi questo grande fuoco di passione che i giornali riescono ad accendere, nei loro momenti fondativi: il piacere di partecipare allo spettacolo della vita – come direbbe Walt Whitman – e di poter contribuire con un verso. Funzionava la macchina delle tante diversità, ed era bello pagare i prezzi che questo comportava.

Ricordo una domenica pomeriggio, una discussione quasi drammatica, tra di noi, nella sparuta pattuglia di chi era di turno, intorno ad una copertina sul diritto delle donne alla procreazione. E alla diagnosi pre-impianto gratuita negata dalla legge 40. Uno dei nostri redattori, Francesco Curridori chiese il suo Minority report per parlare della propria storia. Per dire a Mariagrazia Gerina e a Stefania Podda (che avevano firmato quella copertina) che lui quando pensava alle diagnosi pre-impianto, vista la sua storia di invalidità e i suoi malanni, temeva di diventare un «non nato». Non ero d’accordo con lui su quel presunto rischio eugenetico: ma il giorno dopo ho impaginato quell’articolo biografico trattenendo le lacrime. Perché le verità sono sempre cosí quando le racconti tutte, attraversano le nostre vite senza risparmiarci. E anche perché il buonismo non esiste mai.

Stefania, cardine dell’ufficio centrale al fianco di Fabio (Luppino), è una di quelle giornaliste che preferisce far scrivere gli altri piuttosto che scrivere lei. E per fortuna che esistono questi temperamenti, perché fra di noi ci sono persone che se potessero scriverebbero un giornale intero da soli. Una mattina, leggendo la copia del giorno, si scoprì che Boris Sollazzo era riuscito a pubblicare quattro articoli diversi per altrettanti servizi. La sua risposta era disarmante: «Ma erano tutti belli, no?». Roberto Brunelli, capo della cultura, avrebbe scritto ogni numero dei Beatles e di Springsteen, perché ognuno di noi ha i suoi demoni, lui è un cultore, e io per questo lo ho amato. È un giornale pieno di difetti e di passioni. Ma non si può fare un giornale senza un esperto dei Beatles.

In questi cento numeri sono in qualche modo andate inventariate anche le nostre vite, anche il campione umano che rappresentavamo, tutte le biodiversità che incarnavamo. Il giorno del voto sulle primarie avevo ipotizzato che tutti i redattori raccontassero che cosa votavano: «Troppo narcisistico», mi avevano risposto. Così non lo abbiamo fatto. Ma sarebbe stata una bella mappatura delle diverse anime che vivevano in questo giornale. Il sabato arrivavano in redazione «quelli di Orwell», lo straordinario supplemento culturale che ha accompagnato il giorno in cui vendevamo di più. La domenica mattina usciva «Pupù», e il pomeriggio di questo giorno festivo discutevamo le copertina di «Yanez», con Roberto Corradi, che tutti in questa redazione considerano un portento, visto che chiudeva otto pagine tutte da solo. Nella stanza dei grafici si erano creati il loro spazio anche gli sportivi di «Socrates», guidati dalle lenti corrucciate e pensose di Giancarlo Padovan, uno che ha sviluppato una pericolosa dipendenza dal calcio e da Sky. Lo lasciavamo che guardava partite del campionato scozzese a notte fonda, e lui la sera spegneva le luci e i computer di tutti: che bella coppia, lui e Matteo Patrono, il serafico e l’adrenalinico. In mezzo, come un adepto, silenzioso, Federico Paniccia: il pivello che nei film americani diventa immancabilmente eroe. Ricordo la bellissima discussione su Socrates, per omaggiare insieme un grande campione e la «filosofia dello sport».

Cosa abbiamo raccontato di importante in questo viaggio? Un passaggio importantissimo della storia italiana, un punto di svolta. Il ventennio breve del berlusconismo e la stagione effimera dei tecnici che si sono chiuse insieme. Adesso si arriva ad una partita finale in cui la sinistra combatterà contro due destre e contro un polo populista che si è organizzato intorno a Beppe Grillo. Conterà poco, ma alcune cose importanti che sono accadute in questi mesi, questo giornale le aveva capite prima. Ad esempio che la logica del carisma dentro il movimento Cinquestelle avrebbe prodotto l’espulsione dei ragazzi entusiasti che lo avevano fondato. Io – e qui parlo di me – ho iniziato questo viaggio a Bagnacavallo, in un appassionante dibattito in cui un militate del Pd contestava la mia dichiarazione di intenti al grido di: «Vorrete mica criticare Bersani?». Ebbene, su questo giornale, poi, ho criticato Bersani, e ho anche detto che lo avrei votato al ballottaggio, dopo aver votato Vendola al primo turno. Non credo che sia una contraddizione: credo che sia un modo laico di guidare le cose.

