Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Rinaldi: “La mia vittoria per Lillo e per i bimbi indifesi come lui”

Economista. Sovranista. Leghista. No euro. Ma Antonio Maria Rinaldi è soprattutto un padre che da 25 anni lotta per rendere accettabile la vita del figlio tetraplegico. «Dedico a lui la mia elezione a Strasburgo. Perché ho visto l’abisso e non me lo scordo».

Nella settimana di passione della letterina, onorevole Rinaldi, lei è la persona più indicata per spiegarci cosa succede con la Commissione europea.
(Sorriso). E perché?

È un economista. È un sovranista. Non le manca nulla.
Non hanno bisogno di me. Sono così bravi loro a fare incazzare gli italiani. Aggiungere qualcosa alla disastrosa performance di Moscovici mi pare pleonastico.

Lei si mostra molto sicuro di sé. Tuttavia molti italiani si chiedono se la Commissione abbia ragione, non lo neghi.
La risposta migliore è che noi non polemizziamo con chi ha gli scatoloni di cartone in mano.

La minaccia però -cartoni o no- è una procedura di infrazione. Non è preoccupato?
No. In Italia persino per il presidente della Repubblica esiste il semestre bianco. Questo intervento a gamba tesa a fine mandato è una follia. Non è opportuno e non ha senso. Stanno andandosene.

Si vede che questa settimana lei non ha letto i giornali.
Uhhh! Si figuri… Gran parte del successo della Lega alle Europee sarebbe inspiegabile se gli italiani dessero retta ai giornaletti e alle tv.

Bene. Ma mi spieghi senza giri di parole cosa risponde a Juncker e Moscovici.
L’Italia ha bisogno di ripartire con la crescita, non di proseguire con l’austerity. Non importa l’entità del debito, conta il nostro rapporto con il Pil. E noi dobbiamo aumentare il Pil. Per farlo occorrono investimenti, e dunque spesa. Più facile di così!

Voi sforerete il 3 per cento, lo dice la Ue.
Non è vero. È una lettera molto pretestuosa. Anche nelle modalità: la richiesta di risposta in 48 ore mi ricorda gli ultimatum delle cannoniere dell’Ottocento.

Non servono riposte rapide?
A me sembra che abbiano fretta di avvelenare i pozzi.

 

Lei è un sovranista doc. Ma non si pone il problema del debito?
Bisogna ricordare a tutti che noi ci siamo entrati in Europa con un rapporto debito/Pil del 100 per cento. Lo sapevano che la sposa non era illibata o fingono di scoprirlo adesso?

Contesta i parametri?
E perché no? Se si contasse il debito privato l’Italia sarebbe uno dei Paesi più virtuosi.

Però negli europarametri non si tiene conto di questo fattore.
Perché dovrebbero ricordare che una bazzecola, come la crisi di Lehman, nasce dalla crisi del debito privato.

Voi sovranisti siete andati peggio del previsto? Ah ah ah. Faccio parte del primo partito d’Europa. Abbiamo 29 deputati come la signora Merkel. Ma più voti di lei. Non malissimo, direi.

Però non siete determinanti per il governo.
Visto la coalizione-ammucchiata che preparano a Strasburgo meglio essere all’opposizione.

Questo significa che la prossima maggioranza ci sarà nemica?
Spero di no e conto sulla loro intelligenza. Un’Italia forte conviene a tutti. Un’Italia debole non conviene a nessuno. A parte i signori degli scatoloni che hanno più successo in Italia che a casa loro, dove non li vota più nessuno, lo sanno tutti.

Quindi noi non abbiamo colpe?
Uhhh… le dico la principale responsabilità. Dopo la caduta del Muro di Berlino, in vent’anni, sia Germania che Francia, hanno avuto due presidenti, mentre noi cambiavamo 14 presidenti del Consiglio.

Bene, mi dica la prima cosa che farà.
Noi daremo battaglia alla governance e chiederemo di riscrivere le regole in modo più sensato.

E sa già quale sarà la prima cosa che dirà?
Cercherò di essere molto collaborativo. Ma chiederò scusa ai nostri padri greci per quello che hanno subito. L‘Europa in Grecia ha fatto macelleria sociale.

Lei si sente antitedesco?
E come potrei? Mia moglie è tedesca, metà della mia famiglia è tedesca, i cognati con cui mi metto a tavola nelle feste lo sono: parlo e amo la lingua di Goethe. Ma so distinguere tra le responsabilità dei governi e quelle dei popoli.

