Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

«Il segretario rischia di finire sotto il tram»

Matteo Renzi? Nella notte di Torino, mentre parla dentro il suggestivo capannone dismesso di Mirafiori, tra architetture industriali e bandiere rosse, in una assemblea organizzata dalla Fiom, Pier Luigi Bersani racconta per la prima volta come lui vede – oggi – la partita a sinistra. Disegna un’ analisi disarmante della traiettoria del Pd, con accenti di incredibile sincerità, e con il lessico diretto, colorito, a tratti persino brutale, del bersanese. È quasi mezzanotte: l’ ex segretario cesella una sintesi spiazzante: «Vedete, il Paese Renzi se lo è già messo alle spalle. L’establishment no.
Vuole succhiare l’ orso fino all’ ultimo». Risate diffuse, accenno di applauso. Bersani non si ferma e continua, un po’ ironico un po’ immaginifico: «Dopo il voto Renzi deve stare attento. Questi possono andargli addosso con il tram!».
Una frase choc che arriva dopo una ragionata disamina dei retroscena che hanno prodotto la rottura. Un’ analisi politica e autobiografica fatta davanti a una platea amica. Gli operai e i sindacalisti ascoltano Bersani, lo applaudono per la franchezza. Qualcuno – voci isolate – chiede più radicalità sulle pensioni. L’ ex segretario interloquisce sul palco con Giorgio Airaudo, deputato di Sinistra italiana, che viene dal sindacato. È come se simbolicamente Bersani approfittasse dell’ occasione per ricucire con un pezzo di mondo operaio che non lo incontrava da tempo. La posta in gioco è alta: grande è il disordine sotto il cielo tra il Pd e i suoi ex compagni. Da una lato gli strappi continui di Giuliano Pisapia che vuole trascinare Mdp verso Renzi separandolo da Sinistra italiana. Dall’ altro l’ assemblea del Brancaccio (il movimento guidato da Tomaso Montanari e Anna Falcone) che non accetta i diktat dell’ ex sindaco di Milano e minaccia di promuovere una lista con Sinistra italiana se l’ embargo continua. Retroscena ignoto ai più: Pisapia non ha concesso ai portavoce del Brancaccio il microfono nella sua kermesse di piazza Santi Apostoli. Il messaggio è arrivato a segno.
Così, dopo i primi entusiasmi la linea filorenziana di Pisapia ha raffreddato le simpatie degli altri compagni di strada. Il vaso si è rotto dopo la presa di posizione dell’ ex sindaco contro Claudio Fava (candidato dei bersaniani in Sicilia), preceduto da un endorsement per l’ alleanza tra Pd e alfaniani, e seguito da una nuova giravolta: né con i primi né con i secondi.
Un pasticciaccio che determinerà il modo in cui la sinistra si presenterà alle elezioni politiche. Quale? Fosse un pronostico del Totocalcio, sarebbe 1-X-2 perché il rischio è che si presentino da una a tre liste. Una, tutti insieme. O due, una con Campo progressista-Mdp-Sinistra italiana e l’ altra, fatta da Pdci e «brancaccisti».
O forse tre: da un lato Mdp e Campo progressista, dall’ altro la Sinistra italiana e i «brancaccisti» e infine anche la lista Comunista.
In questo scenario la presa di posizione di Bersani a Torino si fa netta: «Andare con tre liste, ma anche con due, sarebbe da matti!». E poi: «Bisogna cercare», osserva Bersani, «di mettere a sintesi tutti in una sola lista». E infine: «Metti anche che qualcuno si sfili… Insomma, dev’ essere chiaro che il corpo grosso di questa operazione non deve dividersi».
Poi spiega la rottura di Mdp e le ultime scelte: «Renzi», dice l’ ex segretario, «è partito da un’ idea sbagliata: i voti di sinistra già ci sono, quelli di destra ce li andiamo a prendere. Le elezioni europee lo avevamo confermato in questa sua idea». Bersani si fa ironico: «Renzi ci raccontava che la destra era un pugile suonato. Si è rivelata un’ idea balorda. Erano come quei pugili che nel momento di difficoltà si abbracciano. E che quando tornano in forze ti mollano giù un cazzotto che ti ribalta». Poi, quasi professorale: «Bisognava forse sapere che la destra in questo Paese è nata storicamente prima della sinistra. E se gli tiri la volata vincono». Perché tante sconfitte? «L’ elettorato di sinistra si è piantato come quei cavalli che non ne vogliono sapere più di correre. Nel 2014 in Emilia Romagna è andato a votare il 37% della gente.
Nel 2015 si è perso in Liguria e si è preso una botta micidiale in Veneto. Nel 2016 Torino e Roma… Pensate ai ballottaggi: prima li vincevamo tutti. Invece, solo nel 2016, ne abbiamo persi 19 su 20! Nel 2017, ve lo ricordate, Renzi ha perso dappertutto: ma quando tu perdi a Sesto San Giovanni, a Pistoia e a Budrio, dove vuoi andare?
Mai una riunione in cui si dicesse: cosa è successo? E noi qui eravamo sempre in coalizione, leali con il centrosinistra unito». A La Spezia, spiega amaro, «ho chiuso io, non ci voleva andare nessuno: tutti quelli del Pd si erano fatti di nebbia!». Sarcasmo: «Lo vede anche un bambino cosa è successo: la destra i suoi riesce a portarli a votare, noi no!». Come mai? «Evidentemente il centrosinistra a traino Pd e il Pd a traino renziano il nostro popolo non lo vota più. Perché è antipatico? No! Per i provvedimenti, per le scelte fatte».
E qui si arriva al punto di non ritorno: «Il Paese profondo Renzi se lo è già messo alle spalle. L’ establishment no.
Perché vuole mungere l’ orso fino all’ ultima goccia». Risate, curiosità, spiegazione: «L’ Italia», dice Bersani, «è fatta così, abbiamo una borghesia che non ha tagliato la testa al re: non ha un codice proprio. C’ è un opportunismo dilagante.
Ma il giorno dopo il voto, quando sarà davvero spalle al muro, Renzi dovrà stare attento.
Perché possono anche andargli addosso con il tram: a passare dal servo encomio al codardo oltraggio qui ci si mettono due nanosecondi. Sta venendo su un’ opinione di destra, la famosa mucca nel corridoio». Così a questo punto si arriva a Fava e alla Sicilia: «È curioso», spiega, «che ci dicano: ma se fate così in Sicilia vince la destra! Sono tre anni in Sicilia che vince la destra!».
Ecco perché sarà il voto nell’ Isola a decidere il destino della sinistra.

LUCA TELESE


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