Luca Telese

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Luca Telese
Luca telese

Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

«Rifiutai il posto fisso. Così nacque Lino Banfi»

«Persino io nella mia vita ho sfiorato il posto fisso, sai?
» Non ci credo Lino.
«Giuro: tu sai che per un comico, uno zingaro, nomade e precario per definizione, come me, è un assurdo, però ero così vicino alla canna del gas…
» Racconta.
«Sarà stato forse il 1965 o il ’66, ero già a Roma: facevo il cabarettista, ma ero disperato, veramente disperato».
Perché?
«O non mi pagavano proprio, oppure dicevano di pagarmi e non poi non me li davano».
L’ anno più nero della tua vita?
«Senza dubbio: debiti, strozzini, due cravattari che mi venivano a cercare a casa, due zingari che facevano paura…
» E tu?
«Stavo per gettare la spugna e ora nessuno saprebbe chi è Lino Banfi».
Perché?
«Eravamo in tre, con una bimba piccola, e non si metteva insieme il pranzo con la cena».
Non avevi successo?
«Macché: sbarcavo il lunario nell’ avanspettacolo, Rosanna, mia figlia, aveva tre quattro anni, e io tornavo a casa senza in tasca i soldi per comprare la carne o il latte».
E quindi?
«Mi dissi: Basta! Così non reggo! Decisi di provare a prendere pure io il posto fisso».
E come si faceva?
«Semplice. Chiamai mio padre che mi disse: “Lino! C’ è sempre a Roma quel senatore Iannuzzi che mi vuole bene…”».
E tu lo chiami?
«”Senatore, mi aiuti!”. “Beh?
Non vu fe cchiù l’ artist?”».
Gli spieghi che non ci riesci. E lui?
«Mi fa: “Lino, tu si nu disastr!
Nun ti sì né laureat, né diplomat!! Ti faccio entrare in banca, come usciere: ma appena entri alla Cassa di Risparmio devi studiare e diplomarti, così ti posso far fare cassiere”».
Geniale. Ti faceva addirittura tutoraggio…
«Eeeeh, la prima Repubblica, non si scorda mai, come dice Checco! Ma…
» Ma?
«Non ero felice: dovevo prendere servizio lunedì, era sabato. Terrore. Io e Lucia nel letto.
Io non dico nulla. Lei non dice nulla».
E poi?
(Con una faccia Lino diventa sua moglie, con uno sguardo se stesso) «”Non dormi?” E io: “No”».
E lei?
«”Ancora stappensaie a la Banc?”. Io: “Sì”. (Sospiro). “Ma perché devo avere a fianco un marito infelice?”».
E tu zitto?
«Muto. Ancora lei: (Sospiro).
“Lino, vù fa l’ artist? Fa l’ artist!”».
Santa donna!
«Devo tutto a quella frase.
Spero di averla ripagata con una vita di amore».
E il senatore Iannuzzi?
«Ci rimase molto male, disperato. Diceva: “L’ ho messo alla cassa di risparmio e non mi ha fatto un solo giorno di lavoro!!!”. Ah ah ah».
Lino Banfi è il personaggio chiave di Quo vado, il politicone prima Repubblica che procura il mitico «postofisso» a Checco. Ma nessuno sapeva che nel momento più drammatico della sua vita Lino aveva avuto anche lui il suo protettore. Lo incontro a Cinecittà, dove sta registrando l’ ennesima scena nei panni di Nonno Libero. Il giorno prima di andare in onda gli arrivano le paginette con le battute, lui se le studia in macchina, quando arriva sa già tutto a memoria. Gli chiedo come faccia. Risponde con un sorriso solare, e si fa clap-clap sulla fronte: «Sono un vecchione che tende al rimbambito: eppure questo muscoletto qui continua non tradirmi, eh eh eh!». Dovevo raccogliere una breve intervista per una puntata di Matrix su Zalone, lui mi investe con un racconto fantastico. Infatti il suo ruolo in Quo vado non è una partecipazione amichevole come tante, ma un piccolo tributo che Nunziante e Medici hanno immaginato su misura per lui: un ideale scambio di testimone tra due generazioni anagraficamente distanti ma artisticamente affini. Lino ne è convinto: «Checco ci ha vendicato!».
