Questa mattina Giovanni Favia twittava, perfido: «Se gli siete vicino vi prego, abbracciate Beppe: ne ha bisogno». L’ironia dell’ex militante-simbolo a Cinque stelle accende l’interrogativo sul grande sconfitto di queste elezioni: cosa farà Beppe Grillo adesso, e perché ha perso? Come l’Atletico Madrid di Simeone, in testa fino al 92esimo per poi essere sconfitto sonoramente — quattro a uno — il Movimento Cinque stelle viene battuto in finale, e tiene il campo male, con i suoi dirigenti che la sera del voto non ci mettono la faccia, e cancellano il giorno dopo gli appuntamenti già presi.
La prima domanda per il M5s riguarda il futuro, dopo la famosa promessa elettorale di Beppe: «Se non arrivo primo me ne vado». Ma gli interrogativi riguardano anche la strategia di domani: quando dici #vinciamonoi per un mese e poi finisci indietro di venti punti, che cosa ti resta da fare dopo?
Bisogna riflettere su quanti elementi positivi giocavano a favore di Grillo in queste elezioni:
1) La ferita dei centouno franchi tiratori che avevano abbattuto Prodi;
2) Il letticidio;
3) L’inchiesta sull’Expo;
4) L’arresto di Fracantonio Genovese;
5) Il voto europeo più protestatario degli ultimi dieci anni.
C’era, insomma, una congiunzione astrale senza precedenti, ma invece di capitalizzarla come un tesoro, Grillo l’ha subita come un handicap. La vittoria sbandierata come certa per mesi ha prodotto un effetto-paura sugli elettori della sinistra, ha polarizzato la scena , ma a sfavore del M5s.
Il timore anti-Grillo ha oscurato le ragioni pro-Grillo, anche quelle più propagandistiche. L’eclettismo per cui un giorno sei “Oltre Hitler” e un altro gridi «Berlinguer! Berlinguer!» Ha cementato i fedelissimi ma ha allontanato i moderati. L’ultimo tassello lo ha fornito l’affluenza più bassa nel sud e nelle isole che ha aumentato il peso specifico degli elettori renziani delle regioni rosse.
Adesso la domanda è: un movimento che fino ad oggi era sempre cresciuto, come può affrontare una sconfitta strategica? Come può riposizionarsi e ritrovare uno slancio? La strategia della rincorsa paga finché la meta continua ad avvicinarsi, ma mostra la corda se vieni costretto a una guerra di posizione. Nel derby tra rabbia e speranza, gli italiani (questa volta) hanno dimostrato di volersi illudere, di voler credere alla ripresa, agli 80 euro, alla stabilità di governo.
Hanno dato l’unico voto governativo dopo la Germania, hanno regalato l’unico successo rilevante del Pse. La rabbia contro l’Europa del rigore ha trovato una risposta di destra in Francia, una di sinistra in Grecia, una risposta qualunquista in Gran Bretagna. Ma in Italia, dove aveva la sua incarnazione più forte nel M5s, ha perso consensi rispetto alle elezioni politiche.
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