Uno dei ribelli, Matteo Cimalli, la spiega così: “Quella parola non rappresenta la nostra identità. Anzi, ci umilia”. Ci voleva un saggio del ben noto talento autolesionista del Partito democratico per riuscire nell’impresa: simbolicamente, nello stesso giorno in cui si celebra l’assalto referendario all’ultimo fortino operaio di Pomigliano d’Arco, nel partito di Pier Luigi Bersani si raccolgono firme per dire che “Compagni” è un appellativo abusivo. E si trasforma un attore compassato come Fabrizio Gifuni – che ha voluto salutare la platea proprio con la “parola proibita” – in una sorta di eroe bolscevico. È inutile provare a spiegare che la parola “compagno”, come ha recentemente ripetuto Pietro Ingrao, “Indica la comunanza di chi divide con il suo prossimo ogni cosa, compreso il pane”. Cum panis, Com-pagni. Una simbologia onomastica più vicina all’iconografia cristologica dell’Ultima cena che al Manifesto di Marx.
Inutile, perché cinque giovani virgulti del Pd, come ha raccontato ieri su La Stampa Iacopo Iacoboni, hanno preso carta e penna per indirizzare una lettera aperta al loro segretario: “Ti scriviamo perché vorremmo renderti cosciente del nostro disagio di fronte a parole e comportamenti che guardano in maniera ingiustificatamente romantica al passato. Le parole compagni o compagne, la festa dell’Unità – scrivono – le rispettiamo per la tradizione che hanno avuto ma non rientrano nel nostro pensare politico e quindi facciamo fatica ad accettarle”. In calce i nomi dei giovanissimi sottoscrittori: Luca Candiano, Veronica Chirra, Sante Calefati e Mariano Ceci e lo stesso Cinalli.
Certo, basta sentire quattro persone a caso nel Pd e ti spiegano che il teatro su cui si è proiettato questo messaggio è l’eterno scenario delle contese interne. Ti raccontano che un ex democristianone come Beppe Fioroni ha visto di buon occhio – se non incoraggiato – l’iniziativa. Che questo discutere di nomi, feste, simboli, serve anche a tener vivo l’orgoglio identitario di chi (l’ex Margherita) vorrebbe ottenere da Bersani risarcimenti e garanzie. Eppure nemmeno il microscopio elettronico delle ragioni correntizie basta a spiegare il terremoto simbolico che i cinque ragazzi hanno innescato. Nemmeno nelle sinistre più moderate del mondo il termine “compagni” è mai stato messo in discussione. “Compagni” sono stati i riformisti blairiani del labour inglese, i militanti del Pt di Lula, i socialdemocratici olandesi che hanno gridato in tutte le piazze “Yes we Camp” per sostenere il loro candidato. In Italia si può dire che l’appellativo fosse una delle poche cose che ha unito tutte le sinistre: da quella repubblicana in cui un fiero utilizzatore del termine “compagni” era Libero Gualtieri, a quella socialista in cui persino un leader iconoclasta come Bettino Craxi mai avrebbe rinunciato a quel vocabolo, ai comunisti ovviamente (che combinavano solennemente la parola con il cognome, “Il Compagno Longo ci ha detto…”), e anche ai radicali, che in questo stesso modo vengono evocati, ogni domenica nell’immarcescibile filo diretto di Marco Panella. Per non parlare del cislino Pier Carniti, cattolicissimo. Persino nel pop irruppe la parola con il capolavoro dei Cccp che informavano solennemente sulle Affinità e divergenze fra il compagno Togliatti e noi.
Se non si intitolasse Il compagno non avrebbe avuto lo stesso successo uno dei primi romanzi di Cesare Pavese. E vollero chiamarsi compagni anche tutti coloro che venivano espulsi dal partito ortodosso: “I magnacucchi” e anche tutti gli eretici trotszkisti. Eppure Matteo Cinalli, 22 anni, pescarese, uno dei promotori dell’iniziativa, non demorde: “Vengo dalla tradizione cattolica, ho rinunciato a molto per fare il Pd. Il termine compagni è il simbolo dell’egemonia di una parte sull’altra. L’intervento di Gifuni è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. E racconta: “Sapevamo che la provocazione avrebbe suscitato dibattito. Ma non ci aspettavamo il diluvio di reazioni che sta arrivando”. In ogni caso, “i nativi democratici” (Bersani ha definito così i giovani che non vengono da altre storie politiche) non mollano: “Se dovessi intervenire domani non avrei dubbi: direi Cari democratici e care democratiche. Solo così eviteremmo di schiacciare delle identità e uccidere la novità del Pd”. Sconfortato un altro giovane emergente, Pippo Civati: “Posso dirlo in modo brusco? È una questione senza senso! Si chiamino come preferiscono. Per me compagni è una parola bella, che non può offendere nessuno.
Luca Telese
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