Chi? «Noi artigiani della comicità».
Nel film diventi per Zalone come Virgilio che guida Dante nell’ inferno…
«Seeeeh, ti ringrazio. Ma io sono solo una pedina piccola di questo film: eppure ho accettato di fare questo cameo per il modo bello con cui me lo hanno chiesto».
Vi eravate conosciuti già?
«Sì, a rate: avevo visto Luca a Telenorba, quando non lo conosceva nessuno. Resto di stucco per il talento e chiedo: ma chi è questo mostro?»
Cosa ti rispondono?
«È uno di Capurso vicino Bari. E io quel ghigno non me lo scordo più».
Seconda puntata?
«Dopo il record di incassi di Cado dalle nubi, un giorno, il mio ufficio stampa mi passa al telefono uno che parla come me: “Madónn benedett l’ incoronéta!!!, io ti adoro, maestro!”.
Era Checco».
È stato subito amore.
«Li ho conosciuti, e devo parlare al plurale, perché Checco e Gennaro Nunziante vivono in simbiosi con le reciproche famiglie, scrivono e pensano in maniera artigiana finché non sono sicuri di quello che vogliono!
» E poi?
«Passano la pratica a Valsecchi: più che un produttore un mecenate».
Lo dici quasi con invidia…
«Loro dicono “Andiamo in Norvegia”, e lui ce li porta! Ai miei tempi i produttori mi avrebbero risposto: “Ma che chezzo vuoi!? – lo puoi scrivere chezzo, non è volgare! – vattene a girare al Terminillo, altro che Norvegia!”».
Stai dicendo che quel successo non ci sarebbe senza questo lavoro di squadra?
«Certo. Checco è il nostro vendicatore, il vendicatore dello spirito bistrattato della vera comicità nazionalpopolaresca italiana. Uno spirito di cui, anche io, mi sento un umile interprete».
Sei diventato quasi di famiglia…
«Ho girato con loro solo tre giorni ma sono bastati».
A cosa?
«Ho scoperto che la mamma di Luca è itticodipendente, come me: ci siano fatti una scorpacciata di ricci insieme».
Sei il nonno d’ Italia.
«Lo sai che quest’ anno faccio gli anni come altri tre grandi vecchioni con la B. di questo Paese?
» E chi sono?
«Oltre Banfi? Bergoglio, Baudo e Berlusconi. Ti basta?
» Ti senti il padre di una lingua comica?
«Ho aperto io la strada della pugliesità? Forse. Ma fu quasi per caso».
Cioè?
«Noi non abbiamo avuto una scuola o dei modelli, gli Angelo Musco e gli Eduardo De Filippo».
Sei tu il capostipite.
«Il pugliesismo, se davvero esiste, cominció con me quando ero ragazzo e con i miei amici scherzavo e facevo le zingarate».
Che curriculum avevi?
«Nessuno. Io ho cominciato a recitare come studente, poi da seminarista fallito, e poi sono fuggito di casa per girare i peggiori teatri d’ Italia, eh eh…
» Non mi hai detto delle prime gag…
«Tutto nasce dalle burle che facevo mimando quei contadini pugliesi che quando parlavano non sapevano se si doveva dire “cravatta” o “cravattola”, e si arrampicavano in costruzioni linguistiche improbabili, declinazioni strampalate…
» Tu questi tic li digerisci e li rielabori…
«Capiii che quella lingua si poteva reinventare: in una delle prime comparsate in Rai esordii prendendo in giro Pippo».
Intendi Baudo?
«Proprio lui. Mi presentó e io risposi: “Ciao Pippobaudolo!!”.
E giù risate. Un giorno mi trovo davanti Iva Zanicchi e le grido: “Zaniccoli!!”. Funzionava».
Per questo Gennaro e Checco ti hanno voluto con loro…