Ho iniziato questo articolo dicendo che ho perso. Ho perso perché ho deciso io il vestito che volevamo confezionare, le risorse che credevo necessarie, l’obiettivo di un giornale ambizioso, di 24 pagine. Sognavo un quotidiano «complementare», che arricchisse chi lo leggeva dandogli elementi che nel turbine del web e altrove non trovava. Adesso sembra che lo abbiamo fatto male: sia troppo che troppo poco diverso. Eppure ho chiamato io a lavorarci le persone di questa redazione: non ho costretto nessuno, né gli ho nasco- sto i rischi, ma porto questa responsabilità. In qua- lunque modo si giudichi, Pubblico è stato un quotidiano diverso. Le sconfitte non passano indifferenti, le sconfitte ti illuminano di una luce fredda che mette i brividi. Mi resta in testa un verso di Pietro Ingrao su cui da vent’anni mi lambicco: «L’indicibile dei vinti / il dubbio dei vincitori». Oggi parla anche di me.

luca@lucatelese.it


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172 risposte a “Pubblico-Italia”

  1. Avatar Aldo
    Aldo

    Ridacci a noi il nostro primo quotidiano

  2. Avatar evamara
    evamara

    dopo l’elegia che si è fatto, significa che non si è neanche reso conto degli errori!

  3. Avatar Er gotha
    Er gotha

    Li abbiamo sgrassati

  4. Avatar Aldo
    Aldo

    Ma non erano vegetariani i Grillini?

  5. Avatar Nanni
    Nanni

    Habemussari pappa e ciccia

  6. Avatar Francesca I
    Francesca I

    Vorrei una chiesa perversa

  7. Avatar Roberto go more!
    Roberto go more!

    Li abbiamo infettati

  8. Avatar Laura
    Laura

    L’AIDS si può debellare tutti insieme

  9. Avatar Mussary non deve morire
    Mussary non deve morire

    L’Italia di Laura contro l’Italia di ruby..igrillini del CAZZO ora decidete!!!!!

  10. Avatar Mussary non deve morire
    Mussary non deve morire

    Io mi faccio in quattro per il partito..e poi bersany deve cedere ai ricatti di grillo? Col CAZZO

  11. Avatar Francois
    Francois

    Volevu pate avec mussari?

  12. Avatar pagano salvatore
    pagano salvatore

    Da molto tempo seguo la trasmissione da te condotta,direi dagli inizi.Misono sempre chiesto quale sia stato il vero motivo che ha diviso la coppia Costamagna-Telese ma una cosa è certa,se un programma che non fa ascolti lochiudono e suppongo che per mandare in onda il programma ce ne fossero.Ho letto alcune cose sui motivi che hanno causato la vostra separazione ma il punto è che era una buona trasmissione e tu mi sei piaciuto(sono etero)da quella volta che ti vidi in un programma sui bambini, credo,in cuiveramente eri tu.Ho visto le tue lacrime e ti ho creduto.Ho creduto in tecome uomo perciò mi trovo a scriverti.Per la simpatiache provo per te.
    E’ ovvio che ancora seguo il tuo programma ma sono perplesso e me lo devi concedere.
    Come cazzo hai fatto ad affiancarti a quell’idiota di Porro.Ho pensato che i motivi siano di marketing,ma ti giuro non ho più visto la trasmissione con gli stessi occhi.Conosco Porro attraverso le sue uscite e unpo la sua storia di giornalista.Avrà pure i suoi lati positivi ma non ritengo quelo del giornalista sia il suo lavoro.tra l’altromi trovo dall’altra parte,sono iscritto al m5s.Ciao e auguri.

  13. Avatar pagano salvatore
    pagano salvatore

    Stasera poi con Ferrara vi siete superati.Non fosse pe rla Berlinguer che ha tenuto alto lo share,stasera eravate davvero ……..Mi dispiace perchè ti ritengo un professionista.

