Direttore, sei finito nella più pasticciata delle liste di proscrizione.
«(Silenzio). Purtroppo non è la prima volta».
Il sito di Radio Islam ti annovera tra i referenti della grande lobby ebraica di pressione sull’ informazione italiana: terminologia e modalità da Terzo Reich dei poveri…
«Lo so. C’ è un preoccupante ritorno di un sentimento terribile e antico, ammantato in nuovi panni».
Insieme al tuo in questo elenco compaiono nomi disparati, associati in modo non chiaro.
«Che la lista sia pasticciata è indubbio. Che i nomi siano citati a vanvera non mi sembra, anzi. Che questa cosa non vada sottovalutata è altrettanto indubbio. Se accetto l’ intervista proverò a spiegarti perché».
Non è la prima volta che finisci nel mirino.
«Nel 2003, quando per pochi giorni venni nominato presidente, coprirono di scritte antisemite la sede della Rai».
Non si sono più fermati?
«Dal 2008 il nome di altri colleghi, e il mio, venivano citati in un’ unica lista, che ripetutamente appariva in diversi siti neonazisti…». Inquietante. «All’ inizio, ogni volta che accadeva, ero convocato dalla polizia per sporgere denuncia.
Ma ormai è accaduto così tante volte che non faccio più neanche questo…».
Pensi che sia meno pericoloso?
«Non lo so e non voglio dare a ignoti persecutori la soddisfazione di preoccuparmi. Ma la prima volta che questa lista, integrata con una logica che proverò a spiegarti, appare in un sito di ispirazione filo-jihadista».
Brutto segnale.
«Bruttissimo. Il fatto che ci siano persone nemmeno lontanamente di origine ebraica rende il fatto ancora più inquietante».
Paolo Mieli è uno dei giornalisti italiani più noti: ha 66 anni, ha diretto Stampa e Corriere della Sera (due volte). È presidente della Rcs libri. Ha appena pubblicato un saggio, L’ arma della memoria (sottotitolo: «Contro la reinvenzione del passato», Rizzoli), questo colloquio potrebbe diventarne una appendice. Molesto Paolo per un paio di giorni, lo sento indeciso: «L’ unico dubbio che ho?
Se ne parli gli dai importanza.
Devo riflettere». Passa un giorno: «Ho deciso. Ci sono cose che meritano di essere raccontate. Hai carta e penna?». Mieli mi cita decine di casi, in tutta Europa. Mentre li snocciola a memoria, uno per uno, con cura del dettaglio e nomi sillabati, capisco che si tratta di notizie relegate quasi tutte al rango di «brevi». Ma messe insieme compongono un quadro impressionante.
Ritorniamo alla lista di proscrizione: dici che è pasticciata, ma che nessun nome è a vanvera, perché pasticciata?
«Ci sono nomi, penso a Saviano, che non hanno nulla a che vedere con la comunità ebraica».
Strana?
«Appena l’ ho scorsa, ho trovato addirittura dei morti, e sto parlando – per esempio – di Vittorio Orefice».
Imprecisa?
«Perché ci sono giornalisti, penso a Mentana, ma anche a me stesso, che non sono – consentimi il termine “tecnicamente” ebrei».
Si è ebrei per discendenza matrilineare, o per conversione.
«Mio Padre era ebreo, come quello di Enrico. Ma mia madre era cattolica. Io non faccio parte della comunità, non sono religioso…».
Però?
«Io non sono tecnicamente ebreo. Ma mi sento ebreo al 110%, orgoglioso di questa identità, soprattutto in momenti come questi».
La lista è scritta da dilettanti?
«No, è questo il punto. È un discorso odioso, da fare, ma credo che la lista di Radio Islam unisca, a un vecchio elenco di giornalisti ebrei, altri nomi che hanno un unico punto di contatto: aver difeso, anche una sola volta, lo stato di Israele».
Cosa vuol dire?
