Luca Telese

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Luca Telese
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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

La mia casa per i migranti. Intervista a Nicola Fratoianni

Nicola Fratoianni ha ipotecato l’abitazione dove vive per diventare l’armatore e il garante di Mediterranea. «Altro che centri sociali» dice l’onorevole a Panorama. «Quella nave è finanziata dai soldi miei e della mia famiglia».

Onorevole Fratoianni buongiorno. Parlo al politico o all’armatore di Mediterranea?
Se c’è del sarcasmo nella sua domanda, la risposta è: «a entrambi». Anche se tecnicamente, per quel che riguarda Mediterranea, io sono piuttosto un garante e sostenitore.

Salvini ha detto: «Mediterranea è la nave pagata dai centri sociali».
(Sorriso). Visto che Salvini è un ex frequentatore di centri sociali, e che quella frase era sprezzante, non capisco se si tratti del classico rancore dell’ex o di un problema personale.

Bella battuta. Però non ha risposto alla mia domanda.
Non ci sono «i centri sociali» tra i nostri finanziatori, né soggetti organizzati: solo cittadini sottoscrittori che si sono tassati fino a superare 809 mila euro di sottoscrizione per una operazione che ha solo fini umanitari.

Il ministro dell’Interno ha anche detto: «Mediterranea è la nave pagata con i soldi della sinistra radical chic».
(Sorriso). Anche questa affermazione, battuta a parte, è concettualmente sbagliata. Quella, casomai è la nave finanziata dai debiti della sinistra.

Cosa significa?
Nel mio caso, e in quello degli altri tre tra parlamentari ed ex parlamentari che hanno promosso la missione, il finanziamento è gravato da una ipoteca, una garanzia econornica.

Cioè?
Banca Etica, che ci ha anticipato i capitali per comprare la Mare Ionio ha – giustamente – richiesto una garanzia da parte dei promotori. Per quel che riguarda me, sono soldi miei e della mia famiglia, la casa dove vivo.

È legittimo secondo lei che un politico si tassi per dar vita a una Ong?
No, è sbagliato.

Sta scherzando?
Sono serissimo: noi non avremmo mai voluto promuovere un’impresa di questo tipo. Siamo stati costretti a farlo dopo che tutti gli altri che avrebbero dovuto organizzare i salvataggi hanno abbandonato il campo.

Perché siete intervenuti?
Gliel’ho già detto. Perché la gente moriva in mare e non c’era nessuna delle istituzioni preposteal compito che si dedicasse a questa missione.

State «favorendo l’immigrazione clandestina verso l’Italia», come dice il ministro dell’Intemo?
Stiamo provando a salvare quelli che altrimenti morirebbero nel tentativo di scappare dalla Libia. Molti muoiono lo stesso, perché noi, o gli altri, non riusciamo ad arrivare in tempo.

Questa è una esagerazione.
La Alex, giovedì scorso, prima dei naufraghi ha trovato il relitto di un gommone. Quantisono morti in quel naufragio? 50? 80 tra uomini donne e bambini? Non lo sapremo mai.

Ma perché portare tutti i naufraghi solo in Italia?
Questa affermazione è sbagliata.

È un dato di fatto.
Li portiamo nel porto più sicuro e più vicino al posto in cui li troviamo. Nel caso di Alex, la barca a vela che ha raccoltogli ultimi 54 naufraghi, Malta era più lontana e Tripoli non è una destinazione sicura.

Se escludete anche la Tunisia, come avete fatto, l’unica destinazione possibile rimane l’Italia.
La Tunisia, per noi, non garantisce le condizioni e i diritti dei migranti recuperati in mare. Ma, se fossimo vicini a Marsiglia, li porteremmo in Francia.

Sicuro?
Il nostro obiettivo non è portarli in un determinato Paese, ma salvarli e metterli al sicuro. Fino a ieri persino l’ex ministro Marco Minniti sosteneva che la Libia fosse sicura. Ora vedo con piacere che una parte del Pd si ricrede.

Il vostro vero bersaglio è questo governo, e usate i naufraghi come arma per colpirlo?
Assolutamente no. Io negli ultimi dieci anni ho contestato le politiche migratorie di tutti i governi. A partire da quelli di Minniti e dei governi di centrosinistra. Sono i libici, semmai che usano gli ostaggi come scudi umani!

Sostenete indirettamente l’Europa, che non vuole le ripartizioni dei naufraghi?
Siamo critici con loro quanto con il governo italiano. Chiediamo che sia rivisto al più presto il regolamentodi Dublino.

