Il califfato, il Ramadan e il pallone, che miscela dirompente sul palcoscenico della storia, che grande paradosso di conflitto tra la laicità e il dogma. Mentre nasce un nuovo Stato islamico nel cuore dell’Europa – infatti – ancora una volta è il calcio, (e in particolare il Mondiale), a offrirci uno straordinario spunto di cronaca e di dibattito su temi profondissimi e complessi come la libertà, il culto, la dottrina.
Prendete la vicenda della doppia sfida, Francia-Nigeria e Germania-Algeria, partite che si annunciano quasi epiche per tutte le implicazioni simboliche di cui si stanno caricando, a metà strada tra sport, costume e religione. Intanto sono due partite di un Davide contro un Golia, due grandi superpotenze calcistiche contro due squadre per la prima volta agli ottavi di finale. Poi sono due sfide post coloniali, poi sono ovviamente sfide tra Europa e Africa, e poi sono eliminazioni che potrebbero persino portare – se passassero Algeria e Francia – ad un clamoroso derby tra due Paesi che sono stati separati da una guerra, dopo essere stati legati dal cordone ombelicale di una identità comune. Metteteci dentro anche l’ineffabile Marine Le Pen che ha già criticato i “blues”, da sempre nazionale atipica, multietnica e contaminata, e che adesso attacca anche gli algerini che mantengono il doppio passaporto, divisi e affratellati in questo strano circuito di amore e odio tra Parigi e Algeri.
E ora provate a immaginare questo dilemma del Ramadan, che in misura diversa tocca entrambe le nazionali come un gioco di ruolo: la federazione algerina – per esempio – ha dovuto smentire la voce secondo cui il Ct Halihodzic avrebbe chiesto ai suoi superiori di non far digiunare i suoi giocatori. Ecco che, nel giorno dell’avvento del Califfato dell’Iraq, questa notizia potrebbe persino colorarsi di dramma, o diventare il motivo di qualche crisi ipoglicemica. Esistono infatti solo tre motivi per cui dal punto di vista dell’osservanza del precetto si può essere dispensati dal Ramadan: per motivi di salute (e non è certo il caso), perché impegnati in una jihad (e per fortuna non è questo il caso), e nemmeno per motivi di studio (e purtroppo non è nemmeno questo il caso).
Nulla, dunque, da un punto di vista del precetto islamico può dispensare i giocatori dell’Algeria (e i musulmani di Francia, Germania o Nigeria) dal digiuno. Se fosse un gioco di ruolo, dunque, i giocatori della nazionale algerina si trovano in questo dilemma: se osservano il precetto, lo dichiarano e vincono, diventano eroi della fede. Se non osservano il precetto, lo dicono e vincono diventano degli eroi della laicità.
Ma il gioco oggi si è fatto ancora più complesso, e dunque interessante: se i giocatori non dichiareranno di aver digiunato o meno, come sembra, prima della gara, cosa accadrà se lo faranno dopo? Saranno perdonati per la trasgressione perché vincitori? Saranno processati se perdenti? Le cose si complicano ulteriormente se si guarda alla rosa: sui 23 convocati algerini tutti parlano francese, solo sei l’arabo, ma tutti sono devoti all’Islam. Tutti hanno i germi di una doppia identità dentro di loro. Mi piacerebbe che l’Algeria potesse vincere o perdere senza che questo digiuno debba diventare il pretesto per una piccola guerra di religione, ma il primo passo di un viaggio di emancipazione dal dogma.
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