Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Ai Mondiali ha vinto, purtroppo, anche l’austerità

Oggi la sintesi è facile, brutale, e purtroppo politicamente scorretta: la vittoria della Germania nella finale del Maracanà per noi è una catastrofe. Per l’Italia, per l’Europa, per il mondo, questa vittoria è davvero una piccola catastrofe che attraversa i confini del calcio e celebra involontariamente il trionfo e l’egemonia di un modello e di un sistema-Paese.

Se è vero, come ci raccontarono, che la vittoria dell’Italia nel 1982 aveva mosso un punto di prodotto interno lordo, se è vero che quel Mondiale pertiniano ci portò fuori dagli anni di piombo, se è vero – come è vero – che le finali dei Mondiali danno un senso al tempo, che scrivono la colonna sonora di un’epoca, allora bisogna dire che questa vittoria dei tedeschi faccia-d’angelo sarà un altro fondamentale frammento di consenso, un altro mattone che servirà a rafforzare l’immagine e il mito dell’Europa dell’austerità.

Certo, ovviamente Joachim Löw con le sue bellissime camice brune blu-nere oggi evoca l’eleganza sartoriale del nord-europa piuttosto che gli spettri in uniforme del Terzo Reich. Certo, i suo simpatici ragazzi giocano solo al calcio, non pensano alla politica, ma poi l’immagine che resta è la festosità del tailleurino rosso di Angela Merkel. E qui bisogna dire che la Merkel è sgraziata anche quando vince: quando festeggia ingobbisce la testa incassandola nelle sue spalle a stampella, solleva i pugnetti tenendo i pollici fuori dalle dita, sembra stretta nella sua giacca con tre bottoni chiusi, come se fosse imprigionata dentro una camicia di forza: quale metafora migliore dell’austerità imposta a tutta Europa?

Quella della Merkel è l’immagine di una vittoria fredda, una vittoria da ricchi, una vittoria da primi della classe che domani saranno sempre più convinti di essere nel giusto: Pertini dopo i goal di Paolo Rossi sí sbottonava il panciotto.

E non è nemmeno vera l’immagine della nazionale multietnica: quelli erano i blues della Francia. Qui l’Africa è rappresentata da quel Jérôme Boateng, che ha scelto la nazionalità tedesca e le certezze, contro il fratello Kevin-Prince che è rimasto nel bene o nel male ghanese, e si è scontrato due volte con il fratello in due fasi finali dei Mondiali, al punto che tra i due – stessa madre, padre diverso – si dice che corrano sentimenti di ostilità.

La Francia contamina, la Germania assimila: e questa Germania che gioca una bellissimo calcio, purtroppo, è – ancora una volta – il simbolo di una idea egemonica. Per non finire assimilati alla dittatura del rigore, pur con tutta la simpatia possibile per Müller e compagni, serve che una squadra latina vinca perlomeno l’europeo, e rompa il triste incantesimo del 3 per cento.


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