Non avete protestato quando veniva votato, però.
Al contrario: ero d’accordo come Emma Bonino che ha denunciato come immorale ogni baratto tra la flessibilità ottenuta da MatteoRenzi e l’accettazione dell’Italia come primo e unico approdo.

La vostra nave-madre, la Mare Ionio, attualmente è ancora sotto sequestro da parte della magistratura.
Il frutto di una folle guerra, contro le Ong, che segna un ribaltamento assurdo della realtà.

Lei lo contesta?
Secondo il decreto Sicurezza bis, chi si impegna a salvare le vite diventa un criminale. Chi li respinge è virtuoso. Ovviamente è il contrario, in entrambi i casi.

Lei è un parlamentare della Repubblica che invita alla disobbedienza civile contro la legge italiana?
Sono convinto che la legge del mare e le convenzioni sui diritti umani siano superiori alle leggi appena varate da questo governo in contrasto con i principi che abbiamo sottoscritto.

E questo chi lo dice?
Lo hanno riconosciuto, per esempio, anche le motivazioni della sentenza del Gip AlessandraVella.

Lei sta usando i migranti per avere visibilità politica?
Al contrario. Io sto facendo politica, e ho promosso Mediterranea – come dice lei – perchè penso che salvare la vita siano il bene più importante. Se ci fossero la figlia di Salvini, o lui stesso in mare, farei esattamente lo stesso.

Lei passa più tempo sulle navi che davanti alle fabbriche dove ci sono gli operai italiani in crisi, come dice Salvini?
Ah ah ah… Ho passato così tanto tempo davanti alle fabbriche italiane, a qualsiasi ora del giorno e della notte, che forse avrei bisogno di altre due vite, per pareggiareil conto!

Salvini ha detto che lei, e gli altri quattro parlamentari saliti con lei sulla Sea Watch, stavate facendo «una vacanza».
Salvini, quando parla così, è solo un miserabile.

Perché non gli risponde?
Perché solo stato venti giorni di fila sulla Open Arms. Quindici sulla Mare Ionio. E sono salito a bordo della Sea Watch, quando era bloccata, solo per tutelare l’equipaggio e i naufraghi.

«Un parlamentare» si è chiesta Giorgia Meloni «cosa ci fa a bordo di una nave in stato di fermo»?
La stessa cosa che fa in un carcere. Controlla. La «funzione ispettiva» significa dare voce a chi non ce l’ha, e occhi a chi non può vedere. Il primo motivo per cui non ci vogliono nel Mediterraneo è perché siamo testimoni sgraditidi quel che sta accadendo.

Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, a sinistra è stato il protagonista indiscusso della scorsa settimana. È l’uomo che contesta la politica del governo, promuove una delle missioni di soccorso, raccoglie fondi e dà battaglia al governo. Durante il question time di mercoledì 3 luglio ha regalato (polemicamente) un disegno di suo figlio Adriano, sei anni, al ministro degli Interni. Salvini dai banchi del governo ha risposto con dei «bacioni», facendo scoppiare la rabbia delle opposizioni.

Da che famiglia viene, Fratoianni?
Mio padre e mia madre erano entrambi professori. Si sono conosciuti all’università.

Che tipi sono?
Mia madre Anna è una che si carica sempre il mondo sulle spalle, si preoccupa di tutto e di tutti. Mi ha trasmesso il senso della cura.

E suo padre?
Era professore di filosofia, poi ha vinto il concorso da preside. Si chiama Aldo, viene da Ururi, in provincia di Campobasso, ed è un maniaco della lettura, un divoratore seriale di libri.

Mi faccia un esempio di cosa intende.
Ne ho uno perfetto. Quando avevo dieci anni, l’anno in cui Zìco arrivò in Italia, io lo pregai in ogni modo di prenderei biglietti e portarmi a vederlo allo stadio a Pisa, dove abitavano.

E lui rifiutò?
Nooohhh… Lo stadio ovviamente era stracolmo, e lui, non sapendo nulla, prese i biglietti del settore ospiti.

Risultato?
Una scena surreale: io, mia madre e lui in mezzo agli ultras bianconeri.

Come «in mezzo»?
Letteralmente. Si immagini mille ultras dell’Udinese, io, un bambino con la sciarpa del Pisa al collo, e lui che imperturbabile, passa tutta la partita con la testa china a leggere un libro di filosofia, forse di Kant.

Sembra uno scherzo.
Credo che solo per questo motivo non ci abbiano picchiato.

Tuttavia Enrico Mentana dice scherzando: «Condivido una delle grandi battaglie perdentidi Fratoianni».
(Ride). La politica non c’entra. Si riferisce ovviamente all’Inter di cui sono diventato tifoso dopo il 1982. Una causa disperata, direi, visto l’ultimo decennio.