  14. Avatar Roberto go more
    Roberto go more

    I Grillini sono spiacciati

  15. Avatar Aldo
    Aldo

    Cerco trans depravato con pircing sotto la lingua che me lo possa succhiare sulla corriera della sera..basta donne non me lo fanno drizzare più come una volta nelle mie mitiche scopate al primo approccio

  16. Avatar Pippotto
    Pippotto

    I Grillini non possono far saltare in aria il paese..non sono capaci..

  17. Avatar Pippotto
    Pippotto

    Fiorello si è dato alla cocaina? L’ho inventai io

  18. Avatar Kristina dei parioli
    Kristina dei parioli

    L’Italia e piena di pezzenti inpresentabili

  19. Avatar Michela
    Michela

    Volevo essere una farfalla..ma mi accontento anche di fare il passerotto spennato

  20. Avatar Michele
    Michele

    Habemus cairo e abele

  21. Avatar Pietro
    Pietro

    Il nostro signore ci ha messo alla prova..

  22. Avatar Er gotha
    Er gotha

    Una birra al giorno toglie i moderati di torno

  23. Avatar Robert000
    Robert000

    Good morfin

  24. Avatar Robert000
    Robert000

    L’Italia ha bisogno di una forte iniezione di cervelli

  25. Avatar Debora
    Debora

    La birra fa fare tante belle scorregginè?

  26. Avatar Figurante
    Figurante

    Mi manda silvio

  27. Avatar Milena
    Milena

    Mi manda Rai tre

  28. Avatar Debora
    Debora

    Scorreggio ergo sum

  29. Avatar Roberto000
    Roberto000

    Non ci fermeranno nemmeno coi prelievi forzosi

  30. Avatar Trolls
    Trolls

    Con questi Grillini non vinceremo mai

  31. Avatar Beppe
    Beppe

    La sette e una tv in decomposizione..si azzuffano per losso.dove .c’è rimasto solo un filo di grasso…

  32. Avatar Beppe
    Beppe

    L’ora legale deve fare i conti con me

  33. Avatar Tenna Piero

    In un periodo così strano e difficile, Luca, i progetti – a meno che non siano di impatto sociale determinante a ristabilire sicurezza – sono destinati a fallire miseramente…! E non certo per incapacità individuale, soltanto perché la gente non ha né voglia né tempo per interessarsi di amenità giornalistiche, quando lo stomaco reclama dolorosamente cibi di prima necessità, che sazino la pancia prima della mente.
    P.S.
    Per quietare animi indisciplinati, faccio presente loro che la sette è stata acquistata da Cairo, un fedelissimo di Berlusconi… pertanto, un po’ di immaginazione, suvvia! Uno più uno, da noi, fa ancora due… o no?

  34. Avatar Clesippo G.
    Clesippo G.

    berlusconi ha messo le mani anche su La7? Amen per questa italietta decadente e malata che muoia presto venga sepolta e dimenticata, becera ed ignorante nazione abitata da giornalisti altrettanto ignoranti.

  35. Avatar krikk
    krikk

    articolo prolisso, per dire cosa? NULLA!
    Più chè una disamina sembrano elucubrazioni!
    Mi dispiace per Luca, andava benissimo con quelle trasmissioni prima di infilarsi nel tunnel dell’autocelebrazione giornalistica, andava benissimo insiema a quella (permettetemi) bella gnocca di Luisella, poi finito negli inferi con porro lo gnorro!
    Adesso che La7 è finita sotto uno pseudocontrollo di S.B. che fine farà il prode Luca?

  36. Avatar RED
    RED

    concordo con KRIKK, erano una bella coppia giornalistica in una bella trasmissione tv senza trucchi ed effetti speciali, un programma tra l’intrattenimento e l’informazione, meglio della Gruber, peccato averli persi, forse davano fastidio a qualcuno?

  37. Avatar leardo
    leardo

    dove sei Luisella Costamagna bella fanciulla, ti adoro ti voglio, dove sei torna in video con quei vestiti sexy e scarpe fetish, sei uno schianto!!!!!!

  38. Avatar Tenna Piero

    A Leandro.

    “De gustibus…” dicono, ma, a parer mio, il tuo senso di sensualità è piuttosto limitato se circoscritto alla figura della Luisella Costamagna che, pur essendo una bella donna, non è comprensiva di quella simpatia che completa e risalta, al massimo, il fascino d’una vera femmina.

