Presidente Monti, cosa sta accadendo veramente in Europa?
«Qualcosa di grave, che mi preoccupa molto come europeo e moltissimo come italiano.
Vorrei che tutti i segmenti dell’ opinione pubblica avessero una corretta comprensione di queste difficoltà e dei rischi che corriamo. Ecco perché ho accettato la cortese e inattesa richiesta di intervista di “Libero”, pur trattandosi di un giornale che non considero rispettoso dei fatti».
Comincia così, con questa regola di ingaggio dura, un dialogo fitto due giorni tra il senatore a vita Mario Monti e il giornale che, come dice lui scherzando ma non troppo, «mi ha attaccato più di qualsiasi altro nel mondo». È un dialogo rispettoso tra posizioni molto diverse. Che forse, anche per questo, diventa ricco di spunti.
Senatore Monti, cosa c’ è di così grave nella situazione dell’ Europa?
«L’ Europa non riesce a gestire come dovrebbe il problema dei profughi e degli immigrati e non riesce a contribuire come potrebbe alla crescita e all’ occupazione nei Paesi che ne fanno parte. Questi sono sintomi, ben visibili ai cittadini, di un’ Europa che non sa affrontare problemi nuovi e che non è efficace nel risolvere problemi vecchi. In entrambi i casi, hanno ragione i capi di governo che, come Matteo Renzi, incalzano “l’ Europa”.
Temo però che sbaglino indirizzo».
Cosa vuol dire, con questo?
«I principali responsabili della paralisi della Ue, e forse presto della sua disintegrazione, non sono – pur con tutti i loro limiti – il Parlamento europeo, la Commissione, le regole, le burocrazie, oggetto di strali quotidiani. E non lo è neppure, come si sostiene spesso, l’”assenza della politica”. I maggiori responsabili sono loro, i governi nazionali e in primo luogo i capi di governo riuniti nel Consiglio europeo, l’ organo che prende, o non prende, le decisioni cruciali».
E allora?
«La politica c’ è, eccome, ai vertici della Ue. Ma è, sempre più, un’ accozzaglia di ventotto politiche nazionali, portate a quel tavolo da ventotto persone che decidono per l’ Europa avendo in mente non tanto l’ interesse generale europeo – cioè l’ interesse comune dei loro Paesi nel lungo termine – e spesso neppure l’ interesse nazionale del Paese che rappresentano, quanto il loro interesse di partito alle prossime elezioni, anzi al prossimo sondaggio».
Parla di Renzi?
«Renzi ieri all’ assemblea del Pd ha ribadito che “L’ Europa ha bisogno della politica”. Ha ragione. Per fortuna che c’ è la politica».
Lei che cosa pensa, allora?
«Peccato che si tratti di una cacofonia di ventotto politiche nazionali, ciascuna dominata dalla tirannia del breve periodo e gestita da politici che si comportano sempre meno da leader, pronti a sfidare l’ impopolarità, e sempre più da followers, da inseguitori del consenso».
In che senso “followers”?. Lei è molto sarcastico…
«Per molti di loro è quasi più importante imporre la propria narrativa che comprendere davvero la realtà per trasformarla. La crisi dell’ Europa c’ è. Ma le sue radici affondano nella crisi dei sistemi politici nazionali, che del resto sono sempre meno in grado di affrontare efficacemente i problemi e perfino di indurre i cittadini a votare».
L’ ipotesi del Brexit ci dice che l’ Europa è in crisi?
«Penso che alla fine la Gran Bretagna non uscirà dalla Ue e che la Grecia non uscirà dall’ Eurozona. Ma anche se saranno evitati il Brexit e il Grexit, se cioè non avverrà una disintegrazione per distacco di questo o quel Paese, è alto il rischio, per certi aspetti già in essere, di una disintegrazione per implosione, nel senso di passi indietro dell’ integrazione per alcuni o per tutti. Sarebbe un brutto colpo, perché per diverse politiche importanti della Ue – pensiamo all’ unione economica e monetaria o alla libera circolazione delle persone – un’ integrazione che rimanesse a mezz’ asta sarebbe, proprio come avviene per le bandiere, un funesto auspicio».
