Il volto di Concetta, lo sguardo pietrificato e sconvolto, davanti alle telecamere. E a noi. Il volto di Concetta: la bocca semiaperta, l’espressione attonita, la sofferenza che non si metabolizza. E’ successo mercoledì notte, e dall’altra parte dello schermo c’eravamo noi, un frammento di Italia: un po’ solidale un po’ guardona. Di nuovo, per la seconda volta nella nostra storia – dopo la notte di Vermicino – una morte in diretta. Di nuovo una maratona di “teledolore” che ci frigge nella carne, una madre che apprende la morte della figlia e la colpevolezza del cognato in pochi minuti, esponendo il suo sconcerto, costretta a mostrarsi indifesa e di fronte al mondo. Quanti segni da decifrare in quella inquadratura. Concetta nel tinello della casa di sua sorella, apprende in quel momento dalla tv, che è anche la casa dell’assassino di sua figlia. Siede al fianco di sua nipote. Che però, apprende in quel momento dalla tv, è anche la figlia omertosa che forse proteggeva il padre. E che forse lo subiva: nipote complice e vittima. Scopre tutto questo, e noi lo scopriamo con lei, in un gioco perverso: lo spettacolo sono le notizie, ma anche il modo in cui rimbalzano sul suo viso: se piange, se tace, se si dispera o no, se capisce o se soccombe. In mezzo il grande circo di una provincia contadina: la difficoltà di difendersi di una famiglia semplice, che dopo aver guardato per anni la tv, ci si ritrova dentro, masticata e digerita. In mezzo – come lampi di una telenovela tragica – ingenuità e violenza: un avvocato che non riesce a proteggerti, i filmini matrimoniali dello zio-cognato-assassino, e le interviste bugiarde in cui piangeva come un vitello, lanciando appelli lacrimevoli e depistanti: “Torna Sarah, torna!!”. E poi le domande della Sciarelli alla figlia: “Quelli erano i giorni felici, vero?”. La cosa più pericolosa, mentre un intero paese deve ancora metabolizzare il trauma di questa angoscia spettacolarizzata è la violenza della tv del dolore, così calda protettiva e rassicurante mentre la ingerisci, così dolorosa quando spegni. La cosa più facile e sbagliata, invece, è cercare una capro espiatorio per autoassolversi. Oppure dare la caccia a “un mostro”, liberarsi del dolore tramutandolo in rabbia, magari invocando corda e sapone, un linciaggio che lavi con il sangue le macchie oscure. Nessuno di noi, soprattutto i giornalisti a cui capita di condurre in tv – nemmeno io che scrivo – sa cosa significhi trovarsi a bordo di un treno in corsa mentre cadono le bombe. E’ difficile capire se Federica Sciarelli, la conduttrice di Chi l’ha visto?, che spesso è riuscita a muoversi con passo lieve in mezzo alle peggiori sciagure, sia consapevole sino in fondo del paradosso che il suo programma ha prodotto ieri. La diretta era padrona di tutto: dei carnefici e delle vittime. Riceveva le notizie delle indagini in modo quasi reale, ma allo stesso tempo aveva “in ostaggio” le vittime. Lo faceva oggettivamente, perché “il telefonino non prende”, e allora nemmeno i Carabinieri riescono a parlare con Concetta: solo la tv può decidere se liberarla o meno. Allo stesso modo è difficile capire se la Sciarelli sia pienamente consapevole che chiedere a una madre se “Vuole interrompere la trasmissione?” non ha senso. Quando le forze dell’ordine vanno a spiegare a qualcuno che suo figlio è morto – se fanno bene il loro lavoro – portano uno piscologo, danno assistenza, non fanno domande. Il volto di Concetta, quel maledetto telefonino senza campo, le sue parole spezzate: “Stanno trovando un cadavere… E’ assurdo….”. E’ vero che la conduttrice le dava la possibilità di tirarsi fuori. Ma è altrettanto vero che per 2 ore e 42 minuti lei era dentro, la più indifesa di tutti noi: un tempo interminabile, in cui le notizie sono deflagrate in studio fra smentite e conferme, come bombe a frammentazione: “Qui c’è il Quotidiano di Puglia che dice…”. “Qui l’Agi conferma”. Anche la Sciarelli entrava in quel tinello come una bomba: “C’è Sabrina? Vuole parlare?”. La tv possedeva tutti i testimoni e tutti i personaggi del dramma, li “deteneva” (nel senso letterale), e anche quando loro si ritraevano dal suo sguardo ustorio, ci spiegava cosa accadeva, come in un reality: “Sabrina sta telefonando”, spiegava l’invita. Ed è il messo di Chi l’ha visto? che offre un bicchiere d’acqua a Concetta, non i padroni di quella casa. Dentro questa storia ci sono stereotipi antichi, e piccoli misteri. C’è la differenza di classe, tra chi si può difendere dalla tv e chi non può. C’è il potere di controllo, che non si attenua concedendo la possibilità di uscita volontaria, ma che semmai si esalta nella forza suggestiva che ti spinge a dire no. Il vero mistero è proprio quel tinello. Perché la Sciarelli fa il programma a casa dello zio? “Perché lui era diventato – spiega – il cuore della storia”. Ma Michele era già sotto interrogatorio da ore. E la tv, aspettava il suo ritorno, interrogando la sua famiglia e portandogli a casa la sua vittima. Però c’era una cosa che forse si doveva fare prima. Quando la Sciarelli ha saputo la verità su Sarah, non doveva, come ci ha raccontato , “provare a prolungare la trasmissione nella speranza che arrivasse una smentita”. Doveva chiudere il collegamento, liberarla, liberarci. Avere la forza di toglierci il nostro macabro spettacolo. Per il bene di Concetta. E anche per quello di noi, i guardoni di casa.
Luca Telese
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