  39. Avatar Biagiopiano
    Biagiopiano

    Come poteva funzionare, se altrove ha funzionato come nella mia provincia di Lecce? Non ho mai trovato un numero di “Pubblico” in edicola!
    Dal capoluogo in poi. Ho dovuto abbonarmi alla versione “on line”,
    Ma non e’ bastato .Peccato…

  40. Avatar leardo
    leardo

    @ Tenna Piero, il sesso prescinde dalla simpatia Luisella è bona ugualmente in tutte le salse, 45 anni e ben portati, per lei farei anche una pazzia perchè rappresenta la più bella tra le milf del circo mediatico.
    Secondo me Luca T. se ne era invaghito.

  41. Avatar Tenna Piero

    A Leardo.
    Se ti va bene ” basta che respiri…” allora ne convengo con te: anche se antipatica serve esclusivamente allo scopo. Se però al sesso vuoi dare quel certo non so che, abile a completare un rapporto paradisiaco, se non concorre la simpatia al sesso, il piacere si dimezza.
    Riguardo l’invaghimento di Luca per la bella Luisella, non saprei esprimermi con competenza, anche se penso che — la bella e la bestia — è una favola che non potrà mai diventare realtà!

  42. Avatar leardo
    leardo

    @ Tenna Piero, alla maggioranza delle donne piace esser prese con energia e virilità, non lo ammettono ma adorano essere strapazzate sessualmente senza troppi preliminari.
    Luisella dovrebbe appartenere a questa categoria, te lo dico per esperienza, magari alla prima non rimangono soddisfatte ma poi ti vengono a cercare……

  43. Avatar MI
    MI

    ehiii Leardo allora il Trota per anni seduto in consiglio regionale affianco alla Minetti non è riuscito nemmeno a toccargli una tetta è un ciuco?

  44. Avatar Kutter
    Kutter

    se Telese avesse creato l’ennesimo mensile gossipparo avrebbe fatto un successone, invece s’è inventato l’ennesima copia di quotidiano pseudopolitico di cui la gente ne ha piene le palpebre.

  45. Avatar Tenna Piero

    A Leardo.
    Che alcune donne — e non la maggior parte, come dici tu — amino essere strapazzate, non lo metto in dubbio… Invece sono molto dubbioso sul fatto che non amino i preliminari. Di una cosa invece sono certo. Una donna ” femmina “, quando pranza, ama iniziare dall’antipasto e poi di tutti i piatti che ne seguono, sino alla frutta e al dessert, caffè, spingi caffè e digestivo finale… Così si comporta anche quando fa sesso. Purtroppo per loro però, sovente, incontrano uomini — si fa per dire, uomini — a cui piace comportarsi sessualmente come i conigli: toccata e fuga…!

  46. Avatar Clesippo Geganio
    Clesippo Geganio

    Con la rielezione di Napolitano Presidente ha vinto Berlusconi, grazie a quella sinistra di sinistrati intellettuali del PD che hanno rilanciato bunga bunga alla vittoria delle prossime elezioni politiche.

  47. Avatar Tenna Piero

    La rielezione di Napolitano è stata una specie di cesello politico dell’orafo Berlusconi, per attenuare le mire populiste di Grillo, eliminare l’insulso SMACCHIATORE senza acido muriatico e frazionare una specie di pseudo partito, anticamente nato sulle macerie storiche PC. DC. PSI. Ora, la mano torna ai giudici politicizzati… coloro che rimandano un processo per furto di una mela, per anni, visto che è più urgente condannare uno che – colpevole o innocente che sia — non farà mai un solo minuto di carcere…! Che astuzia.. questi giudici.! ( Qualcuno diceva: <> )

  48. Avatar Tenna Piero

    ( La giustizia, non è neppure una prerogativa divina… figuriamoci se può essere dell’uomo…!)

  49. Avatar Clesippo Geganio
    Clesippo Geganio

    all’estero quando un politico è indagato dalla Giustizia si dimette e sparisce dalle scene, in Italia invece il “politico” rimane e sparisce il reato qualche volta anche il Magistrato!

  50. Avatar Kutter
    Kutter

    ho stracciato la tessera del PD, hanno distrutto 90 anni di storia della Sinistra, alle prossime elezioni voterò M5S.

    Incredibile e paradossale cosa non sia successo nel PD, Bersani ha frantumato il partito ed il partito coeso ha votato Napolitano facendo resuscitare Berlusconi consegnandoli in regalo il Paese.

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