Un intrico di corpi sfigurati, una matassa di cadaveri violata dai primi germi della decomposizione. Chi l’ha scattata, quella foto, ha detto: nemmeno la violenza di questa immagine può raccontare l’odore di morte che ci ha investito mentre ci avvicinavamo a quella stiva. Un groviglio umano inestricabile stipato dentro una stiva come nel fotogramma fantascientifico di un qualche sanguinolento B-movie, o come nella rappresentazione trasfigurata di una qualche visione apocalittica. La prova visiva di un piccolo massacro, ripugnante e terribile, che evoca un unico precedente nel nostro immaginario, il paragone con l’iconografia spettrale dei campi di morte di Auschwitz.
C’è una foto-simbolo della tragedia che stiamo vivendo, che purtroppo ho visto pubblicata su un solo quotidiano. Non so se – come si dice – lo scoop de Il Tempo di Gianmarco Chiocci sia stato prodotto (anche) dal fatto che altri quotidiani (pur avendola ricevuta) abbiano preferito non pubblicare l’immagine, per via della sua crudezza. Questo retroscena non farebbe che aumentare il valore consapevole di quella pubblicazione, così come il mistero sul fatto che nessuno abbia ripubblicato oggi quella foto: siamo così antiquati nell’informazione italiana, che si cita uno scoop giornalistico, ma non si riprende mai uno scoop iconografico.
Non capisco nemmeno, soprattutto in questi tempi così confusi e feroci, la tesi di chi dice: proteggiamo i nostri lettori/spettatori da un’immagine raccapricciante, proteggiamoci da quell’orrore, contemplare quei cadaveri è una mancanza di rispetto, è voyeurismo gratuito e para-pornografico. Penso esattamente l’opposto: pornografico è proteggerci da questa realtà, rimuovere l’idea che ci sia un massacro in corso nel Mediterraneo, inalberare il pretesto del pudore per attenuare la violenza della domanda che quelle immagini ci impongono.
“Non chiudere gli occhi”, ammonisce il direttore de Il Tempo, Gianmarco Chiocci, che di certo ha in mente ricette opposte alle mie, su come affrontare questo esodo biblico. Però il vincolarsi al principio di realtà, e l’idea che questa foto sia un messaggio che ci arriva per obbligarci a non ignorare l’emergenza, me lo fa sentire molto più affine di quanto non accada con gli ipocriti che scuotono la testa e non vogliono sporcarsi la vista con la contemplazione della realtà più cruda.
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