Draghi giovedì scorso ha parlato espressamente contro i mini-bot.
E ha fatto male. È una via pratica per mettere fine allo scandalo dello Stato che non paga i suoi debiti.

Ma è sicuro che sarebbero accettati dal mercato?
Senta, è molto semplice, è una partita di giro. Io ho un credito di 10 mila euro. Lo Stato mi dà un buono da 10 mila euro. E io con quello pago le tasse per 10 mila euro. È una cosa civile.

Ma voi li avete immaginati come banconote: crede che possano avere anche circolazione monetaria?
Nei supermercati accettano i buoni pasto. Perché non dovrebbero accettare i mini-bot?

Secondo Mario Draghi creano debito aggiuntivo.
Se li ricorda i gettoni di ottone degli anni Settanta? Venivano usati al posto delle 100 lire. Secondo lei creavano debito?

Lei sta parlando di cifre mostruose, quelle del debito dello Stato nei confronti dei cittadini.
E io vorrei che si parlasse dello scandalo di questo debito non pagato. E non del presunto scandalo dei mini-bot.

Perché mettete questo argomento in campo proprio ora?
Sono cinque anni che ne parliamo. Ci abbiamo fatto la campagna delle elezioni politiche, lo abbiamo messo nel contratto. Si può stupire che se ne parli solo uno che stava su Marte!

È stata appena votata una mozione in Parlamento.
Ah, questa è da cineteca.

Quale?
L’opposizione capitanata dal Pd ha fatto discorsi di fuoco contro i mini-bot. E poi che succede?

La mozione Baldelli è passata all’unanimità.
E questo la dice lunga sui parlamentari del Pd.

Hanno spiegato d’aver votato per errore.
Peggio mi sento! E questi sarebbero «i competenti»? Povera Patria.

Non prende sul serio i discorsi di Padoan e Marattin contro i mini-bot?
No. E considero quel voto a favore una prova al contrario. Significa che nei cinque anni precedenti non avevano capito nulla.

Anche a lei sarà capitato di sbagliare. Loro però hanno sbagliato tutto. Dalla firma del Bail-in al pareggio di bilancio in Costituzione, c’è stato un filo conduttore nel Pd di governo Renzi-Letta: l’autolesionismo.

Antonio Maria Rinaldi è il decano dei sovranisti italiani. Insegnava all’Università di Pescara e alla Link di Vincenzo Scotti a Roma. L’imperfetto, nel primo caso, è dovuto al fatto che [come racconta in questa intervista] quest’anno è stato allontanato dalla prima cattedra. Discepolo di Paolo Savona, estensore materiale del famoso «Piano B», ex dirigente Eni (e orgoglioso di esserlo) viene da una famiglia agiata ed è diventato un volto fisso delle battaglie nei talk show, recordman di preferenze dietro a Salvini nella Lega. È un uomo di mondo, romano con il gusto della battuta greve, spiazza e mi commuove quando dice – nel modo che leggerete – di voler dedicare la sua vittoria al figlio maggiore disabile

Cosa è accaduto a Pescara?
Nulla. Dopo sette anni di conferme come docente a contratto la nostra straordinaria preside, Anna Morganti, è andata in pensione. E chi è arrivato? Un signor nessuno di cui ora non ricordo il nome.

Addirittura. È arrabbiato con lui perché non è stato confermato?
No, per il modo. Nella vita lo stile conta. Io l’ho saputo dal bidello. Chiamavo per il calendario e mi fa: «Guarda che non ci stai. Non ti hanno rinnovato».

È stato perle sue idee economiche?
Secondo lei? Meno male che c’è la Link di Scotti.

Gli avversari le rimproverano il padre banchiere e dicono: «Questo fa il sovranista».
(Ride di gusto). E che doveva fare? Il salumiere? Pensi, è stato l’uomo che mi ha gettato nel mondo reale. Al contrario di Padoan sono uno che fa sempre la spesa e conosce il prezzo del latte.

Da suo nonno ha ereditato una vecchia casa di famiglia ribattezzata «il Quirinale di sovranisti», per via dello status e delle frequentazioni.
Spesso abbiamo delibato con Borghi e Bagnai. Non era una serata degna se non si finiva in giardino con sigaro e prosecco.