Siamo vittime delle angherie dell’ Europa del rigore? È giusto sforare alcuni vincoli di deficit per dare respiro alla nostra economia?
«Fino agli anni Novanta, cioè prima che fossero introdotti il mercato unico europeo e l’ euro, l’ Italia aveva ogni anno un disavanzo pubblico tra i più alti in Europa, a volte del 10% del Pil o più, che andavano a sommarsi ad un debito pubblico anch’ esso tra i più elevati».
Però vivevamo meglio, non trova?
«L’ opinione pubblica non se ne rendeva neppure conto. La politica diceva “sì” a tutte le richieste, otteneva il consenso degli elettori e (forse) senza piena consapevolezza appesantiva sempre più la situazione in cui sarebbero venuti a trovarsi, un giorno, gli italiani che allora non erano ancora nati».
Insisto, rispetto ad oggi sembravano anni felici!
«In gran parte, va riconosciuto, l’ Italia poneva in quegli anni, quando non c’ erano vincoli europei, le premesse della grave disoccupazione giovanile di oggi, che molti attribuiscono erroneamente agli attuali vincoli europei.
In realtà, con il mercato unico arrivarono limiti sugli aiuti di Stato, con i quali si erano tenute in vita le imprese in perdita. Con l’ euro arrivarono i “parametri di Maastricht” e il “patto di stabilità”, decisi non da eurocrati grigi e sadici ma dai capi di governo».
Questo non significa che abbiano fatto bene ai cittadini.
«Questi vincoli a volte sono fastidiosi: ma vogliamo ammettere che, prima della loro introduzione, generazioni di politici italiani avevano di fatto derubato i giovani italiani di oggi, per mantenere se stessi al potere? E siamo sicuri che, se la Ue con i suoi vincoli crollasse, non vi sarebbe un lunghissimo brindisi per salutare la resurrezione della “vera” politica, senza intralci da Bruxelles ? E pazienza per i nostri figli e nipoti…».
Non le sembra che dopo sette lunghi anni di crisi la linea del rigore abbia fallito?
«Vengo considerato un fan dell’”austerità”, anche se non credo di avere mai impiegato quella parola. Sarei stato ben lieto se il mio governo non fosse stato obbligato dalle circostanze ad applicare politiche molto rigorose, quelle che la sorte e gli sforzi da noi chiesti allora agli italiani hanno risparmiato ai miei successori Enrico Letta e Matteo Renzi. Ma bisogna intendersi sulle parole, per evitare dispute fumose. Poniamo che il vincolo posto dall’ Europa sia: “Gli Stati membri devono avere un bilancio pubblico che in termini strutturali, cioè sull’ arco del ciclo economico, presenti un pareggio o comunque un disavanzo non superiore agli investimenti pubblici (definiti in modo concordato e con verifiche fatte dalla Ue) effettuati nell’ anno”. Potremmo parlare di austerità imposta dall’ Europa?».
Lei non lo crede?
«Secondo me no. Se anche una regola così definita viene considerata portatrice di austerità, vuol dire che si considera normale, non criticabile, ricorrere all’ indebitamento non solo per finanziare gli investimenti, ma anche per coprire spesa corrente. Per dirla con Paolo Baffi, un non dimenticato governatore della Banca d’ Italia, si considererebbe allora normale che “lo Stato tradisca l’ intenzione di risparmio delle famiglie”, deglutendo quel risparmio in un disavanzo corrente».
Vuol dire che secondo lei non c’ è niente da rimproverare alle regole europee in materia di disavanzi?
