Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

L’Aquila tra memoria e futuro, l’editoriale di Luca Telese

La resistenza di quei residenti che non vollero lasciare la città. Ora il bivio tra quel che si era e ciò che si vuole diventare

Luca Telese

L’AQUILA.

Mi ritrovai all’Aquila da giovane inviato, come cento altri giornalisti, catapultato a cercare nella polvere le tracce frantumate di una topografia che si era appena dissolta. Le architetture erano collassate, la forza delle persone no. Imparai pezzo dopo pezzo, nell’unico modo che abbiamo noi giornalisti – scrivendo – che una città è chi la abita, anche quando viene bombardata. L’Aquila in quelle ore era in equilibrio, come sul filo di una lama, tra la vita e la morte, e non si arrendeva a nulla. Ore lunghe come settimane, giorni lunghi come mesi. Mi ritrovai nella tendopoli della protezione civile, davanti a Guido Bertolaso e ai suoi uomini, proprio il giorno in cui il signore assoluto della Protezione civile gridò: “Adesso mi sono scocciato! Trasferiamo tutti sulla costa e basta! Non voglio più nessuno sotto queste tende!”.La mattina dopo litigai con un mio amico, ex collega dell’agenzia dove avevo iniziato a scrivere, che mi rimproverava agitando il mio articolo come se fosse uno straccio sporco: “Ci hai messo in cattiva luce! Hai dato una immagine mostruosa di Guido!”. Rispondevo: “Non ho dato nessuna immagine. Ho scritto quello che ha detto”. E lui: “Pensi di fare un servizio a queste persone? Non se ne vogliono andare, e se non li trasferiamo, quando tu sarai al caldo, moriranno tutti di freddo!”. Era vero che nessuno se ne voleva andare. Dissi a Marcello: “Queste persone hanno diritto di scegliere loro cosa fare. Non esistono uomini della provvidenza”.L’Aquila, in quei giorni di ghiaccio, era in equilibrio, come sul filo di una lama, tra il paternalismo e la dignità, mentre combatteva contro il freddo. Sono passati tanti anni, ci sono ricordi che ti restano dentro e ti riscaldano per una vita. Ho amato quegli aquilani che restavano aggrappati alla loro storia mentre sembrava che tutto gli piovesse sulla testa. L’Aquila, oggi, anno di grazia 2025, è una città che sta in equilibrio, come sul filo di una lama, tra passato e futuro, proiettata verso la speranza, ma sempre legata, da un filo di acciaio invisibile, all’àncora profondissima della nostalgia.L’Aquila vive un presente che è una sliding door, una porta girevole tra quel passato, e diverse ipotesi di futuro. Raccontare questo anniversario del terremoto, dunque, non significa entrare di nuovo nel cratere del sisma con l’istinto e la torcia elettrica dello speleologo, ma accendere la luce e provare a illuminare le mappe della rinascita, con la fiamma di una nuova vita. Questo bivio dunque, a partire dall’illustrazione di Manolo Fucecchi, ci dice che maneggiano la memoria incandescente del terremoto, non come un rito liturgico, o come una dolce condanna, ma come una lezione che ci accompagna in una vita nuova. La fiaccolata che accende le nostre emozioni è un battesimo di speranza, non una semplice commemorazione di ciò che è stato.Siamo invecchiati, sono invecchiato, ma ho imparato nel cratere. In questa università della ricostruzione, che è la L’Aquila del presente, abbiamo sperimentato la vera domanda di senso di una nuova urbanistica. Non limitarsi a ricostruire “quello che era dove era”, perché questo è un esercizio impossibile. Si può fare, ovviamente, per i monumenti, per gli edifici di interesse culturale, ma la vita non è una commedia dell’arte recitata sul palcoscenico di una quinta teatrale. Ecco perché L’Aquila oggi è ancora una volta sul filo di una lama, a metà tra passato e futuro.Ci sta perché nella traiettoria della sua rinascita, ha cambiato alcune geometrie primarie: prima era una città centripeta, un pianeta che girava intorno alla storia del pontificato come la terra intorno al sole, solfeggiando la sua identità sui campanili delle chiese. Poi, nell’Italia liberale e repubblicana, è stata come una città Stato, una agorà che attraeva e faceva orbitare tutti i mondi che aveva intorno. Adesso L’Aquila è a metà di questi destini, riaggregare il pulviscolo della storia, trovare un nuovo centro gravitazionale per parlare di nuovo al mondo, e recuperare le storie del coraggio che l’hanno attraversata, lasciandoci sul corpo cicatrici profonde, e lezioni utili e struggenti.


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