Luca Telese

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Luca Telese
Luca telese

Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Sono il “licenziatore” strapazzato da Adolf Grillo

Ieri, se mai fosse necessario, ho avuto un’altra prova del potere suggestivo ed emozionale delle invettive di Beppe Grillo. Ieri, se mai ce ne fosse stato bisogno, mentre seguivo un comizio di Grillo in piazza a Novara, dopo due o tre vaffa assestati in sequenza a Napolitano, Renzi e Schulz, l’ho sentito lanciarsi in diretta in una invettiva inedita contro quello che definiva prosaicamente «un coglione». Ho visto l’emozione degli ascoltatori salire, per il senso estetico di quell’ingiuria, diretta e sprezzante e beffarda. Ho visto i sorrisi che si allargavano sui volti di chi ascoltava, e poi l’adrenalina dell’applauso che scattava. A proposito, non è un dettaglio: “il coglione” di cui Grillo parlava ero io.

E infatti Beppe ha detto: «Lui è quello che ha fatto un giornale e ha licenziato ottantamila persone a cento precari!». E poi, rincarando la dose: «Quelli che erano a tempo indeterminato li ha lasciati lì. E quelli precari, invece, in mezzo a una strada!». Tralasciamo ovviamente il refuso: Grillo non voleva dire che ho licenziato ottantamila persone, e — immagino — nemmeno che ho licenziato dei precari, perché sarebbe un controsenso (anche perché a Pubblico, il giornale in questione, non c’erano precari, quelli che ci hanno lavorato in pianta stabile sono stati assunti). Ma Grillo era preso dalla foga, saliva di tono e spiegava: «Questo qui è quel signore che va in televisione a dire che io sono nazista e che Casaleggio è Benito Mussolini: è quello lì!». E subito dopo, surfando sul brivido della platea che ascoltava: «No, no, no, noi non siamo aggressivi: noi siamo buoni. Noi gli vogliamo bene a quel coglione lì! Gli vogliamo bene! Gli vogliamo bene!» (E meno male, aggiungo). Tormentone: «Invece che fare informazione, dai un po’ i soldi a quei poveracci che hai messo per la strada, Telese». Appena ha finito di parlare gli sono corso dietro, e gli ho fatto: «Sei stato carino, stasera…». E lui, prima di risalire sul camper: «Con te ho solo cominciato…». Sono rimasto stupito. Aveva una espressione quasi terrea, forse era stanco: sembrava che la domanda lo disturbasse, era turbato di vedermi, come se faticasse a sostenere il confronto diretto, come se io avessi vaffanculato lui, e non il contrario.

Ovviamente Beppe dice una valanga di cose mescolando vero, falso, iperboli e panzane ed è interessante provare a capire come. Comincio dalla storia di Beppe-Hitler perché questa è quasi clamorosa. Non so nemmeno per quale motivo, sono uno dei pochissimi commentatori italiani che ha scritto un articolo — proprio su Linkiesta — per dire che secondo me non aveva senso dare del nazista e dell’antisemita al leader del Movimento cinque stelle. L’ho scritto quel giorno (si può verificare qui) e lo penso anche oggi: Grillo è spesso populista, demagogico (sono due termini “tecnici”) ma a mio parere non ha nulla del razzista. A Matrix abbiamo discusso nel giorno in cui il post di Grillo era la prima notizia di tutti i Tg e uno dei temi più dibattuti in rete, ospitando come sempre i pareri più disparati: «È una montatura contro Beppe» (il blogger a cinque stelle, Martinelli) e anche «È una offesa alla Shoah» (il deputato del Pd Emanuele Fiano). Quindi nessuna demonizzazione, anzi: la pluralità delle opinioni, compresa la mia, come mi piace mettere in scena nel mio programma.