«Una cosa da rimproverare c’ è. Le regole finora non riconoscono che l’ investimento pubblico (con le qualificazioni sopra indicate) è importante per la crescita sostenibile. Finanziare un investimento pubblico con l’ indebitamento pubblico (e non solo con un eventuale avanzo corrente) non è una “scappatella” che Bruxelles possa consentire, in quanto peccato veniale, con una dose di flessibilità concessa al Paese. Soprattutto in epoca di tassi di interesse molto bassi, è il non effettuare quell’ investimento pubblico, perché non è consentito finanziarlo in debito, che contravviene ai principi base dell’ Economia sociale di mercato tanto cara ai tedeschi – e, lo confesso, a me – perché così si penalizzano le generazioni future, che il patto di stabilità intende invece tutelare».
Sembra molto affezionato a questa convinzione…
«Questa è una battaglia che conduco da molto tempo. Finora senza successo, da economista e da commissario europe; con parziale successo da presidente del Consiglio. Dopo molta nostra insistenza, la Commissione e il Consiglio accettarono nella primavera del 2013 una “clausola di flessibilità”, per alcuni investimenti pubblici effettuati da Paesi non sottoposti a procedura per disavanzo eccessivo, procedura dalla quale l’ Italia uscì qualche settimana dopo».
Lei vuol dire che chiedere più flessibilità è un errore.
«Spero che l’ Italia, con la volontà di cambiamento del presidente Renzi e con l’ autorevolezza in Europa di cui gode il ministro Padoan, voglia concentrare su questa partita degli investimenti la sua pressione, più che disperderla in una richiesta a largo spettro di “flessibilità” che rischia di proiettare un’ immagine sbagliata, se vogliamo in realtà regole economicamente migliori, più che la possibilità di non rispettarle pienamente».
Renzi sta combattendo contro le pretese illegittime di un partito filotedesco? Esiste davvero in Europa un partito filotedesco ed antititaliano?
«L’ Italia, in Europa e nel mondo, attira molte simpatie, non certo inferiori a quelle attirate dalla Germania. La Germania è considerata un Paese più forte, e appartiene alla natura umana essere o mostrarsi vicini al più forte».
Detto così non è una immagine virtuosa!
«La mia convinzione profonda, peraltro, è che il Paese europeo che più auspica un’ Italia stabile, prospera, europea e, se posso aggiungere, seria, sia proprio la Germania. Un’ Italia così viene rispettata dalla Germania, oltre che da tutti gli altri. Anche la Germania, soprattutto la Germania, ha interesse ad un’ Italia di questo tipo. Un’ Italia sfibrata e instabile potrebbe forse venire “colonizzata” dalla Germania, ma credo che a Berlino prevarrebbe una grande preoccupazione».
Si può abolire l’ Imu? Ce lo possiamo permettere?
«So bene che è una imposta impopolare. Ma c’ è in quasi tutti i paesi d’ Europa. Si può provare a toglierla, è vero: ma finché non si riduce la spesa pubblica può essere pericoloso. Magari se ne toglie una parte, e poi si finisce inevitabilmente per rimetterla. Quindi prima bisogna ridurre il deficit!».
Renzi ha attaccato anche lei all’ assemblea del Pd: i tecnici che hanno creato i problemi – dagli esodati al fiscal-compact, alle tasse sulla casa, al bail in – adesso pretendono di dettarci le soluzioni. Le hanno fischiato le orecchie?
«Ho ascoltato l’ intervento di Renzi con molto interesse. Non riprendo alcuni tratti che potrebbero sembrare uno scaricabarile, esercizio che non credo sia nelle intenzioni del presidente Renzi, in quanto non degno di due persone che sono state richieste, o hanno chiesto, di guidare un governo.
Una sola osservazione su un tema generale e più importante. Fatico a capire la perdurante contrapposizione tra politici e tecnici. Per parte mia, sono sempre stato convinto che il potere di decisione debba essere esercitato dai politici. Sarei preoccupato se il politico abdicasse alla sua responsabilità di decidere. Sarei altrettanto preoccupato se, nel preparare le sue decisioni, il politico ritenesse che la competenza e l’ esperienza, proprie o apportate da chi politico non sia, siano superflue o addirittura nocive».
LUCA TELESE
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