Che cosa si prova, dopo essere uscito dal Pd con sofferenza, a leggere le polemiche sull’ ingresso degli ex cuffariani nel suo ex partito?
«Nessuna soddisfazione. Dolore, forse. È un brutto spettacolo».
Stupefacente?
«No, purtroppo non sono stupito.
Dove altro potrebbe voler andare a infilarsi, uno che in Sicilia era con Cuffaro solo per il potere e adesso non ci può stare più?».
Sta dicendo una cosa feroce sul suo ex partito.
«Sto facendo solo una amara constatazione, questo è il punto di arrivo di un processo in atto da tempo, una mutazione che è già avvenuta».
Quale?
«Il Pd è diventato ormai il luogo di rappresentanza dell’ establishment e degli interessi forti. Mi pare ovvio che un ex cuffariano oggi lo consideri un porto accogliente dove ormeggiare vele, clientele, gestione di pacchetti di consenso».
E la base che lei conosceva?
«Non credo che in Sicilia questa base esista più, che abbia cittadinanza, che conti».
Addirittura?
«Ci sono i signori delle tessere che – come altrove – fanno fuggire tutti. Il Pd, anche a livello nazionale, è un partito che sta cambiando il sangue: escono i militanti di sinistra, entrano altre categorie sociali».
A cosa si riferisce? Al caso Verdini?
«Tutti se ne accorgono adesso, che è un azionista forte della maggioranza. Ma se ci pensi Verdini è sempre stato alleato di Renzi dai tempi delle primarie per il sindaco di Firenze».
Ma tutti i dirigenti renziani negano che ci sia una alleanza!
«(Sorride) Beh, si può dire tutto. Ma questo patto con Verdini ormai è un fatto politico innegabile».
Potrebbe essere un alleato-imbucato, che porta voti anche se non richiesto?
«Non conosco questa categoria in politica. Verdini, e la sua ombra, ci sono nelle scelte politiche di tutti i giorni del Pd: non parlo dei retroscena, parlo dei fatti».
Quali?
«Ehhh… Allora: Jobs act contro i diritti dei lavoratori, controriforma della presunta buonascuola, contro l’ istruzione pubblica, assoggettamento della Rai al governo contro il pluralismo, l’ orrore dell’ Italicum a favore della vecchia politica, lo sbloccatrivelle favorisce i grandi gruppi economici. Basta?».
Stefano Fassina: deputato, ex cervello economico del bersanismo, ex viceministro del governo di Enrico Letta, ex oppositore intransigente di Matteo Renzi – «Fassina chi?» disse il futuro premier provocando il suo addio – si è dimesso dalla mattina alla sera: «Non mi riconoscevo più nel mio partito.
Sentivo tradito il patto che avevamo stabilito con il nostro popolo».
Viene da Nettuno, è cresciuto nella Fgci, ha lavorato in America al Fondo monetario («il primo e ultimo stipendio a tre zeri della mia vita», sorride), ha rinunciato alla sua carriera di economista per una vecchia e antica passione politica, e tornare a lavorare alla Coalizione Bene Comune messa in piedi da Pierluigi Bersani (prima delle ultime elezioni politiche). È sposato con Rosaria, una maestra d’ asilo, ha tre figli. Ha un fisico da maratoneta, abita a Roma nel quartiere Esquilino, chi si svegli a presto lo trova in ogni mattina in tuta a correre sotto i portici e nelle ville del quartiere: «Se non mi muovo non carburo». È uno dei volti di Sinistra Italiana (il raggruppamento nato dalla scissione della sinistra del Pd e Sel).
Due mesi fa, con un colpo a sorpresa, si è candidato a sindaco di Roma, e ha combattuto una battaglia con la destra interna di Sinistra e libertà per imporre una rottura dell’ alleanza con il suo ex partito. Parla di politica, ovviamente, ma lancia un allarme anche sulle banche e su rapporto con l’ Europa: «Se continua così richiamo di andare a fondo».
Sia sincero. Quanti rimpianti ha di essersi dimesso dal governo?
«La verità? Oggi nessuno. Ogni giorno che passa capisco che per come sono fatto ho fatto bene a rinunciare a prestigio e privilegio».
Qualcuno le dà del matto? «Chi si preoccupa di me mi dice: se restavi nel governo ed eri obbediente potevi diventare ministro. Ma non è una cosa che mi manca, davvero».
Cos’ è la favola della volpe e l’ uva? La sua ex alleata delle primarie Madia fa il ministro.
«No, giuro. Sono assolutamente sereno. Sono sempre più convinto, anche della scelta di essermi candidato a sindaco di Roma. La coerenza – per chi ci crede – una condizione necessaria per fare politica».
Dicono: Fassina è la vecchia sinistra “dei No”, ad esempio alle Olimpiadi.
«Le posso fare tre esempi telegrafici che dovrebbero convincere chiunque non sia fuori di testa che a Roma le Olimpiadi farebbero malissimo?».
Vediamo se riesce ad essere sia telegrafico che convincente.
«Primo: Roma è la città che ha vinto il premio Caronte di Legambiente per il peggior trasporto pubblico d’ Italia: la ferrovia Roma-Lido. Se non c’ è mai stato mi creda sulla parola».
Secondo esempio?
«Ponte di Nona: l’ unico quartiere di una grande metropoli in cui si entra da cittadini di serie B, pagando il pedaggio sull’ A24: 1.30 euro all’ andata, e 1.30 euro al ritorno. Le pare possibile?».
Terzo esempio?