Dove studia?
A Pisa: al liceo scientifico sperimentale Buonarroti.

Faceva politica da ragazzo?
Sì, con i collettivi studenteschi.

Quanto ha preso alla maturità?
Non ero un secchione ma me la cavavo: 52 sessantesimi.

Suo padre è stato severo?
No, ma ha fatto il padre. Si imponeva a modo suo. Entrava nella mia stanza con un pila di libri. La piazzava sul tavolo e mi diceva: «C’è tutto quello che serve per capire ciò che sto studiando».

Da piccolo cosa voleva fare?
L’astronauta. Ma erano i desideri di un bambino.

E poi?
Mentre studiavo ho sempre pensato che avrei fatto l’insegnante.

Come mai?
Ho sempre notato come ci siano persone con competenze enormi, ma incapaci di trasmetterle. Ero affascinato dall’idea di fare il contrario.

Ma inizia subito a fare politica.
Mi sono iscritto all’Universita di Pisa. Sono stato eletto rappresentante di facoltà con i collettivi universitari.

Poi si iscrive a Rifondazione comunista.
Nel 1992, quando Bertinotti diventa segretario. Poco dopo il nostro collettivo si trasforma in una sezione del partito.

Il primo dirigente con cui ha a che fare?
Marco Rizzo, che era stato nominato coordinatore dei giovani dalla direzione. E poi Gennaro Migliore, il primo responsabile dei Giovani comunisti. Lo segue Peppe De Cristofaro e poi vengo eletto io.

In tutto questo, a 29 anni lei riesce a laurearsi.
Con una tesi su Louis Dumont, un antropologo francese che ha studiato le caste indiane e scritto due tomi decisivi: Homo hieraticiis e Homo equalis. Ci sono riuscito in modo incredibile.

Cioè?
Il 21 agosto 2001 stavo andando a fare un dibattito con Giuliano Giuliani e un dirigente del Siulp.

E cosa succede?
Non ci arriverò mai. Per strada ci viene addosso una macchina. Sono dal lato dell’impatto e il femore mi si rompe in cinque pezzi.

Finisce in ospedale.
Con una diagnosi di 90 giorni. Avevo fatto tutti gli esami. E cosi mio padre mi regala un portatile e mi fa: «Non puoi perdere questo tempo. Usalo per scrivere la tesi».

Sant’uomo.
Ho fatto come diceva lui e ho preso 110 e lode. Laurea in stampelle.

Poco prima c’erano stati i giorni di Genova.
All’epoca ero responsabile nazionale organizzazione dei Giovani comunisti. In seguito ho conosciuto il giovane Alexis Tsipras.

Lui c’era?
Pochi se lo ricordano, ma Alexis e il suo gruppo furono intercettati sul traghetto, manganellati e rispediti in Grecia.

Era con gli anarchici?
Macché! Con i giovani del Synaspismos, la coalizione dei movimenti per l’ecologia. Ovvero il piccolo nucleo intorno a cui è nata Syriza, il partito con cui Alexis ha vinto e governato.

Torniamo a Genova ai giorni del G8.
È stato il passaggio decisivo della mia vita. Ero allo stadio Carlini, il giorno prima della morte di Carlo Giuliani. Ed ero a via Tolemaide quando è morto, forse a 500 metri da lui mentre venivamo caricati innumerevoli volte.

E quando seppe?
Le prime notizie arrivarono quando tornammo dentro lo stadio. Prima sembra che fosse uno spagnolo. Poi ci dicono che il morto è un italiano.

Quanti eravate?
Non meno di 20 mila. Si tiene una assemblea drammatica. C’era chi diceva: «Usciamo e vendichiamoci». Chi ribatteva: «Evitiamolo. Altrimenti è un disastro».

Poi si iscrive a Rifondazione comunista.
Nel 1992, quando Berlinotti diventa segretario. Poco dopo il nostro collettivo si trasforma in una sezione del partito.

Il primo dirigente con cui ha a che fare?
Marco Rizzo, che era stato nominato coordinatore dei giovani dalla direzione. E poi Gennaro Migliore, il primo responsabile dei Giovani comunisti. Lo segue Peppe De Cristofaro e poi vengo eletto io.

In tutto questo, a 29 anni lei riesce a laurearsi.
Con una tesi su Louis Dumont, un antropologo francese che ha studiato le caste indiane e scritto due tomi decisivi: Homo hieraticiis e Homo equalis. Ci sono riuscito in modo incredibile.