«Sono tutti obiettivi perché la lista è insieme antisemita e anti-isrealiana, ben incatenata alla nuova campagna di boicottaggio contro Tel Aviv. L’ incrocio ci aiuta a capire».
Per esempio?
«Una ricercatrice norvegese, Ingrid Harbitz, Scuola di veterinaria di Oslo, non ha voluto spedire un campione di sangue al Goldyne Savad Institute di Gerusalemme, sai?»
Perché?
«Ha scritto: “A causa della situazione attuale in medio oriente non voglio consegnare qualsiasi materiale a un’ università israeliana”».
Non lo sapevo.
«Sai che un professore, Andrej Wilkie a Oxford ha rifiutato un dottorato a Amit Duvshani, studente di medicina di Tel Aviv?».
Mi pare incredibile.
«Ti cito a memoria la sua lettera? “Grazie per avermi contattato – dice Wilkie – ma non credo che possa funzionare.
Ho un problema enorme con il modo in cui gli israeliani assumono la superiorità morale dal loro trattamento spaventoso nell’ Olocausto, e quindi con il modo di infliggere gravi violazioni dei diritti umani ai palestinesi”».
Cosa c’ entra Amit?
«Nulla. Altro caso, festival del cinema di Oslo: rifiutano un documentario sui bimbi disabili perché “realizzato in Israele”».
Nella civilissima Norvegia!
«Vuoi i Paesi Bassi? La squadra olandese del Vitesse Arnhem, invitata ad un tournè negli Emirati Arabi, lascia a casa il giocatore Dan Mori perché gli hanno rifiutato il visto. Sai perché?»
È israeliano.
«Hanno minacciato di arrestarlo. È passata come una curiosità calcistica».
Non isolata.
«Lo Sepahan Isfahan, top club della Serie A iraniana cancella una amichevole con la squadra serba del Partizan.
Chiedimi, perché?»
Il suo allenatore, Avram Grant é israeliano?
«Sai di Scarlett Johanson, vero?»
Licenziata dalla Ong Oxfam?
«No, se né andata lei. La motivazione: era testimonial dal 2007 ma le hanno detto che era incompatibile se non smetteva di promuovere SodaStream, società che produce gasatori per bibite».
Poi c’ è il terrorismo.
«Strage di Tolosa: all’ inizio sembrava che Mohammed Merah, l’ attentatore ucciso, fosse un pazzo squilibrato di simpatie neonaziste».
Hanno scritto pagine e pagine.
«Già. Ma fino a quando non si è scoperto che era invece un estremista musulmano. A quel punto, come ha scritto Douglas Murray sul Wall Street Journal, su di lui è calato un gran silenzio e la stampa si è inventata il lupo solitario. Ti basta?»
No, andiamo avanti.
«Cito il Papa. Quando Amedy Coulibaly ha preso in ostaggio e ucciso cinque cittadini francesi ebrei nell’ Hyper Cacher de la porte de Vincennes Francesco ha detto: “Se qualcuno offende mia madre io gli do un pugno”».
Si riferiva ai satirici iconoclasti di «Charlie Hebdò»…
«No. E se mai si può invocare come attenuante di un massacro il vilipendio – e per me non si può – va detto che le vittime del supermercato non avevano offeso nessuno. Non si registra una sola offesa di tutte queste vittime nei confronti di chicchessia. E qui torno alla lista».
C’ è un legame?
«Chiunque abbia difeso Israele – anche una volta – è tra i nomi di radio Islam. Il boicottaggio dei prodotti israeliani sta producendo disastri anche nel modo della cultura».
Ad esempio?
«La compostissima Bbc rifiuta di trasmettere un concerto dell’ orchestra filarmonica israeliana. Sai che il Western Dunbartonshire, un distretto scozzese, ha bandito tutti i libri stampati in Israele dalle biblioteche?»
Orwelliano.
«A Manchester una docente, Mona Baker, ha licenziato due traduttori, israeliani, perché – sosteneva – “per effetto del boicottaggio non avrebbero lavorato più”».
