Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Meredith e la regola del 3: Bossetti spera

«Avvocato, lei mi chiede di risponderle sui test che riguardano il campione G20.
Ma io in questo momento non posso…».
– «Cerchi tra le sue carte, fra i dati che ci avete fornito voi stessi».
– «Purtroppo adesso non sono in grado di farlo. Ho bisogno di tempo. Quei dati vengono immagazzinati nel nostro sistema insieme ad altri dati, che appartengono a pratiche relative ad altri processi. Adesso non siamo in grado di distinguere, ci serve tempo».
Così parlò Fabiano Gentile, superesperto dei Ris per gli esami sul Dna. Non solo a caldo, dunque, durante l’ udienza di venerdi pomeriggio quando per la prima volta – durante un controinterrogatorio della Difesa di Massimo Bossetti – i due ufficiali scientifici dei carabinieri aveva chiesto una sospensione per provare a trovare il modo di rispondere in modo esatto alle domande agli avvocati.
Ma anche alla ripresa, in serata, prima che a fine udienza la Presidente Bertoja, con un ennesimo colpo di scena, proponesse una nuova sospensione e un accordo di tregua: la difesa ha sette giorni di tempo per scrivere le sue domande, i Ris altrettanto per rispondere. Così è suonato il gong, ma proprio sul più bello del match, mentre la partita è aperta e ancora in corso. La Difesa è convinta di aver trovato la prova di quello che ripete da un anno, l’ accusa frena i dubbi rispondendo che alla fine di questo «contest» tutto sarà chiarito.
I RIS TEMPOREGGIANO Ma cosa vuol dire quella frase sibillina dell’ ufficiale dei Ris sui dati non reperibili? Perché i Ris prendono tempo? È solo una tattica o ci sono delle ragioni? Per capire cosa sta accadendo davvero, in queste ore concitate è necessario provare a rispondere a queste domande.
Enrico Mentana, parlando del caso Yara nel suo tiggì, pochi giorni fa, ha coniato questo titolo carlogaddiano: «Quel Pasticciaccio brutto dei furgoni dei Ris». Bene, quello che si è verificato in aula venerdi, durante la battaglia sul Dna di ignoto uno è un nuovo pasticciaccio ancora più complesso, ma forse anche un punto di svolta del processo. Riassunto delle puntate precedenti per chi se l’ è perse: i due ufficiali dei Ris che hanno fatto la perizia più importante, quella sugli indumenti di Yara – Nicola Staiti e Fabiano Gentile – mentre erano controinterrogati dalla difesa, hanno alzato le mani dicendo che non erano in grado di rispondere alla domande sugli stessi dati che avevano fornito, il cosiddetti Raw data degli esami sul Dna, la «brutta copia» dei test decisivi che hanno incastro Bossetti.
I due super esperti dei Ris, che fino a quel momento erano stati chiari ed efficaci, si sono come impallati mentre venivano interrogati sul numero di esami che avevano fatto sul campione G20, quello ormai noto a tutti, il frammento di mutandina dove gli esperti dei carabinieri dicono di aver trovato il dna del muratore. Fino a venerdì sopravviveva una leggenda metropolitana diffusa dall’ accusa, e scritta persino in alcuni documenti ufficiali. Uno dei motivi per cui quell’ esame era attendibile, dicevano gli inquirenti, è che era stato ripetuto, con risultati concordi, in ben quattro diversi laboratori (quelli che si erano occupati delle diverse analisi del caso). Ebbene, Staiti e Gentile ieri hanno dissolto questa leggenda. Domanda di Salvagni: «Siete voi l’ unico laboratorio che ha lavorato sul campione G20?». Risposta di Staiti: «Sì, solo noi». Quindi gli altri laboratori non possono aver lavorato né sulla materia dei reperti, né sui dati grezzi delle analisi, ma solo sulla sequenza del Dna isolata dal nucleo scientifico dei carabinieri.
IL SUPER DOCUMENTO E qui si arriva al primo problema che, comunque la si pensi sul caso, tutti si devono porre. I Raw data studiati da Marzio Capra, il superesperto della difesa (a sua volta un ex ufficiale dei Ris, un vero mago dei numeri e dei digrammi) secondo il genetista, dicono che i carabinieri hanno realizzato in laboratorio «solo» quattro «Amplificazioni». Ovvero: quattro diversi esami per mettere a fuoco la sequenza del Dna. Persino su quel «solo» c’ è stata battaglia: un aggettivo contestato con una obiezione dal Pubblico ministero Letizia Ruggeri perché lo trovava già tendenzioso. E aggettivo perfettamente calzante invece, secondo Capra, perché a suo parere quel numero limitato di prove metterebbe in discussione la validità dell’ esame.