Alessandro Rossini, padre di sua madre, era pronipote del noto compositore.
A suo modo un geniaccio, pure lui. Possedeva quote sia della Ansaldo che della Caproni, due industrie aeronautiche convertite alla produzione bellica durante la seconda guerra mondiale.

Era ricco?
Lo era divenuto negli anni Venti e Trenta pur rimanendo antifascista.

Mica facile.
Infatti non poteva durare. Nel 1943 deve fuggire in Svizzera, attraversando fronti e frontiere in macchina. Un’odissea.

Perché?
Chiedevo a mia madre, che mi raccontava tutti i dettagli di questa impresa: «Come ci riuscì?». E lei, ridendo: «Aveva una valigetta magica, caro». Era piena di contanti. Ehhhhh…

Sempre utilissimi. Mio nonno pagava 5 mila franchi di cauzione ai tedeschi per ogni amico ebreo sottratto alle loro mani in territorio elvetico.

La valigetta magica è ancora qui?
Magari! Se non dovessi pagare l’Imu sarei un uomo ricco. Ma la mia storia professionale e familiare mi hanno regalato una grande fortuna: non sono mai stato ricattabile. Mai!

Avete rinunciato al Piano B perché siete al governo e apparite moderati?
Il Piano A e il Piano B dovrebbero averli tutti i Paesi. L’Italia, se mai dovesse uscire dall’euro, non lo farà per sua volontà ma perché costretta da una implosione di sistema.

Quindi il Piano B scatterà?
Le ripeto: hanno messo in mare una nave senza le scialuppe.

E lei prevede un naufragio?
Potrebbero esplodere delle nuove tempeste. E non ci sono governance adeguate per evitarle.

Se ci fosse Renzi le darebbe del gufo.
Lasci perdere il povero Renzi e ascolti, il dato è questo: quando scoppiò la bolla dei subprime nel mondo c’erano 4.800 miliardi di titoli spazzatura.

E oggi che hanno fatto pulizia?
(Risata sonora). Ce ne sono il doppio, 9.600. Questo è un indice reale del fallimento delle politiche comunitarie. Hanno messo la museruola agli Stati, ma la finanza fa quello che vuole.

Salvini ha fatto esplodere lo spread
È una cazzata colossale.

Ah, britannico!
Io sono un vecchio tecnico di Borsa, facevo l’operatore, e so perfettamente che si possono muovere i prezzi in una direzione o nell’altra. Hanno coperto la speculazione con le parole di Salvini.

Può provarlo?
Non ancora. Perché nel mercato obbligazionario fino a oggi non esiste l’obbligo di comunicazione delle vendite agli organi di controllo entro 24 ore.

E quindi?
Ci abbiamo messo un anno per sapere che nel 2011 la crisi fu innescata dalle vendite di Deutsche Bank dei Btp.

Crede davvero che ci siano regie nelle fluttuazioni dello spread?
Se potessimo tracciare in tempo reale chi fa ballare i titoli di Stato avremmo delle sorprese.

La sua prima vita professionale lei la trascorre all’Eni.
Ero direttore generale della capogruppo finanziaria dell’Eni nel 1992. È come essere stato nei marines.

In che senso?
Montavo e smontavo obbligazioni con la stessa velocità con cui certi ragazzi compongono il cubo di Rubik. Quando leggo certi bocconiani presunti tecnici, che dicono «sono i mercati che bocciano l’Italia», non so se ridere o menare le mani.

Meglio ridere.
In quegli anni ho fatto tutto: quotazioni di società pubbliche, di aziende, di titoli. Di che parlano? Il mercato, come se fosse un fattore atmosferico, non esiste.

Perché dice che dedicherà la sua vittoria a suo figlio?
Il mio primogenito Rodolfo, detto Lillo, ha subito gravi lesioni cerebrali durante la gravidanza.

Non lo aveva mai raccontato.
Non sono cose di cui si può parlare in una campagna elettorale. Adesso che tutto è finito posso.

Cosavi avevano detto, quando avete avuto Lillo?
È nato prematuro, tetraparesi spastica. Ricordo gli sguardi cupi dei dottori. Le parole lente e dosate. Le diagnosi apparentemente asettiche ma terribili. Le parole scandite: «Non vivrà».

C’era il rischio che morisse?
Si. Abbiamo convissuto con la malattia e con questo incubo. C’è voluta la forza di una famiglia, e di una madre, perché questo destino scritto non si realizzasse. Lillo fin da piccolo vive in sedia a rotelle. Aveva crisi continue, di tipo epilettico. Ci sono stati anni in cui non abbiamo mai dormito, non una sola notte.