Hai altri casi?
«Quanti ne vuoi: il professor Moti Cristal di Tel Aviv doveva partecipare, sempre a Manchester, ad una conferenza sul servizio sanitario. Bloccato».
Oltraggi nei cimiteri, musei profanazione, boicottaggi scientifici, embarghi a squadre, profanazioni. Cose molto diverse…. «Unite da un unico filo, al confine con l’ antisemitismo».
Tu riconosci il diritto di criticare Israele, ovviamente?
«Tutti gli atti di Israele sono criticabili anche duramente.
Ma diffido di quelli che sempre e comunque ne criticano qualsiasi atto. Il 100% di adesioni è una cifra che mi fa sempre riflettere».
La guerra all’ Isis cambierà qualcosa?
«No finché l’ Occidente tiene ben separata la guerra all’ Isis dalla difesa degli ebrei. La strage del Super Marché è stata celebrata come anti-francese, non antisemita. Bataclan è legato in qualche modo anche a Israele: complessi di ebraici, proprietario ebreo…» È un antisemitismo antico o moderno?
«Preesiste all’ Isis e allo jihadismo ma si alimenta di questa onda nuova, come un animale».
Le classi dirigenti occidentali lo hanno capito?
«Ne sono consapevolissime. Ma non conviene dirlo.
Nella seconda guerra mondiale si sapeva dell’ Olocausto. Ma Inghilterra e America misero in ombra le notizie, perché l’ intervento non poteva apparire come se fosse in difesa degli ebrei».
Nuovo antisemitismo, vecchie paure.
«Nascosto nell’ antisionismo, ma dilaga».
E l’ Italia?
«Non siamo immuni, cito una perla? Il sindaco del Pd di Recanati Francesco Fiordomo ha patrocinato la proiezione del film Israele il cancro, di Samantha Comizzoli. Caso isolato? No, pellicola proiettata a Messina, Ravenna Bologna, Cesena e Pavia….» Ti sei informato su di lei?
«Ho appuntato questa sobria frase: “Mi auguro che Israele sprofondi nel nucleo della terra e che l’ inferno torni da dove è venuto, all’ inferno”».
Hai una spiegazione?
«Ci siamo mitridazzati a una certa dose di odio: e questo ci sembra normale o pittoresco».
E la stampa italiana?
«Come quella europea, con l’ eccezione di alcuni osservatori attenti che infatti sono nella lista nera di Radio Islam».
Le liste di proscrizione, nella storia, nascono per scherzo, ma spesso producono vittime.
«Spero di no. Ma potrebbe diventare una lista di obiettivi da colpire. Dipende da noi».
Non aiutano le paginate sull’ Isis?
(Sorride) «Conosco una abitudine dei giornali italiani. Una legge della nostra informazione è: prima fase, dopo una strage un mesetto scarso di attenzione isterica».
Poi?
«Seconda fase. per qualche giorno tutti diventano strateghi bellici ed esperti geopolitica».
E poi?
«Terza fase: scompaiono le cartine geografiche, il terrore, si parla solo della banca di Laterina, di De Luca sì o no».
Il nuovo antisemitismo cresce?
«Si è alimentato di fatti enormi che legano il nuovo terrorismo dall’ 11 settembre all’ odio pregiudiziale anti-Israele di oggi. È lo stesso vestito, ma prima chi lo indossava era ai margini.
Oggi trova una nuova legittimazione. E questo spiega il senso segreto di quella lista».
Unire quella lista e queste notizie è il tuo mestiere di storico?
«Guardo i dettagli perché sono abituato a studiarli nel passato come premessa dei grandi terremoti che poi diventano pagine di storia».
Per i contemporanei erano dettagli irrilevanti.
«Non se ne accorsero per gli stessi motivi per cui oggi nessuno le collega. La patrocinata Samantha, il suo inferno, questa lista e queste brevi, oggi, sono più grandi di come le vediamo».
Luca Telese
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