Cioè?
Il 21 agosto 2001 stavo andando a fare un dibattito con Giuliano Giuliani e un dirigente del Siulp.

E cosa succede?
Non ci arriverò mai. Per strada ci viene addosso una macchina. Sono dal lato dell’impatto e il femore mi si rompe in cinque pezzi.

Finisce in ospedale.
Con una diagnosi di 90 giorni. Avevo fatto tutti gli esami. E cosi mio padre mi regala un portatile e mi fa: «Non puoi perdere questo tempo. Usalo per scrivere la tesi».

Sant’uomo.
Ho fatto come diceva lui e ho preso 110 e lode. Laurea in stampelle.

Poco prima c’erano stati i giorni di Genova.
All’epoca ero responsabile nazionale organizzazione dei Giovani comunisti. In seguito ho conosciuto il giovane Alexis Tsipras.

Lui c’era?
Pochi se lo ricordano, ma Alexis e il suo gruppo furono intercettati sul traghetto, manganellati e rispediti in Grecia.

Era con gli anarchici?
Macché! Con i giovani del Synaspismos, la coalizione dei movimenti per l’ecologia. Ovvero il piccolo nucleo intorno a cui è nata Syriza, il partito con cui Alexis ha vinto e governato.

Torniamo a Genova ai giorni del G8.
È stato il passaggio decisivo della mia vita. Ero allo stadio Carlini, il giorno prima della morte di Carlo Giuliani. Ed ero a via Tolemaide quando è morto, forse a 500 metri da lui mentre venivamo caricati innumerevoli volte.

E quando seppe?
Le prime notizie arrivarono quando tornammo dentro lo stadio. Prima sembra che fosse uno spagnolo. Poi ci dicono che il morto è un italiano.

Quanti eravate?
Non meno di 20 mila. Si tiene una assemblea drammatica. C’era chi diceva: «Usciamo e vendichiamoci». Chi ribatteva: «Evitiamolo. Altrimenti è un disastro».

Chi?
Daniele Farina del Leoncavallo.

Un leoncavallino nei panni della colomba?
È sempre stato un quadro straordinario. Non a caso poi è diventato un deputato di Rifondazione e Sel. Se avesse vinto l’ipotesi «vendetta» quella sera sarebbe stata una catastrofe. Per me è stata una grande lezione.

Lei ha fatto il Servizio civile.
A Fauglia, in Toscana. I1 sindaco era un medico, ex paracadutista di Forza Italia.

Che incarico aveva?
Accompagnavo a scuola i disabili e facevo il bibliotecario.

E con il sindaco come andava?
Un giorno la sua segreteria ci convoca e ci consegna dei rotoli dei suoi manifesti di Forza Italia da attacchinare per le elezioni provinciali.

Mi immagino il suo entusiasmo.
Come no. Rispondo che non posso farlo, perché la legge me lo impedisce.

E lui?
Mi manda una lettera, scrivendo che provocavo grave nocumento all’immagine del Comune per la mia barba lunga e i pantaloni non stirati.

E lei?
Gli rispondo per lettera dicendo che non c’erano vincoli di dress code per gli obiettori.

E lui?
Mi ricusò. Pensando di farmi un torto mi fece un piacere.

In soli tre anni lei diventa un dirigente. Ma Gennaro Migliore, che era il suo leader di allora, ha organizzato una scissione quando il leader era lei.
(Ride). Siamo ancora amici. Ne abbiamo fatta una insieme, per uscire da Rifondazione, e ne ha fatta una lui per lasciare noi. La somma algebrica è zero. Mi spiace che sia diventato renziano. Per lui.

Si è sentito tradito?
No. È una persona a cui voglio bene, malgrado tutto. Gli riconosco che fa le sue battaglie politiche a viso aperto. Anche quelle che non condivido.

Nei Giovani comunisti di allora ha conosciuto anche la sua futura compagna, Betta Piccolotti.
Io sono stato coordinatore nazionale dal 2002 al 2004. Lei dal 2006 al 2008.

Eravate come Juan ed Evita Perón vita e politica insieme.
Non scherziamo. Semmai essere stati compagni di vita è stato per lei un gigantesco ostacolo.

Perché?
Perché il maschilismo imperante, anche a sinistra, riproduce questa idea becera che la donna sia favorita dall’uomo. Nel suo caso, come chiunque la conosce sa, è il contrario.

Nel 2004 lascia l’organizzazione giovanile.
Bertinotti mi chiede: «Cosa vuoi fare?». E io dico che vorrei occuparmi di cultura o lavorare al Sud. Mi ritrovo segretario regionale della Puglia.