«Ne faccio due nel tempo di uno. Il centrosinistra discute di privatizzare gli asili nido perché non può sostenere più i costi. E la metro si ferma quattro volte a settimana, ogni volta che piove».
Detto così è una esagerazione.
«No, un fatto tecnico-scientifico. Mi hanno spiegato lavoratori dell’ Atac il perché. Siccome non ci sono i soldi per la manutenzione, siccome non si cambiano più le guarnizioni dei pannelli elettrici, quando piove l’ acqua si infiltra nelle gomme secche e bastano poche gocce d’ acqua per mandare tutto in tilt. Terzo mondo».
E Giachetti sarebbe insensibile a questo?
«Non lo penso: ma il Pd a Roma non riesce a dire no ai poteri forti. Preferisce un evento-vetrina piuttosto che investire nella ristrutturazione di una città che va a pezzi».
Siete anche contro lo stadio della Roma!
«No. Siamo contrari a ubicarlo a Tor di Valle. Siamo favorevoli allo stadio della Roma, ma non vogliamo una enorme speculazione intorno allo stadio di Pallotta».
Quindi niente stadio?
«Per nulla. Facciamolo anche subito, a Capannelle: il terreno è già del Comune, nessuno ci specula sopra, e non necessita di variante urbanistica, perché quell’ area è già destinata allo sport. Si farebbe anche prima!».
Bersani la seguirà fuori dal Pd? «(Sospiro) A Bersani voglio davvero bene. È un persona bellissima, leale.
Ma la politica ci divide: abbiamo valutazioni diverse sull’ agibilità della sinistra nel Pd. Io non la vedo, lui sì».
Sulle banche dobbiamo preoccuparci?
«Su Etruria il governo aveva un conflitto di interessi con il decreto sulle Banche Popolari».
Lo dice lei?
«Certo. La settimana prima. Ci sono state operazioni speculative a Londra con acquisti eccezionali di titoli».
Cerca querele?
«No, è un dato di fatto. Il rischio che ci sia stato insider trading e fuga di notizie è evidente. Aspetto l’ indagine con interesse».
Quanto deve fare a Roma per essere soddisfatto?
«Arriviamo al ballottaggio. Per essere felice devo vincere».
Con che voti?
«Metà dei romani che non vanno a votare perché schifati dai partiti».
Perché lei continua a lanciare grida di allarme sulle banche?
«Corriamo un rischio enorme. E stiamo sbagliando la partita con l’ Europa».
Cosa si può fare per risalire?
«Bisogna archiviare una politica economica che ha condannato l’ eurozona alla stagnazione. Poi bisogna cambiare passo».
In che senso?
«I tedeschi hanno speso 247 miliardi per ristrutturare i loro istituti. Noi siamo rimasti fermi. Ma adesso i tedeschi in Europa dicono niente aiuti pubblici alle banche. Le pare sensato?».
Renzi adesso ha rotto l’ asse con la Merkel.
«Per ora. La soluzione negoziata con l’ unione europea è largamente inadeguata. Bisogna percorrere un’ altra strada».
Soluzioni massimaliste?
«Affatto. La più sensata mi pare quella suggerita da Marcello Minenna sul Corriere Economia: impacchettare i crediti inesigibili, e chiedere un intervento della Bce».
Una follia, conoscendo le posizioni dei paesi del Nord?
«Affatto: è previsto dal Quantitative easing di Draghi. La Banca centrale europea può assorbire questi pacchetti di crediti e alleggerire le sofferenze delle banche».
È colpa begli speculatori?
«Risposta consolatoria. E non è vera. Su Monte dei Paschi di Siena – per esempio – sono i risparmiatori a fuggire per un meccanismo semplicissimo».
Quale?
«Se ti vendi una parte dei tuoi crediti in sofferenza a 8 centesimi, ma nel bilancio li valuti 40 un investitore non scemo pensa che siano sovrastimate.
E vende».
Lei critica l’ Europa, ma ammette che Renzi sta dando battaglia?
«No: questo anti-europeismo è estemporaneo ed evidentemente elettorale».
Solo propaganda?
«Diciamo che in un momento di difficoltà intercetta una domanda larga di crescente insofferenza e rabbia».
Qual è la svolta, Fassina?
«Comprendere l’ insostenibilità dell’ euro».
Quando andava rotto il fronte con i tedeschi?
«Renzi lo poteva fare ancora a luglio 2014 – quando era in atto l’ attacco alla Grecia – ma ha perso il treno».
Draghi non le dà affidamento? «Dopo un anno che stampa 60 miliardi al mese per far ripartire l’ economia e produrre inflazione, qualche problema se lo pone anche lui».
Perché?
«Con una politica monetaria liberista, e siamo finiti in un meccanismo che gli economisti chiamano “Trappola della liquidità”. Girano tanti soldi ma non si esce dalla deflazione perché il cavallo non beve!».
E come lo si fa bere?
«Bisogna finanziare gli investimenti. Ho firmato un manifesto pieno di buonenso che si intitola: “Qe for the People”».
Come funziona?
«Perché questa massa di moneta arrivi all’ economia reale tu – Bce – devi saltare le banche e finanziare direttamente bot per piccole opere».
È una cosa un po’ bolscevica?
«È quello che hanno fatto America e Inghilterra! Cameron, mica Lenin: così si è svaluta la sterlina».
A Bruxelles e a Berlino è una bestemmia!
«Sì, è la rottura di tabù. Ma bisogna immaginare che se non lo facciamo siamo morti».
Luca Telese
Rispondi