Quanto alla seconda accusa. Ovviamente non ho “licenziato” nessuno, questa è una balla clamorosa. Ho fondato un giornale, due anni fa, non abbiamo chiesto una lira di finanziamento pubblico. Non abbiamo fatto ricorso a nessun trucchetto per avere i fondi dei giornali di partito, non perché lo consideri disdicevole in assoluto, ma perché non eravamo il giornale di nessun partito e quindi quello sarebbe stato un trucco, lo avevamo dichiarato. Abbiamo fatto un giornale dicendo (esattamente come ha sostenuto Grillo subito dopo nello stesso comizio, forse inconsapevole di questa assonanza involontaria): non abbiamo editori alla spalle, ci possiamo finanziare solo con le copie che vendiamo. Se venderemo settemila copie del nostro giornale avremo i soldi per restare aperti, se non le venderemo ce ne andremo a casa. Insieme ad altre venti persone (molti dei quali, proprio come me, erano dei giornalisti che lavoravano in quel giornale) ho investito dei soldi in questa impresa: li ho ovviamente persi, e alla fine, come tanti altri che provano a creare lavoro, ho perso sia i soldi che il mio posto di lavoro: non sono un imprenditore, ma credo di aver capito quel giorno il dramma di chi fa l’imprenditore, di chi vede franare quello che prova a costruire. Se ho messo qualcuno “in mezzo a una strada”, ci ho messo prima di tutto me stesso. Non abbiamo licenziato nessuno, peró. Al punto che i redattori di Pubblico sono ancora dipendenti della società in liquidazione, sono in cassa integrazione, come migliaia di lavoratori che hanno perso il posto in questi tempi di crisi. Si possono avere molte opinioni sugli ammortizzatori sociali, ma per estenderli e rimodularli, non per ridurli considerandoli un furto. (Ovviamente aggiungo: noi giornalisti siamo lavoratori privilegiati rispetto ai metalmeccanici, ne siamo consapevoli, ma questo è un fatto, non un crimine). Visto che abbiamo provato fino all’ultimo ad evitare la chiusura, abbiamo tenuto aperto il giornale fino al 31 dicembre 2012 e molti collaboratori non hanno avuto pagate parte delle fatture. Io stesso sono allo stesso tempo socio di minoranza della società e quindi, teoricamente, per i paradosso del contratto, uno dei suoi maggiori creditori (anche se per ovvi motivi ho rinunciato a qualsiasi credito). Tutti gli altri soci-giornalisti hanno perso due volte: sia il loro investimento che il loro lavoro, e quindi non sono “privilegiati” rispetto ai collaboratori. La nostra è solo una delle tante storie di questi tre anni di crisi, e come sempre capita, quando si perde il lavoro, è intessuta di amarezza, rimpianti e di recriminazioni.

Due osservazioni: tutto questo è complessità. E Grillo ieri ha detto che lui la complessità la detesta. Lo capisco: lui ha bisogno di semplificare sempre tutto, di sintetizzarlo nella coppia oppositiva bene/male, noi/loro, amico/nemico. È il suo carburante, la sua benzina, il suo cuore. Grillo dal palco ha aggiunto: «Meglio Emilio Fede, che almeno sapevamo tutti che era una zerbino, meglio di quelli come te, Telese, ometto, che si finge imparziale e super partes». Nel corso dello stesso discorso Grillo ha tessuto anche un elogio dell’insulto come carburante emotivo, come “semplificatore del messaggio”. Ovviamente, a bene vedere, è questo il grande doping della sua comunicazione: un insulto è un lubrificante formidabile, come dice Grillo, ma anche una droga pericolosa. Tant’è vero che Grillo non può mai abbandonare il senso del monologo. Non può mettere in atto quello che per esempio mi ha detto a Novara, «poi ti do la parola», ma nemmeno può permettere a Renzi — anche se glielo chiede la rete, come nel famoso streaming — di interloquire con lui.

Ovviamente devo dire una cosa sulla straordinaria poliedricità del suo pubblico: ieri a Novara ho visto in piazza, uno al fianco all’altro, ex elettori della Lega, di Berlusconi, di Rifondazione o dei centri sociali. Nessuno di loro è sfiorato minimamente dall’idea di essere diversi e opposti anche antropologicamente tra di loro. Se si mettessero a discutere — per esempio di ius soli — litigherebbero senza dubbio. Ma non lo fanno: la magica canzone dell’invettiva, la forza del polemismo di Grillo è tale che il movimento e i suoi fan diventano parte di una funzione, sono avvolti e coinvolti in una cerimonia comune che fa sparire tutto il resto. Il grillismo non è un’ideologia, ma una liturgia. E il vaffanculismo, in questa religione — pensateci — è come l’Ave Maria per il cattolicesimo.

Ps .
In quella piazza, finito il comizio di Grillo sono rimasto a parlare fino all’una di notte. Dieci persone mi hanno chiesto persino di fare una foto: tanti grillini — appassionati, curiosi, informatissimi — hanno provato a convincermi che in Italia c’è un regime che oscura e diffama Grillo. Ho provato a rispondere loro che Grillo è il leader più presente in tv. Ci siamo divertiti. Hanno più curiosità del loro leader

Pps .
I ragazzi del movimento erano sconvolti del fatto che Beppe andasse da Vespa: «Lo farà per mandarlo affanculo». Stavolta lo dovrò tifare: «Forza Bruno!».


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