Dove organizza e vince le prime primarie della storia, candidando Vendola.
Dissi a Nichi Vendola: «Le dobbiamo fare, ti devi candidare e devi vincere».

E lui cosa rispose?
«Tu sei matto». Eppure vincemmo sia quelle sia quelle che si tennero cinque anni dopo.

Prima contro i Ds e poi contro il Pd.
È così. Nel 2005 si votò sotto la neve, con le code ai seggi. Nel 2010 con Vendola iniziò la stagione dei sindaci arancioni, da Pisapia a Doria, da Zedda a Doria. Poi quella speranza di cambiamento fu sconfitta da destra, prima con il montismo, e poi con il renzismo.

Lei ha rotto con Bertinotti.
Mi sento ancora molto legato a lui. Penso ancora che la sua leadership fosse stata di grande innovazione.

Lui però ha detto che voi rappresentate una storia finita.
Nella sua analisi impietosa ci sono elementi di verità.

Nel 2010 lei diventa anche assessore e finisce indagato con Vendola.
Sull’llva come presunto suo «favoreggiatore».

Come si difende?
Questa vicenda è un gigantesco paradosso. Siamo stati la prima regione che ha imposto vincoli sulle diossine e riconosciuto il danno sanitario. E siamo finiti sotto indagine. Sono passati nove anni dai fatti contestati e sei dall’inizio del processo. Ancora non c’è il giudizio di primo grado!

All’epoca duellaste con Prestigiacomo che firmò le autorizzazioni ambientali all’Ilva. Pochi mesi fa lei è finito sul gommone con lei, sulla Sea Watch.
È curiosa la vita, vero? Lei ha subito molti attacchi violenti e volgari, per questa scelta, ne era consapevole, è stata molto coraggiosa.

Per gli elettori di destra apprendere che la Prestigiacomo sia venuta con lei ad assistere dei migranti sarebbe come per elettori di sinistra scoprire che lei va con Berlusconi a trovare dell’Utri…
Capisco la sua provocazione ma non è così.

Nel 2016 lei è fra quelli, a sinistra, che ha fatto campagna contro il referendum Boschi.
E sono felicissimo di averla fatta. Sarebbe stato un disastro se avesse vinto quella riforma pasticciata, ma pericolosa: un colpo per la democrazia.

Parliamo delle sue ultime sconfitte?
Leu ha preso un milione e 100 mila voti, il 3 ,5 per cento dei consensi.

Non è un successo!
Un risultato sotto le attese, ma che ha garantito la rappresentanza politica. Senza questo risultato, dare vita a Mediterranea sarebbe stato più difficile.

Alle ultime elezioni con la Sinistra, lei ha preso l’1,7 per cento.
È stata una sconfitta senza appello. E siccome non sono attaccato a nessuna poltrona mi sono dimesso da segretario.

Però non c’è nessuno che la sostituisca e lei continua a fare battaglie.
Sul ruolo di segretario: se il partito sceglierà un successore sarò felice. Ma ci si dimette dalle cariche non dalla politica, per questo sono qui.

Mi dice una cosa non retorica su suo figlio?
Soffro nel mio rapporto con lui il fatto di non essere molto spesso a casa. Quando sono stato venti giorni su OpenArms ho trovato la casa tutta tappezzata di foto.

Le sue?
Sì, quelle sulla nave. Adriano aveva chiesto alla mamma di stamparle. Per me è stato una messaggio che testimoniava un sentimento di mancanza. Ma anche grande affetto. Con lui ho sorriso, poi mi sono appartato e mi sono commosso.

Ha usato un disegno di Adriano contro Salvini.
Quanto ci ha pensato? Zero. Adriano ha disegnato due mani che proteggono una barca. E ha scritto: «Non avere paura, ci sono io e ti tengo». Devo dire grazie alle maestre e alla scuola italiana per il lavoro che fanno.

Perché lo ha dato a Salvini?
Perché al fondo la vicenda è molto più semplice di come la racconta lui. E infatti lo capisce anche un bimbo.

Potrebbero sequestrare anche la Alex, lo sa?
Se lo facessero ne troveremo un’altra. E un’altra ancora.

È vero che si diletta di cucina?
Sì. Ed è una passione utile. Sono stato sette giorni a cucinare a Coppito nel cratere dell’Aquila. Dopo il terremoto. E su Open Arms per 16 giorni.

Prendere l’1,7 per cento può chiudere una carriera politica?
Salvini dal 3 è arrivato al 34 per cento. Il problema non e quanti voti si prendono. Ma quanto si crede in quello che si fa. E io – questa forse è l’unica cosa che mi unisce a lui – credo profondamente in quello che faccio.


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