Per la preoccupazione.
No. Perché quando perdeva il controllo dava testate al muro, e poteva farsi male. Angoscia tremenda. Ricordo quando scendevo a gonfiare materassini da mare per foderare le pareti della stanza. Il cuore in gola, la paura di non fare in tempo.

E poi?
Aveva le apnee. Comprai una sofisticatissima macchina di alert. Quando Lillo ha superato questo incubo l’abbiamo donata al Gemelli. Oggi la tecnologia la rende accessibile a tutti.

E per curarlo avete lasciato l’Italia.
Nel 1999. Eravamo disperati. Lo iscrivemmo in una prestigiosa scuola di riabilitazione nell’hinterland di Monaco, sul lago di Starnberga, venti chilometri dalla città. Un paradiso.

Luoghi meravigliosi.
Si, ma di inverno fa un freddo cane. Meno venti gradi e una pressione psicologica tremenda.

Perché?
Ci si iscriveva come famiglie. Si era messi alla prova come famiglie. Ricordo la prima seduta di questo corso, con trenta madri, trenta figli e trenta padri. È durata tre anni. Alla fine dei tre anni, dei padri ero rimasto solo io, «l’italiano». Mia moglie dice sempre che mi ama per questo.

Ha ragione.
Ma io capisco quei distacchi perché era un enorme sacrificio, a cui gli uomini non sono preparati. A noi ci aiuta il cattolicesimo, anche solo come retroterra culturale. Nell’etica protestante sei tu solo davanti al destino.

E le madri?
Le madri danno la vita, e quando si arriva ai minimi termini mantengono questo legame carnale, ombelicale, bellissimo e sacro con i figli.

E i padri?
Tu hai sempre un momento in cui ti senti abbandonato, inutile e perso.

Però lei non ha mollato.
Non ho mai avuto questo impulso. Per come l’abbiamo vissuta, per il cemento di coppia che ci ha unito con mia moglie. Era la nostra missione e io ero uno programmato per non fallire.

Faceva su e giù con l’Italia.
Avevo il benessere, un lavoro che me lo consentiva. Ho macinato migliaia di chilometri tra Italia e Germania.

E sua moglie Gabriela?
Detta Gabi. Origini prussiane, capisce? Lillo ha avuto la fortuna di una madre temprata nell’acciaio. Ma non solo lui.

Parla delle altre famiglie?
Ci conosciamo tutti. Abbiamo condiviso ospedali, compleanni, sofferenze e gioie.

Mi faccia un esempio.
Penso a una nostra amica romana, Laura, che ha dato battaglia alla Pubblica amministrazione per un ascensore in una scuola. E ha vinto. Non per lei, per suo figlio. Per tutti.

E oggi Lillo come sta?
Ha 25 anni. E abbiamo trovato un equilibrio psicologico.

È anche bello.
Ogni volta che lo guardo e mi sorride, un flash. Ricordo quando mi dicevo che sarebbe morto a breve. Mi sento l’uomo più felice del mondo

Avete fatto tutto per lui.
Chi non le ha passate queste cose non le può capire. Penso alla forza titanica di mia moglie, che si è caricata il mondo sulle spalle… ma è Lillo che salva noi, non il contrario.

Lei è un padre anziano. Pensa mai al dopo-di-me?
Se ci penso? Ogni giorno. Stiamo crescendo un altro splendido figlio, Antonio, che oggi ha 18 anni dicendogli: tu devi essere felice, perché ne hai diritto, ma non essere mai spensierato, perché non puoi permettertelo.

E Lillo?
È più gestibile dal punto di vista comportamentale. Ora sta al don Orione. Vive meglio.

Perché raccontiamo proprio adesso tutta questa storia?
Perché ci sono tanti Lillo in Europa che sono tra i più deboli, senza colpe. Tanti che sono indifesi e pagano il prezzo delle crisi. Tanti bambini che in Grecia, nelle periferie delle grandi città hanno pagato la crisi. Tante famiglie lasciate sole.

Perché ci pensa oggi?
Gli economisti di carta che giocano con i numeri non pensano mai alle vite che ci sono dietro i Lillo. Io ho visto l’abisso e non me lo scordo. Il mio impegno in Europa è anche per lui. Per tutti quelli come lui.


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