«L’ hanno detto: “Per noi è un tributo perché tu hai aperto la strada al pugliesismo su cui ci siano incamminati anche noi”».
Ti pare poco?
«Per me è tutto! Sai, tutti chiedono se questo film è di destra o di sinistra…
» Domanda legittima.
«Ehhhh… Tutti cercano di montare sul cavallo del successo di Zalone! Col chevolo – puoi scrivere chevolo – che tre anni fa ci sarebbe stata questa ressa!
» Ti ha convinto quel messaggio?
«Certo! Zalone e Nunziante, fra una gag e l’ altra, parlano di Jobs act-act-act, di Cocoocó, di cocooppró, di esodati, di flessibilizzati! Ma dov’ era finito il cinema cosiddetto impegnato?
» Dici che Quo vado ha occupato uno spazio vuoto?
«Certo. Ma mi pare che gli….
intellettueli dei miei stivali non lo avessero capito».
Senti molto questa divisione fra cinema italiano di serie A e di Serie B?
«A noi non solo non ci danno un premio, ma nemmeno ce lo fanno consegnare».
Maddai!
«Se a qualcuno gli dicono che il premio glielo porta Lino Banfi gli prende la sincope!
» Non esagerare…
«Come dice Checco: a noi quelli della famiglia del signor Di Donatello non ci conoscono proprio».
Quand’ è che sei passato dai cravattari del ’66 al successo?
«Solo un anno dopo, come un miracolo».
Che accadde?
«Al termine di uno spettacolo mi chiama il vecchio De Laurentiis e mi fa: Senti, io ti sistemo! Tu fai cinque film con me e io ti do due milioni al mese».
E quanto erano?
«Come se tu oggi passassi dai debiti a ventimila euro al mese!
» Il film che ti ha fatto guadagnare di più?
«Vieni avanti cretino!
» Il primo da protagonista?
«Pasquale Zagaria. Adesso nel web circola una scena con un amico prete, davanti al Colosseo, che fu totalmente improvvisata…
» Quella degli schiaffoni?
«Già. Quel giorno ci inventammo il barese con i sottotitoli in arabo: se lo avessimo fatto oggi l’ Isis ci avrebbe sgozzato».
Poi sei cresciuto nel cuore della Rai…
«Carlo Fuscagni mi voleva bene. Agnes mi amava. Ma i dirigenti Rai dicevano: “Mi vergogno a dirlo ma a me Banfi mi fa pisciare dalle risate”».
Non mi pare gravissimo…
«Io lavoro con la Rai ma i regali di Natale me li manda Pier Silvio. Capisci? In un certo mondo c’ è un certo snobismo».
Snobismo?
«Ti faccio un esempio: Marco Risi ha detto che il punto nero della su carriera è aver girato Il commissario Lo Gatto con Banfi. E non è vero! Era felice».
Queste cose ti fanno soffrire.
«Un giorno Caprara, del Mattino – un amico – mi raccontó che sulla piazza Rossa, in un festival, L’ Allenatore nel pallone era proiettato vicino a Kaos dei fratelli Taviani. E che succede?
, dico io. “Si stanno sbellicando dalle risate”, risponde lui. Gli faccio: perché non lo scrivi? E lui mi fa: “Linù, eheheh…”».
Cosa voleva dire?
«Che non avrebbe fatto piacere al suo giornale».
Cosa pensi delle provocazioni di Quo Vado?
«Il posto fisso era meglio del Jobs act-act-act perché ha dato certezze ad un Paese insicuro».
Proprio tu, lo dici, che lo hai rifiutato?
«Sì, perché più invecchio o raccolgo riconoscimenti, e più penso a quelli che si perdono, ai più anziani».
Pensi agli altri?
«Io adesso sono Nonno Libero davvero, perché penso ai tanti nonni che soffrono e non ce la fanno, e lo so perché con me si confidano».
Come vorresti che fosse ricordata la tua comicità?
«Non ho la pretesa che sia arte. Sarei felice di essere ricordato per quello che sono stato davvero».
Cosa?
«Un servizio sociale emotivo. Un farmaco. Un calmante. Eh eh eh…»

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