di LUCA TELESE
Solo pochi giorni fa, nel Transatlantico di Montecitorio, Guglielmo Epifani spiegava: "Io non voglio fare il traghettatore, o il leader dimezzato. Io corro per fare il segretario fino in fondo, e ad ottobre mi candido a vincere il congresso". Ad ascoltarlo c'erano Stefano Fassina e un deputato di Sel che viene dalla Fiom come Giorgio Airaudo, entrambi suoi buoni amici, entrambi stupiti per il tono esplicito e la grinta che l'ex leader della Cgil metteva in campo. Se ieri Epifani è diventato il numero uno del Pd è perché ha vinto questa prima battaglia: "Sarai un segretario senza aggettivi", gli ha detto dal palco Enrico Letta. Ovvero: non "un traghettatore", non "un condottiero a termine".
Così Guglielmo, l'uomo che nei corridoi della sede della sede nazionale della CGIL nei primi anni ottanta divenne per tutti "l'Harrison Ford di Corso Italia", per la sua somiglianza evidente con l'attore americano (che proprio in quel periodo arrivava al successo con "Blade Rubner") ha contrattato e ottenuto, da buon sindacalista, quel mandato pieno che all'inzio nel Pd nessuno gli voleva dare, perché tutti i capi corrente volevano una guida debole. "Con Letta e Franceschini al governo – ha ripetuto ai suoi interlocutori fidati in queste ore – la copertura a sinistra la garantisco io". Ma al presidente del consiglio ha garantito: "Ci servono un Pd forte e un governo forte, non un Governo debole e un Pd a pezzi". L'ultimo corollario di questa investitura è in quel congresso che il partito celebrerà ad ottobre, eleggendo il suo leader insieme a quello della Cgil. Un altro punto di forza per Epifani che, se si gioca le sue carte in in ticket parallelo con Susanna Camusso, ha la riconferma assicurata, grazie a una potentissima sinergia di apparato.
Epifani ha nel suo cognome la radice dell'Epifania, cioè della rivelazione. ed è un sindacalista che arriva tardi alla politica, dimostrando peró di saper giocare bene sui tempi, come quei vini che maturano con il tempo. Ieri l'Espresso pubblicava una sua foto da ragazzo in treno, in viaggio con i compagni barbuti e assai fricchettoni della Fgsi, la federazione giovanile socialista in cui è cresciuto. Il suo personale Sessantotto, diviso tra il realismo del carattere e la radicalità delle speranze di un'epoca me lo raccontò con un aneddoto gustossisimo, in cui spiegava di aver perso (con rammarico) il treno della contestazione mancando uno storico concerto: «Incontrai sull’autostrada un nugolo di motoclisti con i sacchi a pelo. Chiesi dove erano diretti. Mi risposero: “All’isola di White”. Io, purtroppo, andavo nella direzione opposta».
Il padre Giuseppe era un funzionario di un istituto di previdenza: cattolico e democristianissimo, aveva fatto l’organista dai frati francescani. La formazione del giovane Epifani, raccontava lui stesso risente di «questa spiritualità umbra, più che dell'ideologia della contestazione». Nasce nel 1950, infanzia a Milano, a 16 anni è a Roma, frequenta il liceo classico Orazio: Ma il pomeriggio fa volontariato in una associazione cattolica alla Bufalotta, con i ragazzi poveri del doposcuola. I genitori lo vorrebbero a medicina, lui invece sceglie filosofia. Si laurea in storia contemporanea ("Con una tesi su Anna Kuliscioff, socialista libertaria"). Negli anni della contestazione e della rivoluzione sessuale si sposa subito con Giusy (conosciuta al ginnasio!). Da ricercatore pubblica un saggio importante sulle lettere di Amendola al Re, dopo l’Aventino (ancora oggi citato nelle bibliografie storiche). Fra il ’73 e il ’77 lavora all’università, vince il concorso da ricercatore. Alla Fgsi, frequenta la sede romana, con un gruppo di ragazzi di sicuro avvenire che rispondono ai nomi di Boselli, Villetti e un giovanissimo di sicuro avvenire che si chiama Enrico Mentana).Poi sceglie il sindacato. Ufficio studi prima, federazione dell’informazione poi (la fonda lui stesso, e dirige, per 12 anni). Un modo in cui conosce D’Amato (padre), Confalonieri, Callieri. L’unica scapigliatura che si concede sugli anni ’70, sono i Rolling Stones, preferiti ai Beatles: «fidarevi di me – sorride quando si cimenta con questa sua passione – Lady Jane è una delle più belle canzoni rock mai scritte». Ama tutta la musica, la lirica come il suo predecessore alla guida della Cgil Sergio Cofferati (opera prediletta, Turandot), ma anche il jazz (Keith Jarrett) e quelli che chiama «i grandi classici» ("Cioé i Pink Floyd").
Nel 1984, ai tempi del referendum sulla cassa integrazione, si era ovviamente schierato con Craxi contro Berlinguer. ma quando dieci anni dopo la sinistra della CGIL gli rimproverava di essere stato vicino a «Ghino di Tacco» lui, splendidamente diplomatico (è la sua dote principale) svicolava da fuoriclasse: «Io ero per la segreteria di Antonio Giolitti, in quel gruppo di intellettuali vicini a
Mondoperaio che sostenne la sua candidatura e fu sconfitto». Ma se l’ultima battaglia del vecchio Giolitti contro il craxismo era del 1979, che cosa aveva fatto nei rimanenti 23 anni? Interrogato da Fabio Martini, su La Stampa, un ex socialista come Giuliano Cazzola, ha ricordato che durante l’epoca d’oro di Bettino, «Epifani faceva moderata fronda, in sintonia con chi nel Psi (ovvero i craxiani, ndr) voleva che la rottura nella Cgil si acuisse». Il resto è una vita parallela con Cofferati: anagrafe, scelte politiche, ingressi in segreteria, tutto in tandem. Agli iscritti della componente postcomunista fa sapere del bel ritratto di Giuseppe Di Vittorio dipinto da Carlo Levi che teneva appeso nel suo ufficio: non quello «ufficiale» con la giacca e il vestito buono che vollero gli ortodossi del sindacato, ma quello descamisado e lieto che fece gridare alla dissacrazione. Ai cattolici margheritisti che il padre era un «riformista fanfaniano». Agli anticomunisti ricorda che la sua prima iniziativa politica, da ragazzo, a scuola «fu la commemorazione di Jan Palach», il martire del Sessantotto antisovietico a Praga. Ai riformisti appassionati, al sanguinoso derby delle socialdemocrazie europee diceva, con mirabile equilibrio cerchiobottista: «Il cuore è con Jospin, ma stimo anche Blair». Dopo le dimissioni dal sindacato Epifani è stato il decisivo king maker, socialista come lei. Insomma, , Guglielmo il conquistatore ha costruendo la sua immagine con la stessa passione per il mosaico policromo e per le sfumature. In questo Pd dilaniato dalla guerra per bande questa doti ieri lo hanno reso indispensabile: se gli riesce il traghettamento, come lo immagina lui, sarà da Epifani a Epifani.
(da L'Unione Sarda)
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