Proviamo a capire perché.
Gli avvocati Claudio Camporini e Claudio Salvagni brandiscono da mesi un documento importante, partorito da un altro processo. Si stratta della sentenza di Cassazione sul processo che ha coinvolto Salvatore Sollecito e Amanda Knox. In quel testo, che per ora fa giurisprudenza, i magistrati dell’ alta Corte hanno fissato un principio di garanzia, per rispondere ai tanti problemi aperti dai molteplici casi di errore nella fase analitico emersi in questi anni (a partire dal ribaltamento della prova del reggiseno, grazia a cui l’ avvocato Giulia Buongiorno ha vinto il processo). Secondo la Cassazione, perché un esame del Dna sia valido deve essere ripetuto almeno tre volte. Qual è il grande problema dello slip di Yara, il reperto che incastra Bossetti? Che quando è stato esaminato il muratore di Mapello, come è noto, non era nemmeno stato individuato. Quindi l’ esame non è avvenuto (non era possibile) né alla presenza dei suoi avvocati, come si dice, «in garanzia». Ma nemmeno alla presenza dell’ uomo che all’ epoca era indagato, l’ operaio Mohammed Fikri, che dopo quella data è stato riconosciuto innocente, prosciolto, e risarcito per ingiusta detenzione. Chi e cosa, dunque, si chiedono gli avvocati, può garantire Bossetti dall’ idea di un possibile errore? Contrariamente a tutte le altre prove, quel test del dna non è stato nemmeno filmato. È diventato, insomma, un dogma di fede dei Ris. Ed è per questo stesso motivo che la Corte ha riconosciuto agli avvocati il diritto di visionare i dati grezzi. Incalzati sulla base dalla dinamica che Capra ha ricostruito su quei documenti, gli uomini dei Ris hanno preferito non rispondere alle domande sul numero di prove effettuate. Prima di quel momento, però, avevano spiegato le loro metodologie, raccontando di aver adoperato otto diversi kit di analisi, «i migliori reperibili sul mercato».
Vero: ma quelli reperibili all’ epoca. I kit più moderni – ci hanno spiegato sempre Staiti e Gentile – arrivano ad individuare oltre venti elementi distintivi di un Dna. Quelli che hanno adoperato i Ris all’ epoca, perché gli altri non essitevano ancora, non più di 17. Ma per tracciare tutta la sequenza servivano almeno tre esami: uno che disegnasse la struttura del Dna in almeno tredici elementi, uno che stabilisse il sesso, uno che individuasse l’ aplotipo X, ovvero quello che nella sequenza distingue l’ identità che proviene dal genitore. I Ris, agendo correttamente, ma seguendo la priorità di allora (che era tracciare un profilo di un possibile sospetto), hanno fatto tutto questo con quattro esami, senza porsi il problema che tre anni più tardi avrebbero dovuto rispondere ai diritti di un indagato. E adesso quella risposta su «solo» quattro esami diventa cruciale: se dicono che sono «solo» quelli salta il processo, se dicono che sono di più ma non risultano dai Raw Data, rischiano che salti lo stesso (perché non li hanno forniti alla difesa malgrado la prescrizione della presidente).
IL MISTERO ESAMI E qui arriviamo agli altri risultati, e alla difficoltà di distinguerli, che Capra chiarisce con un esempio illuminante. «È legittimo che i Ris stessero facendo anche altre analisi e anche su altri casi, e anche in contemporanea. È come se tu porti la macchina dal meccanico, e scopri che quello adesso lavora sulla tua Multipla, e in serata si dedica alla Mercedes del tuo vicino di casa…». E allora? «Allora – spiega Capra – il problema è che deve avere ben chiare e distinte tutte le operazioni: se vai a riprendere la macchina e tu gli chiedi se ti ha sostituito la frizione, non ti può rispondere: so che ho cambiato una frizione, ma adesso non so dirti se alla tua macchina o ad un’ altra. Perché nel primo caso ha fatto bene – conclude Capra – nel secondo ha fatto un pasticcio». Ecco, adesso i Ris dovranno chiarire come hanno lavorato senza venire meno al registro fatture dei Raw Data. Tutti pensano a Bossetti, ma quello che accade in questa officina meccanica farà scuola sui casi dei prossimi venti anni.

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